Archivi del mese: gennaio 2014

Manchester Museum, attribuita statua a Senenmut

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Source: egyptmanchester.wordpress.com

Chi ha detto che le novità si trovano solo sotto il sole e con una trowel in mano? Dopo la (ipotetica) benda di Ramesse II, un’altra interessante scoperta avviene tra le mura di un museo. Presso il Manchester Museum, una statua dall’attribuzione poco chiara è stata collegata a Senenmut, alto funzionario e consigliere (forse molto “intimo”) della regina Hatshepsut (1479-1457 a.C.).

In realtà, abbiamo solo la parte inferiore danneggiata di una figura maschile seduta in trono (h. 48,5 cm, l. 31 cm), in calcare, con tracce di colorazione blu dei geroglifici e rossa delle linee guida dell’artista che ha realizzato le incisioni. L’identificazione del reperto (Acc. n° 4624) è resa difficile sia per lo stato di conservazione che per i pochi dati sulla sua scoperta. Si sa solo che il frammento proviene dagli scavi di Edouard Naville a Deir el-Bahari, tra il 1894 e il 1901. Finora, sulla base delle iscrizioni, la stata era datata al Medio Regno ed era attribuita ad uno sconosciuto sacerdote di nome Userhat.

Ora, invece, grazie alle osservazioni fatte dal curatore della sezione di Egitto e Sudan del museo, Campbell Price, tale catalogazione potrebbe cambiare. Userhat non indicherebbe un nome di persona, ma la Barca sacra di Amon a Karnak; così, il titolo “Sacerdote di Amon-Userhat”, da prendere per intero, è noto, infatti, solo per Senenmut. Quindi, il personaggio rappresentato non sarebbe più un sacerdote qualunque di Medio Regno, ma uno dei più importanti funzionari del Nuovo Regno. Anche gli altri attributi presenti sulla statua (“notabile”, “governatore”, “Sovrintendente dei sacerdoti di Montu”) sono già attestati accanto al nome del grande architetto della XVIII dinastia.

http://egyptmanchester.wordpress.com/2014/01/29/object-biography-15-a-previously-unidentified-statue-of-senenmut-acc-no-4624/

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Frammento di benda della mummia di Ramesse II spunta in Repubblica Ceca

Un rarissimo e inestimabile frammento di lino appartenente al bendaggio della mummia di Ramesse II (1279-1212 a.C.) potrebbe essere finito nel Museo Etnografico di Olomouc, città ceca della Moravia. Il direttore, Bretislav Holasek, ha raccontato ai giornalisti che il reperto è spuntato fuori durante l’ispezione del materiale su cui lavorava un vecchio dipendente del museo. Il tessuto è conservato tra due vetri ed è accompagnato da un cartellino con una nota in tedesco che è, per il momento, l’unica prova che confermerebbe la straordinaria scoperta.

Nessuno ha idea di come il pezzo sia finito in Repubblica Ceca. Il proprietario sarebbe stato Richard Buchta, esploratore e fotografo austriaco che visitò l’Egitto alla fine del XIX secolo e che avrebbe assistito allo sbendaggio della mummia nel 1886, cinque anni dopo la scoperta di Maspero nella cachette di Deir el-Bahari (DB320, la tomba di Pinedjem II). La lettera racconta proprio l’avvenimento; inoltre, bisogna ricordare che la Cecoslovacchia era, al tempo, sotto l’Impero austro-ungarico, quindi Buchta potrebbe aver portato qui la benda dall’Egitto. Per verificare l’effettiva età del reperto, sono stati già programmati analisi scientifiche, ma, intanto, la notizia sensazionalistica è già stata lanciata e il museo sfrutterà la pubblicità con una mostra straordinaria fino a marzo.

http://www.vmo.cz/rubriky/akce-a-vystavy/necekany-nalez-textilie-z-mumie-ramesse-ii

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Le spettacolari foto dalla KV2 (ma non era vietato il flash?)

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Source: Daily Mail

Un fotografo ucraino, Andrey Nekrasov, è riuscito ad ottenere dal Ministero delle Antichità il permesso speciale di fare qualcosa IN TEORIA vietata: usare il flash all’interno di una tomba della Valle dei Re. Ad un primo rifiuto, la promessa di pubblicità e di più turismo per l’Egitto ha garantito a Nekrasov il lasciapassare per fotografare le spettacolari decorazioni della KV2, la tomba di Ramesse IV (1154-1148 a.C.). Il risultato è magnifico (più per i vividi colori delle pitture che per l’effettiva bravura del fotografo), ma non sembra giusto concedere tali eccezioni a regole create appositamente per la salvaguardia dei delicati pigmenti. Per questo, stride la decisione di chiudere al pubblico la tomba di Tutankhamon e di sostituirla con una replica che dovrebbe essere istallata accanto alla Carter House intorno a giugno.

