Archivi del mese: gennaio 2015

Affiliati all’ISIS distruggono il Museo di El-Arish

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@monznomad (Monica Hanna)

Se da un lato si può gioire per la smentita della distruzione delle mura di Ninive, dall’altro si legge dei gravi attentati che, ieri, hanno sconvolto il nord del Sinai. Un gruppo di affiliati all’ISIS, Ansar Beit al-Maqdis (i “Partigiani di Gerusalemme”) hanno rivendicato su Twitter le offensive simultanee in diverse località del governatorato di El-Arish in cui sono morte circa 30 persone, in gran parte soldati egiziani. Il capoluogo è distante solo 45 km dalla striscia di Gaza ed è stato sottoposto a un attacco kamikaze e a una serie di colpi di mortaio che hanno distrutto una base militare, il quartier generale della polizia e un complesso residenziale. In particolare, l’esplosione dell’autobomba avrebbe danneggiato gravemente anche il Museo di El-Arish (vedi foto), grande edificio che conserva reperti faraonici, copti, islamici e beduini. Ancora non si hanno informazioni sui danni, ma non è la prima volta che il museo viene preso di mira dai jihadisti che vorrebbero uno “Stato del Sinai”. Ovviamente, la gravità del fatto non può essere messa a confronto con le numerose vite perse.

 

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Spagna, sequestrati reperti egizi dal valore di 300.000 euro

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Source: diariovasco.com

In Spagna, il Comando per la Tutela del Patrimonio Storico della Guardia Civil ha sgominato un’organizzazione criminale internazionale che stava mettendo sul mercato nero 36 reperti egizi, valutati da esperti del Museo Archeologico di Madrid intorno ai 300.000 euro. I pezzi sequestrati (e non scoperti… Ogni riferimento a ministri dei Beni Culturali è puramente casuale) proverrebbero da scavi illegali a Saqqara e a Mit Rahina e comprendono, tra gli altri, quattro grandi vasi canopi in calcare, alcuni bronzetti e una testa in diorite di Sekhmet (foto in basso) che, da sola, varrebbe un terzo della somma totale. Nell’operazione, sono stati arrestati a Barcellona e a Tortosa quattro cittadini egiziani e un antiquario spagnolo accusati di traffico di beni culturali, riciclaggio di denaro e affiliazione a gruppo criminale internazionale e rischiano fino a 15 anni di carcere. In contemporanea, la polizia egiziana ha fermato altri due uomini ad Alessandria da dove è partito il carico diretto al porto di Valencia.

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Source: noticias.lainformacion.com

 

 

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Il Belgio restituirà all’Egitto uno scheletro di 35000 anni

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Permettetemi un piccolo sconfinamento nella paleoantropologia. Dopo anni di trattative diplomatiche, il Belgio restituirà all’Egitto l’Uomo di Nazlet Khater, il più antico scheletro completo di un essere umano moderno del Nord Africa. I resti, datati con il C14 a 35-30.000 anni fa (Paleolitico Superiore), erano stati individuati nel 1980 dalla missione del Belgian Middle Egypt Prehistoric Project a Nazlet Khater, governatorato di Sohag, e appartenevano a un ragazzo morto a 17-20 anni, alto 1,60 m. Dal momento della scoperta, le ossa sono state conservate presso la Katholieke Universiteit Leuven perché, all’epoca, la legge egiziana permetteva alle missioni straniere di tenere parte dei reperti. Ora, lo scheletro verrà esposto nel nuovo Museo Nazionale della Civiltà Egiziana del Cairo.

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Il Ministro delle Antichità ammette i danni alla Maschera di Tutankhamon

10269540_799651983415658_4058502179704487205_nSi è da poco conclusa la conferenza stampa che tutti aspettavamo, tenutasi presso il Museo Egizio del Cairo alle 17:00 locali (in Italia, le 16:00). Come era prevedibile, tutte le smentite ufficiali sui danni provocati alla maschera di Tutankhamon si sono rivelate solo un goffo tentativo di insabbiare la figuraccia. Non potendo più negare l’evidenza, il ministro El-Damaty e tutti i responsabili del museo hanno chiesto scusa per l’increscioso incidente (per le informazioni, ringrazio soprattutto Nigel Hetherington presente alla conferenza). Lo scorso agosto, durante il cambiamento dell’illuminazione della vetrina, alcuni tecnici hanno fatto staccare la barba posticcia, forse resa meno stabile per il cedimento della precedente colla usata nel 1944. Così, per “risolvere” il problema in fretta, un curatore ha deciso di rincollare il pezzo con della resina epossidica (vedi foto).

