Archivi del mese: ottobre 2015

“The Pyramid” (blooper egittologici)

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«Dobbiamo trovare una via d’uscita!», gridarono gli spettatori nelle sale…

Per Halloween ho deciso di recensire un horror egizio e, sfortunatamente, ho scelto il più recente: “The Pyramid” (titolo tradotto in Italia, questa volta letteralmente, con “La Piramide”), film della fine del 2014 che è riuscito nell’insperato intento di strappare a “Natale sul Nilo” la palma di peggiore pellicola della rubrica “Blooper egittologici”.

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L’opera prima di Grégory Levasseur (meglio avesse continuato a fare solo lo sceneggiatore) è un falso documentario ambientato nell’Egitto post-rivoluzionario del 2013. Una troupe televisiva arriva nel Paese per girare un servizio su una stupefacente scoperta compiuta da una missione americana: una nuova piramide! Così, archeologi e giornalisti entrano nella struttura, ma vi incontreranno presenze malvagie (udite, udite, non si tratta di una mummia!). Il found footage con le riprese in prima persona (il mockumentary è piuttosto inflazionato nei film del terrore), location misteriosa, spazi angusti e labirintici, creature orribili sfuggenti sono gli ingredienti perfetti per incutere una paura claustrofobica. O meglio, avrebbero potuto esserlo perché il risultato è un andirivieni noiosissimo di 90 minuti dei protagonisti che corrono nel buio (ho perso qualche diottria nel vedermelo) da un angolo all’altro della piramide prima che vengano fatti fuori uno dopo l’altro da mostri realizzati (male) in CGI. Gli attori hanno espressioni facciali da soap argentina, si avventurano in discorsi demenziali e reagiscono alle situazioni in un modo per niente naturale (es. mentre uno dei personaggi sta morendo con un masso che gli spappola la gamba, si continua a parlare di geroglifici). Da questa premessa, sembrerebbe che stia parlando di un prodotto di serie B dell’Asylum, invece si tratta di una produzione da 6,5 milioni di dollari della 20th Century Fox.

Ho già cominciato con gli spoiler dall’introduzione, ma chi se ne frega! Tanto si sa che, negli horror, la bella protagonista è l’unica che si salva e lo scemo di turno muore per ultimo per garantire al film qualche battuta che allenti la tensione. Quindi, partiamo con la storia.

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Il Dott. Miles Holden (Denis O’Hare) e sua figlia Nora (Ashley Hinshaw) scoprono 400 chilometri a sud del Cairo un’intera piramide sepolta nel deserto tramite immagini satellitari e altri sistemi futuribili. Quest’idea sarà sicuramente nata dalla bufala circolata nel 2012 di una autodefinitasi “satellite archaeology researcher” che sosteneva di aver individuato quattro piramidi, in realtà conformazioni naturali, con Google Earth. È evidente quanto possa essere improbabile che una costruzione alta 180 metri (quella di Cheope raggiunge “solo” i 146) e perfettamente conservata possa essere ricoperta dalla sabbia senza il minimo dislivello sul terreno. La particolarità del monumento è la base triangolare; per questo, il Dott. Holden l’attribuisce a quella di Akhenaton descritta dalle fonti, mentre la figlia è convinta che sia molto più antica. Bisogna ricordare, però, che l’utilizzo di questa tipologia di grandi tombe reali termina ben quattro secoli prima dell’età amarniana e, ovviamente, non esiste alcun testo che parli di una “piramide perduta”. I super sensori del satellite, a quanto pare, riescono a penetrare per metri anche nella roccia, così si scopre uno strano tunnel che, dal pyramidion, gira attorno alla struttura e arriva all’entrata nella base. Ma, nell’aprire l’ingresso, i presenti vengono investiti da una nube verde tossica (uno dei tanti cliché che caratterizza l’accezione popolare dell’antico Egitto); quindi, si manda avanti “Shorty”, un rover della NASA ispirato ai robot, Upuaut e poi Djedi, usati per indagare i canali di areazione della Piramide di Cheope. Una volta dentro, però, il mezzo perde il contatto radio a causa, secondo la squadra, di qualche cane randagio.