Ramesse IV, dopo essere salito al trono in età avanzata, regnò per pochi anni. Quindi, alla sua morte, la tomba non era stata ancora completata. Infatti, quella che è la camera funeraria (dove è conservato il più grande sarcofago di tutta la Valle, lungo 4 m e alto 3) sarebbe dovuta essere una stanza a pilastri intermedia nel progetto iniziale, noto grazie a due disegni su ostrakon e papiro (Pap. Torino 1885, recto). Ma ciò che colpisce è la decorazione pittorica che ricopre pareti e soffitto e che riprende passi di testi funerari come il Libro dei Morti, il Libro delle Porte (vedi immagine) e la prima attestazione del Libro delle Caverne.

http://www.dailymail.co.uk/news/article-2547274/Inside-Valley-Kings-Breath-taking-photos-Egyptian-pharaoh-Ramesses-royal-tomb-three-thousand-years-creation.html

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Supporta anche tu la petizione per il Museo Egizio del Cairo!

Alla luce dei gravi atti terroristici che hanno colpito l’Egitto negli ultimi giorni, è stata lanciata una petizione online per la salvaguardia del Museo Egizio del Cairo. In modo particolare, professionisti e semplici appassionati, cittadini egiziani e non, chiedono al Primo Ministro ad interim, Hazem El-Biblawi, di intervenire sulla questione della ex sede del Partito Nazionale Democratico. L’edificio (vedi immagine) era stato dato alle fiamme il 28 gennaio 2011, durante le manifestazioni contro il regime di Mubarak, e ora, essendo adiacente al museo, potrebbe crollare da un momento all’altro sul lato occidentale. Il rischio crescerebbe esponenzialmente se dovesse ripetersi un altro attacco esplosivo come quello che ha seriamente danneggiato il Museo di Arte Islamica (qui nuove foto della distruzione). Inoltre, il terreno era già di proprietà del Museo dal 1901, quindi potrebbe essere usato per ampliare gli spazi espositivi.

Probabilmente, la petizione non porterà a nessun risultato, ma tentare non costa niente, quindi aggiungi anche la tua firma virtuale e diffondi l’iniziativa perché, al momento, servono ancora 19.000 sottoscrizioni…

http://www.change.org/petitions/h-e-dr-hazem-el-biblawy-return-the-land-housing-the-former-ndp-building-to-the-egyptian-museum-of-cairo#share

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James Simon: storia di un mecenate ebreo dimenticato

simon-010809Nella Giornata della Memoria, è doveroso menzionare la figura di un ebreo che, in un certo senso, potrebbe essere considerato il padre della scoperta del celeberrimo busto di Nefertiti. È vero che i soldi non sono tutto nella vita, ma questa massima non può essere applicata alle missioni archeologiche che, senza fondi, non sussistono. Così, l’uomo che va ricordato oggi è James Simon, il finanziatore della spedizione di Borchardt.

James Simon (1851-1932) era un berlinese ereditiere di una ricchissima società che si occupava di commercio del cotone. Proprio per formarsi nell’attività di famiglia, fu costretto dal padre ad abbandonare gli studi di filologia classica, ma l’amore verso la storia, l’arte e, in modo particolare, l’archeologia continuò a caratterizzare la sua intera vita.

Considerato uno dei più grandi filantropi e mecenati della storia tedesca, Simon spese circa un quarto del suo patrimonio in attività culturali. E quei soldi gli avrebbero fatto sicuramente comodo visto che, a causa dell’allora crisi economica, dovette vendere i beni restanti, morendo solo in un piccolo appartamento a Berlino.

Nel 1898, fondò la “Deutsche Orient-Gesellschaft in collaborazione con il direttore dei Musei di Stato di Berlino, Wilhelm von Bode; nel 1911, versò 100.000 marchi alla neonata Kaiser-Wilhelm-Gesellschaft zur Förderung der Wissenschaften”, società che promuoveva l’avanzamento scientifico della nazione; inoltre, donò alla Galleria Nazionale dipinti di Rembrandt, Bellini, Mantegna e diversi reperti medievali e mesopotamici.