L’MSA ha affidato l’analisi della situazione a Christian Eckmann, esperto di restauro dei metalli presso il Römisch-Germanisches Zentralmuseum di Mainz, che si era già occupato delle decorazioni d’oro trovate nella KV62. Eckmann ha confermato la presenza della resina, materiale per niente adatto allo scopo anche se spesso utilizzato, e ha aggiunto che, fortunatamente, può essere eliminata attraverso un delicato trattamento. Quindi, il danno non sarebbe irreversibile, sempre che si affidino a persone competenti, questa volta. Resta però un graffio provocato dal curatore nel tentativo di togliere la colla in eccesso, sembra con un raschietto o con della carta vetrata. Ma El-Damaty ha affermato che non è stato possibile capire l’origine di questo graffio (come se mancassero foto della maschera per fare un confronto…) e che, quindi, bisognerà aspettare l’esito di un’indagine interna.

Aggiornamento (28/01/2015):

Sembra che il ministro El-Damaty abbia punito Elham Abdel Rahman, responsabile del dipartimento di restauro del Museo Egizio e moglie del curatore che, secondo le indiscrezioni giornalistiche, avrebbe incollato la barba. La donna è stata trasferita al Museo delle Carrozze Reali, piccola collezione nella Città Vecchia con 8 cocchi e qualche manichino vestito con costumi d’epoca. Temporaneamente al suo posto all’Egizio, Saeed Abdel Hamid, omologo del Museo Copto del Cairo.

 

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La maschera di Tutankhamon è stata danneggiata?

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Source: alaraby.co.uk

Dopo le maschere in cartonnage lasciate in ammollo in acqua e Palmolive, ci mancava solo la barba posticcia di Tutankhamon rincollata con l’Attak… Sembra proprio che alcuni archeologi e restauratori abbiano studiato da Muciaccia! Questa volta niente di confermato, ma, nonostante le smentite ufficiali del ministro El-Damaty e del direttore del Museo Egizio del Cairo, Mahmoud El-Halwagy, continuano a filtrare indiscrezioni sul presunto danneggiamento della maschera funeraria di Tutankhamon.

Un funzionario del museo, che ha voluto mantenere l’anonimato, ha raccontato al sito Al Araby Al Jadeed che, lo scorso ottobre, una squadra di restauratori avrebbe accidentalmente fatto staccare la barba durante le operazioni di pulizia del reperto e, invece di avvertire il Ministero delle Antichità, avrebbe “risolto” con un metodo casalingo. Infatti, la responsabile del team, Elham Abdelrahman, in preda al panico, avrebbe chiamato il marito che, anch’egli impiegato nel rinnovamento del museo, avrebbe riattaccato il prezioso pezzo in oro e lapislazzuli con della resina epossidica, la classica supercolla che usiamo quando ci cade il vaso della nonna. Un ulteriore danno sarebbe stato provocato dal tentativo di raschiare i residui in eccesso della colla solidificata.

Il condizionale è d’obbligo, ma l’immagine proposta sembra evidenziare il problema, soprattutto se paragonata con la foto del Griffith Institute scattata in precedenza.

Aggiornamento:

Cominciano ad uscire le prime dichiarazioni ufficiali (anche se, come detto, ce n’erano state altre già a novembre) rilasciate al sito Ahram Online. Secondo il direttore El-Halwagi, la maschera non ha subito alcun danno perché è costantemente monitorata, ma è stato comunque istituito un comitato di archeologi che valuterà la situazione e stilerà un rapporto dettagliato. Anche il ministro El-Damaty nega la notizia (a novembre aveva affermato di aver controllato con i suoi occhi), dicendo che il materiale trasparente che si vede tra barba e mento è un supporto (non specificato) che viene posto durante le operazioni di pulitura e restauro e poi tolto una volta essiccato.