PyramidMovieNightNon è facile lasciare un’attrezzatura da tre milioni di dollari sotto terra e Michael, l’ingegnere responsabile, decide di andarla a recuperare, seguito dagli Holden, dalla giornalista Sunni e dal cameraman Fitzie. Il gruppo, nonostante sia equipaggiato di tutto punto (il kit “archeologico” prevede anche un cavo d’acciaio, respiratori, luminol e torcia UV), si perde tra i cunicoli e, ben presto, si accorge che Shorty non era stato danneggiato da qualche cane. Uno dopo l’altro muoiono a causa di trappole (altro cliché), di “gatti sfinge” cannibali messi lì da millenni come guardiani della piramide (eppure gli Sphynx sono così dolci) e di qualcosa di decisamente più grosso. Solo quando rimangono in due (come anticipato, la bella e lo scemo), si capisce che la creatura è addirittura Anubi. Nella camera funeraria, infatti, Nora legge sul sarcofago che quella è la tomba di Osiride, costruita dagli antichi Egizi per imprigionare il sanguinario dio sciacallo. Anubi, per seguire il padre nell’Aldilà, ha bisogno di trovare un cuore puro, così continua a mietere vittime  legandole a una bilancia, strappando loro il muscolo cardiaco e pesandolo con una statuetta di Maat. Si tratta del giudizio dei defunti descritto nel capitolo 125 del Libro dei Morti. Tra gli altri, anche Miles subisce questa sorte e, quando Anubi, erroneamente definito “Il divoratore”, mangia il suo cuore corrotto, si mummifica all’istante. Proprio qui sta l’errore più grande del film. Nella psicostasia, è effettivamente il dio a mettere sulla bilancia cuore e piuma, ma, in caso di esito negativo, è Ammit a papparsi l’anima. Eppure, poco prima, il gruppo era passato proprio davanti a una rappresentazione della “pesatura dell’anima” in cui compare anche la “Grande divoratrice”, mostro ibrido formato da parti di coccodrillo, leone e ippopotamo (vedi in basso). In ogni caso, Anubi cattura anche Nora che, però, riesce a slegarsi e a scappare attraverso un condotto fin quasi all’imbocco del tunnel (ah, dimenticavo, scavato da massoni alla fine dell’800…). Qui, stremata, viene raggiunta da un bambino che raccoglie la sua telecamera e… finale che lascia campo a un seguito, purtroppo.

Alcune cose non dovrebbero mai essere scoperte, come certi film.7

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Gebelein, attribuito tempio ad Hatshepsut grazie allo studio delle iscrizioni

Source: http://scienceinpoland.pap.pl/en/news/news,407046,polish-archaeologists-discovered-an-unknown-temple-of-hatshepsut.html

Source: scienceinpoland.pap.pl/en/news/news,407046,polish-archaeologists-discovered-an-unknown-temple-of-hatshepsut.html

Egittologi del Centro Polacco di Archeologia del Mediterraneo (Università di Varsavia), grazie allo studio dei testi incisi sulle pareti, sono risaliti alla datazione di un tempio rupestre a Gebelein, 30 km a SE di Luxor. Il santuario scavato nella collina era già noto da molto tempo, ma non era mai stato indagato scientificamente a causa del pessimo stato di conservazione delle decorazioni e delle iscrizioni. Ora, però, la squadra diretta da Wojciech Ejsmond è riuscita a ottenere dati finora sconosciuti utilizzando moderne tecniche di image processing e fotogrammetria che hanno permesso di leggere segni invisibili a occhio nudo. Daniel Takács si è occupato della traduzione dei testi e ha capito che il tempio era dedicato ad Hathor “Signora di Gebelein” (d’altronde, l’antico nome della città era proprio Per-Hathor) e a un secondo dio che potrebbe essere Amon-Ra; in quest’ultimo caso, però, la decifrazione è molto più difficile perché nome e immagini della divinità sono stati scalpellati, probabilmente in età amarniana. Lo studioso polacco è arrivato anche ad attribuire la costruzione della struttura e la prima fase della decorazione ad Hatshepsut (1479-1457) per via di alcuni frammenti di geroglifici che presentano la desinenza femminile “-t”. Non è leggibile il nome della regina perché i suoi cartigli sono stati cancellati a causa della damnatio memoriae, verosimilmente a opera del figliastro Thutmosi III.