Sempre nel 1911, Simon finanziò la missione di Ludwig Borchardt ad Amarna, l’antica capitale di Akhenaton, e, secondo gli accordi stipulati con il direttore del Consiglio delle Antichità Egiziane, Gaston Maspero, divenne il legittimo proprietario della gran parte dei reperti trovati durante gli scavi, compresi il busto di Nefertiti e la testa di Tiye. Ma, nel 1920, donò tutto allo Stato; inoltre, quando l’Egitto chiese ufficialmente la restituzione del busto, Simon si dichiarò favorevole al ritorno in patria del pezzo. Von Bode non acconsentì (tutt’oggi, la polemica tra Egitto e Germania è più che mai accesa su questo argomento) e Simon, per protesta, rifiutò l’invito all’inaugurazione del Pergamon Museum.

La sua generosità non si limitava alla cultura; ad esempio, fece costruire bagni pubblici e case per i bambini disagiati e aiutò migliaia di ebrei tedeschi a emigrare verso l’America e la Palestina. L’avvento di Hitler ci sarebbe stato solo nel 1933, ma l’antisemitismo in Germania, come in gran parte del mondo, era già molto radicato. Ed è stato proprio quest’odio razzista ad aver fatto dimenticare per decenni James Simon, cancellato dai libri di storia per volontà del governo nazista perché ebreo. Quando Hitler divenne cancelliere, la targa di bronzo commemorativa a lui dedicata sulla facciata del Neues Museum venne asportata, ogni riferimento alle sue donazioni fatto sparire e la sua villa, dove conservava le opere d’arte prima delle donazioni, data alle fiamme.

Solo alle soglie del XXI secolo, i Tedeschi hanno deciso di ricordare questo benefattore nel migliore dei modi. Infatti, oltre al piccolo busto collocato nel Bode Museum (dove sono conservati dipinti e sculture medievali donate da Simon), nel 1999, si è deciso di intitolare alla sua memoria la nuova entrata dell’Isola dei Musei, un edificio che facesse da raccordo tra l’Altes, il Neues, l’AlteNationalgalerie, il Bode e il Pergamon; il progetto della James Simon Gallery, però, è stato approvato solo nel 2006 e i lavori sono tuttora in corso.

Gli scavi di Amarna, quindi, non sono l’unica cosa che lega Simon ad Akhenaton: la damnatio memoriae è stata la stessa triste sorte che ha colpito i due a oltre 3200 anni di distanza.

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Individuata la presenza dei Popoli del Mare nella Valle del Giordano

Questa volta, l’articolo non parla di Egitto, ma l’argomento, che mi tocca particolarmente perché fu quello che scelsi per la mia tesi triennale, riguarda da vicino, non solo geograficamente, anche la Valle del Nilo: i Popoli del Mare. Prima di arrivare alla notizia, però, è necessaria una breve introduzione perché questi misteriosi gruppi etnici sono spesso utilizzati dagli amanti della “fantarcheologia” per spiegare tesi per lo meno bizzarre, come collegamenti con la civiltà nuragica sarda.

I cosiddetti “Popoli del Mare” sono gruppi eterogenei di genti presenti nelle fonti egiziane fin dalle lettere di Amarna sotto Amenofi IV (1348-1331 a.C.), ma che caratterizzarono soprattutto il passaggio dall’Età del Bronzo all’Età del Ferro. Lukka, Shardana, Shekelesh, Tjekker, Danuna, Ekwesh, Tursha e Peleset, direttamente dalle “Isole che sono nel Grande Verde”, sembrano aver approfittato del crollo dei grandi imperi del Bronzo, come quello ittita e quello miceneo, per far razzia delle terre che si affacciavano sul Mediterraneo orientale. Anche l’Egitto dovette difendersi da queste popolazioni con Ramesse II, Merenptah e, soprattutto, Ramesse III, le cui vittorie sono declamate sulle pareti del tempio funerario di Medinet Habu. Ma, a volte, come nel caso degli Shardana, i Popoli del Mare vengono annoverati anche tra i mercenari al soldo dell’esercito egiziano.

imageLa scarsità di testimonianze archeologiche, rendono difficile l’individuazione dell’origine dei Popoli del Mare che, secondo le varie ipotesi, potrebbe coincidere con l’Europa centro-orientale o, più verosimilmente, con l’Anatolia occidentale e le isole dell’Egeo. Più sicura è la loro migrazione finale verso i Levante dove abbiamo tracce soprattutto per i Peleset, che sarebbero poi diventati i Filistei (nella foto da Medinet Habu, due prigionieri con il loro tipico copricapo).