 

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Due false mummie ai Musei Vaticani

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Source: mv.vatican.va

Alcune mummie possono nascondere una sorpresa. Se ne sono accorti ai Musei Vaticani, quando, nell’ambito del “Vatican Mummy Project”, sono stati analizzati quelli che si credeva fossero i corpi imbalsamati di due bambini. I risultati di questa ricerca verranno presentati oggi alle 16:00 presso la Sala Conferenze dei Musei da, tra gli altri, Alessia Amenta, direttrice del Reparto di Antichità Egizie e del Vicino Oriente, e Ulderico Santamaria, responsabile del Laboratorio di Diagnostica per la Conservazione ed il Restauro.

In particolare, il restauro di una delle due “mummie” di 60 cm ha rivelato l’utilizzo di bende di epoca faraonica cosparse, però, di una resina presente solo in Europa. La copertura, invece, è realizzata in cartonnage con una lamina di stagno sul volto, “antichizzata” grazie a una resina gialla. La TAC ha mostrato la presenza di una tibia di adulto risalente al Medioevo, inserita nel groviglio di lino nella prima metà dell’Ottocento.

La realizzazione di questi “tarocchi” era più frequente di quello che si pensasse. La stessa dott.ssa Amenta ne ha individuati circa quaranta in Europa, tra cui due a Firenze, uno a Milano, quattro a Torino e uno a Venezia. Le false mummie erano costruite nel XIX secolo quando, dopo la spedizione in Egitto di Napoleone, collezionisti privati e i primi musei andavano letteralmente a caccia di questi reperti (qui approfondimenti sull’egittomania e sui Mummy Unwrapping Parties). Si creò, così, un vero e proprio business e, si sa, quando circolano tanti soldi, si trovano sempre falsari e polli da spennare.

Per info sulla conferenza: http://mv.vatican.va/2_IT/pages/z-Info/MV_Info_Conferenze37.html

 

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Tombaroli scoprono necropoli greco-romana ad Alessandria

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Source: english.ahram.org.eg

 

Durante un’operazione di polizia, sono stati fermati alcuni uomini che stavano effettuando scavi illegali a Mina el-Basal, località ad ovest di Alessandria. I tombaroli avevano scoperto una necropoli di epoca greco-romana composta da loculi scavati in una parete rocciosa.

Secondo le fonti ufficiali, il bottino sequestrato comprende 20 lucerne, 18 bottiglie in vetro e numerosi contenitori ceramici di diverso tipo (vedi foto a sinistra), alcuni dei quali erano utilizzati per conservare le ceneri dei defunti cremati.

Ora, il ministro delle Antichità El-Damaty ha inviato una missione archeologica per completare lo scavo dell’area che, grazie ai corredi funerari, potrà fornire molte informazioni sulla produzione della ceramica in quel periodo.

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Uno strano amuleto egittizzante scoperto a Cipro

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Source: livescience.com

La notizia non è recentissima perché la scoperta risale al 2011 e la pubblicazione (“Studies in Ancient Art and Civilization” n°17) al 2013, ma l’ho letta solo pochi giorni fa e mi è sembrata interessante. Gli archeologi polacchi diretti da Ewdoksia Papuci-Wladyka (Uniwersytet Jagielloński, Cracovia) hanno trovato nell’acropoli di Nea Paphos, Cipro sudoccidentale, un amuleto con elementi egittizzanti di 1500 anni fa. Si tratta di un ovale in siltite (39 x 41 x 4 mm) inciso su entrambi i lati. Su una faccia, si legge una formula palindroma in greco che dice:

ΙΑΕW  ΒΑΦΡΕΝΕΜ  ΟΥΝΟΘΙΛΑΡΙ  ΚΝΙΦΙΑΕΥΕ  ΑΙΦΙΝΚΙΡΑΛ  ΙΘΟΝΥΟΜΕ  ΝΕΡΦΑΒW  ΕΑΙ

“Yahweh è il portatore del nome segreto, il leone di Ra sicuro nel suo tempio”