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Identificato il più antico “abbecedario” conosciuto

Un ostrakon egizio del XV secolo a.C. sarebbe il più antico esempio di “abbecedario” conosciuto finora. Ad affermarlo è Ben Haring (Universiteit Leiden) che ha decifrato lo strano testo in ieratico dipinto con inchiostro nero sui due lati di una scaglia di calcare. L’oggetto, di 9 x 8,5 cm, era stato scoperto nel 1992 dalla missione diretta da Nigel Studwick (University of Cambridge) a Tebe Ovest, nella tomba di Senneferi (TT99), ministro del Tesoro sotto Thutmosi III (1457-1424).

La lingua egizia, ovviamente, non è alfabetica come la nostra, ma sembra che l’ostrakon presenti comunque una lista di parole ordinata per il rispettivo primo suono, posizionato sulla colonna di sinistra. Non abbiamo quindi la successione A-B-C (’alef-beth-gimel) ma il sistema “Halaḥam” (HLḤM), tipico di Egitto, Sud Arabia ed Etiopia.

Lo studio è stato pubblicato sull’ultimo numero del Journal of Near Eastern Studies: “Halaḥam on an Ostracon of the Early New Kingdom?”

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Inaugurato il museo all’aperto di Kiman Faris (Fayyum)

Source: MSA

Source: MSA

Un’ora fa, nella sede del Ministero delle Antichità al Cairo, El-Damaty ha inaugurato ufficialmente il museo all’aperto di Kiman Faris, la più grande città greco-romana del Fayyum. Con il nome originario di Crocodilopolis, il centro dedicato al culto di Sobek fu fondato da Tolomeo II Filadelfo (285-246) per istallare i mercenari del suo esercito. I lavori di restauro e conservazione del sito erano stati affidati già dal 2012 all’architetta Agnieszka Dobrowolska (ARCHiNOS Architecture) per conto dell’URU Fayum Project (UCLA, Rijksuniversiteit Groningen e University of Auckland), progetto internazionale nato per lo studio dello sfruttamento di terra e acqua e dello sviluppo dell’agricoltura nel Fayyum nel corso dei millenni, con particolare attenzione per la ricostruzione del paesaggio antico e delle variazioni climatiche nell’area.

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“ScanPyramids”: le tecnologie più avanzate per scoprire i segreti delle piramidi

Piramide romboidale di Dashur (Source: commons.wikimedia.org)

Piramide romboidale di Dashur (Source: commons.wikimedia.org)

Come insegna la vicenda della tomba di Tutankhamon, ci sono cose che abbiamo sotto il naso da millenni e che ancora non conosciamo a fondo. Tra queste, anche le piramidi di IV dinastia. Studi compiuti nel corso degli anni sulle strutture di questi grandiosi monumenti funerari hanno evidenziato alcune anomalie che fanno pensare a qualcosa celato sotto centinaia di migliaia di tonnellate di pietra. Per dirimere questi dubbi, stamattina, il ministro delle Antichità El-Damaty ha lanciato ufficialmente “ScanPyramids”, progetto internazionale che, con l’ausilio delle tecnologie più avanzate, avrà il compito di analizzare le piramidi di Dashur e Giza e di individuare eventuali camere o corridoi nascosti. La facoltà d’Ingegneria dell’Università del Cairo e il francese HIP.institute (Heritage, Innovation and Preservation) coordineranno una squadra di esperti che arrivano anche dal Canada, Université Laval, e dal Giappone, Nagoya University.