Ulteriori prove vengono dalla missione svedese a Tell Abu al-Kharaz, sito giordano al confine con Israele e Cisgiordania. Gli archeologi diretti dal Prof. Fisher dell’Università di Gothenburg, negli ultimi tre anni, si sono concentrati su una struttura risalente proprio al 1.100 a.C. Questa abitazione, lunga circa 60 m (vedi immagine in alto), sarebbe stata occupata sia dalla popolazione locale che da Peleset per la presenza di ceramiche filistee, oltre che greche e cipriote, e di pesi da telaio dell’Europa centrale e sud-orientale.

Questi studi, oltre ad attestare scambi commerciali con aree molto lontane, confermerebbero l’arrivo dei Popoli del Mare fino alla Valle del Giordano. E sarebbe solo l’inizio, visto che la città di Tell Abu al-Kharaz, forse la biblica Jabesh-Gilead, è stata scavata solo per il 20%.

http://www.hum.gu.se/english/current/news/Nyhet_detalj//cultural-connections-with-europe-found-in-ancient-jordanian-settlement-.cid1200725#prettyPhoto

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L’UNESCO condanna la distruzione del Museo di Arte Islamica del Cairo

L’UNESCO, per voce del Direttore Generale Irina Bokova, ha fermamente condannato la distruzione del Museo di Arte Islamica del Cairo a causa dell’attacco kamikaze di ieri alla sede del Dipartimento di Sicurezza della Polizia (qui il comunicato). La Bokova si è subito impegnata a mobilitare tutti gli organi preposti per il restauro della struttura e dei reperti in essa conservati, patrimonio non solo del popolo egiziano ma di tutto il mondo. Inoltre, si è congratulata con il Ministero delle Antichità per i celeri provvedimenti presi a protezione dei manufatti danneggiati.

Intanto, il ministro Ibrahim ha affermato che l’UNESCO avrebbe stanziato 100.000 $ per la ricostruzione e che invierà in settimana una squadra di esperti per valutare l’entità dei danni. In più, ha lanciato una richiesta per una campagna internazionale di donazioni che possa coprire almeno in parte la somma per la ristrutturazione, 100 milioni di lire egiziane (circa 10,5 milioni di euro).

 

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Caos al Cairo: distrutto anche il Museo di Arte Islamica

Alla vigilia del terzo anniversario della caduta di Mubarach, il Cairo piomba di nuovo nel caos. Nella mattina di oggi, quattro attacchi terroristici hanno sconvolto il centro della città provocando almeno 6 morti e decine di feriti. Le esplosioni, rivendicate dal gruppo jihadista Ansar Beyt el-Makdes, hanno colpito punti strategici legati alla polizia che, in questi mesi, aveva represso con forza le manifestazioni pro-Morsi. A questo, si aggiungono nuovi violenti scontri di piazza che, secondo fonti della sicurezza, porterebbero il bilancio delle vittime a 14.

Una delle esplosioni ha gravemente danneggiato anche la sede del Museo di Arte Islamica, distruggendo la facciata del palazzo storico e numerosi reperti conservati. Il museo, il più importante del mondo nel suo genere, era stato da poco restaurato con un intervento di 1 milione di dollari (qui il video dell’inaugurazione del 2010), e in esso erano esposti circa 2500 pezzi dal VII al XIX secolo. L’onda d’urto ha fatto crollare il nuovo soffitto che, cadendo, ha schiacciato un’intera ala mandando in frantumi soprattutto gli oggetti di vetro e ceramica. Purtroppo, sarebbero andati persi anche otto antichi manoscritti nella vicina Dar al-katub, la Biblioteca Nazionale.

Per vedere altre foto dell’attentato: http://egyptianstreets.com/2014/01/24/historic-islamic-art-museum-completely-destroyed/

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Gli elefanti da guerra di Tolomeo IV erano veramente così piccoli?