Sull’altra, invece, troviamo una strana rappresentazione schematica di temi egiziani con Osiride mummificato sopra una barca, Arpocrate, il dio bambino riconoscibile dal dito portato alla bocca, seduto in trono, un altro personaggio indicato dall’autore dello studio come cinocefalo e figure animali (coccodrillo, gallo e serpente) e astronomiche (luna e stella). Durante il V-VI secolo, nell’Impero Romano d’Oriente, il Cristianesimo era già la religione ufficiale, ma le tradizioni pagane erano ancora radicate nei culti domestici creando la commistione di fedi che è evidente dall’amuleto che aveva un valore apotropaico. Chi ha realizzato l’oggetto, però, non doveva conoscere a pieno i temi egiziani, tanto da rielaborarli in modo errato. Infatti, oltre ad aver commesso un paio di sviste nel testo, ha posto Arpocrate su un trono, quando di solito è rappresentato su un fiore di loto, e ha decorato il suo corpo, come del resto quello del “cinocefalo”, con le stesse bende che avvolgono il cadavere di Osiride.

Per maggiori informazioni sulla missione: http://www.paphos-agora.archeo.uj.edu.pl/

 

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Maschere funerarie, il più antico vangelo e bagnoschiuma: continua la polemica

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L’archeologia biblica e lo studio di antichi testi religiosi hanno sempre fatto presa sulla gente per i risvolti misteriosi e controversi che vengono amplificati ad arte dai media (non a caso, tra tutti gli articoli che ho scritto su questo blog nel 2014, il più letto è risultato quello sul papiro dell’Ultima Cena). Così, soprattutto nel web, circolano decine di scoop, o sedicenti tali, su vangeli apocrifi, matrimoni di Gesù, Opus Dei e via dicendo. Da un po’ di tempo, leggo una di queste notizie che, se non fosse per le conseguenze disastrose che sta provocando, mi avrebbe strappato più di una risata. Avevo deciso di ignorarla, ma visto che in questo periodo sembra sia balzata di nuovo agli onori della cronaca, è arrivato il momento di chiarire alcuni punti. Qui riportarò le mie riflessioni, sicuramente insufficienti, ma potete leggere le osservazioni molto più autorevoli di studiosi (come Paul BarfordRoberta Mazza e Brice Jones) che, ormai dal 2012, stanno criticando aspramente i risultati di una strana ricerca.

Un gruppo di studiosi guidati da Scott Carroll, ex direttore della “Green Collection” (una raccolta di oltre 40.000 manoscritti biblici e altri reperti correlati conservati presso il “Museum of the Bible” di Washington D.C.), ha ideato un metodo “innovativo” per estrapolare antichi documenti dalle maschere funerarie delle mummie egizie. Infatti, il cartonnage con cui erano realizzate è fatto di strati di lino o papiro ricoperti di stucco dipinto. Il papiro era un materiale molto costoso, quindi si tendeva a riciclare fogli già usati che, a volte, presentano ancora i testi intatti. Il geniale metodo, che permette di sciogliere il collante e conservare l’inchiostro, consiste, come si può vedere dalla foto, nel mettere in ammollo le maschere in acqua e Palmolive (non ho scelto una marca a caso ma quella indicata da Carroll. Sponsorizzazione? Particolari proprietà del sapone? Unico prodotto che era in casa in quel momento?).

In questo modo, si sarebbero recuperati appunti amministrativi, lettere personali, testi filosofici e, addirittura, copie di Omero. Pazienza se, così facendo, le maschere vengono distrutte; ma tanto, come ha affermato Josh McDowell, si tratta di oggetti di scarsa qualità. Una tale distinzione tra “figli e figliastri” nei confronti dei reperti sarebbe come minimo strana in archeologia e, infatti, McDowell non è un addetto ai lavori ma un apologista evangelico e il teorico del gruppo (vi prego, leggetevi i curricula!). Un’altra sua uscita poco felice è stata quella sul rischio di danneggiare supporti così delicati: “Dal momento che i manoscritti sono i nostri, è tutto OK!”. Alcuni pezzi, infatti, appartengono alla sua collezione privata, mentre le altre maschere proverrebbero da musei, università o collezionisti privati che, dopo il procedimento, dovrebbero tornare in possesso dei papiri risultanti. Una porcheria del genere in Italia non sarebbe concepibile, ma, evidentemente, l’apparato legislativo americano permette ai proprietari di fare qualsiasi cosa con le loro antichità.

Tutti i testi studiati saranno pubblicati prima della fine del 2015, anche se i precedenti annunci prevedevano il 2013 e poi il 2014. Ogni persona che partecipa al progetto ha sottoscritto un accordo di riservatezza con il divieto di divulgare qualsiasi dato. Ma, già nel 2012, Dan Wallace, docente presso il Dallas Theological Seminary, aveva fatto trapelare la scoperta più importante (come se non fosse stato tutto previsto…): il più antico vangelo conosciuto. Ad oggi, le prime attestazioni canoniche del Nuovo Testamento risalgono al II secolo (in particolare, il “Papiro 52”, con il Vangelo di Giovanni, al 125 circa), mentre un piccolo frammento del Vangelo di Marco ricavato da una maschera sarebbe stato datato a prima del 90. Tale conclusione sarebbe il frutto di un mix di analisi paleografica e C14, ma, in mancanza del sarcofago e dei nomi degli esperti che hanno effettuato la datazione, sembra solo una congettura. E pur prendendo per buono il radiocarbonio, il papiro, come è successo per le maschere, potrebbe essere stato riutilizzato in seguito.

In attesa della fatidica pubblicazione, è difficile approfondire ulteriormente la faccenda, ma destano non poche perplessità le metodiche dello studio e la presenza ingombrante di McDowell che sta sfruttando queste notizie per confermare le sue tesi estremiste sulla storicità assoluta di ogni nozione scritta sulla Bibbia, compresi Diluvio Universale e creazionismo. E voi vi fidereste di uno studio sulla salubrità degli hamburger finanziato da McDonald’s?

 

 

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“L’Egitto di Provincia”: Villa Adriana e l’Antiquarium del Canopo

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Source: s377.photobucket.com

Lo scorso 7 dicembre, approfittando della bella giornata e della “Domenica al Museo” del MiBAC, sono andato a Tivoli per visitare Villa Adriana, la spettacolare residenza extra moenia dell’imperatore Adriano (76-138). L’enorme sistema di costruzioni, oggi patrimonio dell’umanità UNESCO, venne realizzato tra il 118 e il 138 e doveva coprire almeno 120 ettari. La complessità della Villa, oltre a dipendere dall’andamento irregolare del territorio, rispecchia la personalità e, di conseguenza, la politica di Adriano che, amante delle arti e della filosofia, passò gran parte del suo regno lontano da Roma per visitare tutte le provincie dell’impero, soprattutto quelle orientali. Di questi viaggi, l’imperatore volle mantenere il ricordo portando in Italia opere d’arte e riproducendo a Tivoli edifici caratteristici delle diverse mete toccate. Non mancò di certo l’Egitto in cui Adriano soggiornò per 10 mesi, tra il il 130 e il 131, e dove perse il suo giovane amante, Antinoo, annegato nel Nilo e, per questo, divinizzato.

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Source: tibursuperbum.it

Nell’architettura della Villa, la presenza di elementi egittizzanti è cospicua, rispecchiando la moda esotica che era esplosa nell’arte decorativa romana soprattutto dopo la battaglia di Azio (30 a.C.). Nel corso dei secoli, già a partire dal ‘500, sono stati molti i ritrovamenti legati alla Valle del Nilo, anche se nella quasi totalità si tratta solo di rielaborazioni locali di temi faraonici. Statue di Iside, Serapide, sacerdoti, sfingi e coccodrilli riflettono anche l’apertura e la ricettività della religione romana per i culti esteri. Per l’opinione comune, l’area più legata all’Egitto è quella del Canopo e del Serapeo (vedi foto in cima all’articolo) a causa, però, di errate interpretazioni del passato. Fu l’architetto Pirro Ligorio, che nel XVI sec. scavò nel sito su commissione d’Ippolito d’Este, a chiamare la lunga vasca come il canale che collegava l’omonima città ad Alessandria. Ma la presenza di un coccodrillo, una Iside e della personificazione del Nilo (vedi in alto) non basta ad avvallare tale ipotesi; inoltre, la struttura venne costruita prima del 130. Invece, la grotta-ninfeo sul fondo fu definita come tempio di Serapide (Piranesi la definiva “Sacrario di Nettuno”) negli anni ’50 perché si pensava che da qui provenissero due telamoni in granito rosso che rappresentano Antinoo con nemes e shendit (oggi ai Musei Vaticani. Vedi a sinistra).