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Source: wikipedia

Se si parla di elefanti da guerra, subito si pensa all’attraversamento delle Alpi durante la Seconda Guerra Punica. Ma, l’utilizzo di questi animali in battaglia risale almeno al IV sec. a.C., quando, dall’India, tale strategia si diffuse all’impero persiano e poi al Nord Africa. L’anno dopo l’impresa di Annibale, nella Battaglia di Raphia (22 giugno 217 a.C.), vennero utilizzati addirittura 175 pachidermi ripartiti tra l’esercito egiziano di Tolomeo IV e quello seleucide di Antioco III (vedi immagine). Lo scontro tra super potenze avvenne a sud dell’attuale Gaza per il controllo della Celesiria.

Secondo le fonti, gli elefanti asiatici di Antioco erano più numerosi, 102 contro 73, grandi e coraggiosi di quelli africani. Infatti, lo storico greco Polibio scrive:

“La maggior parte degli elefanti di Tolomeo, però, rifiutarono lo scontro, come è d’abitudine degli elefanti africani; per l’incapacità di sopportare l’odore e il barrito degli elefanti asiatici e perché terrorizzati, suppongo, anche per la loro grande stazza e forza, si girarono subito e scapparono indietro prima di avvicinarsi a loro. Questo è ciò che è accaduto in quella situazione, e quando gli elefanti di Tolomeo andarono in confusione e si gettarono contro le proprie linee, la guardia di Tolomeo cedette sotto la pressione degli animali” (Polibio, Storie V, 84, 5-7)

Nonostante questa impietosa cronaca, Tolomeo vinse e strappò ad Antioco l’area. Ma, come è possibile che l’elefante africano (Loxodonta africana) sia stato descritto come più piccolo di quello indiano (Elephas maximus indicus)? Per decenni, si è pensato che gli Egiziani abbiano utilizzato l’elefante africano delle foreste (Loxodonta cyclodis), molto più minuto del cugino delle savane.

Un recente studio, però, propone una nuova ipotesi mettendo in dubbio l’attendibilità di Polibio. Adam Brant e Afred Roca della University of Illinois at Urbana-Champaign hanno analizzato il DNA della ormai esigua popolazione degli elefanti dell’Eritrea, molto probabilmente i discendenti di quelli che i Tolomei usavano in battaglia. Non esisterebbe, però, alcuna sottospecie estinta più piccola perché gli esemplari in questione sono Loxodonta africana senza alcun legame genetico con gli asiatici o con gli africani delle foreste. Polibio, quindi, come spesso accadeva, si potrebbe essersi fatto influenzare da leggende, come quella che affermava che gli elefanti dell’India fossero i più grandi e feroci.

Per maggiori informazioni, vi consiglio di leggere l’articolo sul numero di gennaio-febbraio del Journal of Heredity.

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Individuata abitazione di sacerdoti nei pressi delle piramidi di Giza

Durante un convegno organizzato a Toronto dalla Society for the Study of Egyptian Antiquities, Richard Redding ha presentato le ultime scoperte fatte dalla missione dell’Ancient Egypt Research Associates a Giza. Scavando la città che si trovava a soli 400 m a sud della Sfinge, sarebbe stato individuato un centro residenziale-cultuale dell’epoca di Micerino (2535-2515 a.C.).

giza-discoveries-11L’abitazione, di almeno 21 stanze, apparteneva sicuramente a funzionari di altissimo rango perché, nelle immediate vicinanze, è stato scoperto un cumulo di spazzatura con sigilli recanti vari titoli di scriba reale e 100.000 ossa, per lo più di vitello. Infatti, oltre a qualche ovino o caprino, tutti i resti animali appartengono a giovani bovidi che non superavano i 18 mesi. Per di più, esiste una chiara predominanza di arti posteriori. Questa particolarità fa pensare che tali ossa fossero ciò che restava di offerte fatte a un dio, probabilmente al faraone stesso. Infatti, come si può vedere in una qualsiasi delle tante scene d’offerta (come questa sulla sinistra) che ricoprono le pareti di templi e tombe, la parte preferita durante i riti religiosi era proprio il coscio posteriore.

 

papyrusInoltre, sono stati ritrovati quattro denti di leopardo, due nella casa e due nel cumulo. Alcuni sacerdoti, detti sem (nell’immagine, una scena del Libro dei Morti dal Papiro di Hunefer), indossavano proprio una pelle di leopardo con tutta la testa. Quindi, Redding ipotizza che il complesso fosse un’abitazione occupata da alti sacerdoti preposti al culto del sovrano.

Nelle vicinanze, sono state scavate strutture che potrebbero essere collegate: il porto di un canale che collegava al Nilo e una serie di panetterie con silos per le granaglie.

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