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Source: antinopolis.org

Statue che, invece, appartengono all’Antinoeion (vedi ricostruzione in alto), tomba-tempio realizzata per celebrare Antinoo-Osiride e, forse, per conservarne i resti mummificati. Scoperta solo nel 2002 di fronte alle “Cento Camerelle”, la struttura ricalca la planimetria dei serapei e, probabilmente, vedeva la presenza del cosiddetto “Obelisco Barberini” (ora sul Pincio), su cui sono incise in geroglifico le regole del culto del giovane identificato con il dio dei morti. L’Antinoeion era adornato da marmi pregiati e conservava diverse opere egizie o egittizzanti, come statue di divinità e sacerdoti, un capitello hathorico, un rilievo con rappresentazione di un trono e sema-tawy, una sfinge, un ureo con disco solare e un frammento faraonico originale di una statua assisa con il cartiglio di Ramesse II.

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Source: archeologia.beniculturali.it/index.php?it/142/scavi/scaviarcheologici_4e048966cfa3a/386

L’altra area strettamente legata all’Egitto si trova ai margini della Villa ed è conosciuta come “Palestra”. Anche questa è una vecchia interpretazione errata, ormai adottata stabilmente, di Pirro  Ligorio che, alla ricerca di statue per abbellire Villa d’Este, scoprì tre busti in marmo rosso che identificò come atleti, ma che, in realtà, rappresentano sacerdoti di Iside (conservati presso i Musei Capitolini), riconoscibili dal capo rasato e dal colore stesso del materiale scelto. Il complesso, infatti, non era adibito agli esercizi ginnici ma, con tutta probabilità, ai culti egiziani. L’area è stata sottoposta a nuovi interventi di scavo e restauro dal 2005, tutt’ora in corso, quindi non è compresa nel consueto percorso di visita. Ma, proprio il 7 dicembre, in occasione della “Giornata Nazionale dell’Archeologia, del Patrimonio Artistico e del Restauro”, i turisti hanno potuto accedere al cantiere accompagnati da una guida di eccezione, Zaccaria Mari, il responsabile dello scavo.

Grazie al lavoro degli archeologi della Soprintendenza del Lazio, si è compresa la vera destinazione dei sette edifici. Il centro religioso era composto da una sala con doppio portico (detta “Piazza”, ma con soffitto e aperta ai lati), un giardino pensile, un cortile porticato, un’aula ipostila basilicale preceduta da una larga scala (vedi foto in alto) e tre grandi aule monumentali a croce greca ancora non scavate. Oltre ai busti dei sacerdoti, sono state trovate molte altre statue a carattere egittizzante: Iside, Iside-Demetra (ai Vaticani), un offerente con vaso canopo, il corpo di un ibis in marmo (testa e zampe, che erano in bronzo, sono andate perdute) e, soprattutto, una sfinge acefala (2006) e, nella scorsa primavera, uno splendido Horus in forma di falco (vedi in basso). Un affresco da Ercolano mostra proprio una celebrazione isiaca con sacerdoti, ibis, sfingi e scalinata, confermando, così, l’interpretazione di tempio della dea per l’aula basilicale.

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Source: roma.repubblica.it

La sfinge e Horus sono i pezzi forti del nuovo allestimento dell’Antiquarium del Canopo dedicato alle ultime scoperte effettuate nella “Palestra”, compresi alcuni esempi di statuaria classica, come una copia del “Doriforo” di Policleto. Inoltre, al piano superiore, c’è anche l’esposizione permanente del ciclo del Canopo con gli originali del coccodrillo e della personificazione del Nilo. Ovviamente, trattandosi di materiale inedito, non ho potuto fare foto né al cantiere né alle opere esposte nell’Antiquarium, ma potete vedere il tutto nel servizio di RaiNews (dove, fra l’altro, spunta anche il sottoscritto al secondo 38).

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