ImmagineDall’inizio di novembre fino alla fine del 2016, verrà attuata tutta una serie di indagini diagnostiche non distruttive che eviteranno carotaggi o aperture di qualsiasi tipo. Si partirà dalla termografia a infrarossi che garantirà una mappatura delle superfici con i vari comportamenti termici dovuti a materiali o densità diverse (es. vuoti sotto le coperture). Poi si passerà alla fase più innovativa grazie alla radiografia muonica, tecnica che misura la quantità assorbita dei muoni (particelle con carica negativa che fanno parte dei raggi cosmici; vedi immagine a sinistra) dopo aver attraversato le piramidi. Questo metodo è stato elaborato in Giappone per il monitoraggio dei vulcani (recentemente anche per il Vesuvio) ed è stato applicato per verificare, a distanza di sicurezza, la situazionedei reattori di Fukushima dopo l’incidente nucleare del 2011. In questo modo, infatti, è possibile “vedere” le strutture interne, compreso il nucleo (in roccia viva o muratura?) ed eventuali camere segrete. Infine, si ricostruiranno in 3D i siti di Dashur e Giza con una precisione al centimetro grazie alla fotogrammetria da drone e ai laser scanner.

La prima piramide a essere “visitata” sarà la “Piramide romboidale” di Snefru (2630-2609) con la sua forma a doppia pendenza (foto in alto). Trovare il motivo di questa caratteristica è proprio uno degli obiettivi della missione. Tra le varie ipotesi, si è pensato che il cambiamento d’inclinazione sia dovuto a una correzione in corso d’opera di un progetto errato, all’accelerazione dei lavori in prossimità della morte del faraone (un angolo meno acuto avrebbe portato a una diminuzione del volume da costruire) o a una precisa scelta per gravare meno su camere e corridoi. Per le ultime due teorie, il passaggio dai 54°46′ ai 43°60′ ha portato a un’altezza di 105 metri invece dei 128,5 se l’andamento fosse stato continuo. ScanPyramids prevede lo studio anche della cosiddetta “Piramide rossa”, sempre di Snefru e a Dashur, e delle piramidi di Cheope (2605-2580) e Chefren (2570-2546?) a Giza.

http://www.scanpyramids.org/

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Smentiti danni alla maschera di Tutankhamon (ma un incidente c’è stato lo stesso)

Source: ancient-egypt.co.uk

Source: ancient-egypt.co.uk

Non c’è pace per Tut! Nelle scorse ore, alcuni siti in lingua araba hanno fatto circolare l’allarmante notizia di nuovi presunti danni alla maschera d’oro di Tutankhamon. Il prezioso reperto, ora sotto restauro nella Sala 55 del Museo Egizio del Cairo, sarebbe caduto a terra a causa dell’irruenza di una scolaresca in gita. Oggi, fortunatamente Khaled el-Enany, supervisore generale del museo, ha smentito categoricamente questi rumors; però, allo stesso tempo, ha affermato che l’incidente ha interessato un altro pezzo del corredo del faraone. Ieri, infatti, un gruppo di studenti in visita al tesoro si è accalcato contro la vetrina che conserva, di certo non in modo adeguato, la statua in legno dipinto che rappresenta il sovrano bambino che, come personificazione del dio Nefertum, spunta da un fiore di loto (JE 60723). Le conseguenti vibrazioni contro il vetro avrebbero fatto inclinare leggermente la testa senza altre ripercussioni. El-Enany ha comunque aggiunto che un gruppo di tecnici ha ristabilito la sua posizione originaria dopo circa un’ora.

La maschera d’oro, invece, è stata spostata il 10 ottobre solo per facilitare le operazioni di ripristino e non sarà visibile al pubblico fino al completamento del restauro. Il ministro El-Damaty, però, ha concesso l’accesso alla stampa, da oggi fino alle 15.00 del 20 ottobre, che potrà filmare l’avanzamento dei lavori. Per non creare una pericolosa calca ed evitare che si ripetano di nuovo imprevisti, potranno entrare nella sala solo tre telecamere alla volta.

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Un coccodrillo a 8 teste!

Source: theguardian.com

Source: theguardian.com

Quasi come l’idra di Lerna! In occasione dell’inaugurazione di “Gifts for the Gods: Animal Mummies Revealed”, mostra del Manchester Museum sulle mummie animali (8 ottobre 2015 – 17 aprile 2016), la curatrice Lidija McKnight ha presentato anche un coccodrillo a otto teste! Niente di sovrannaturale, ma il risultato di una consuetudine che si diffuse nella società egiziana in epoca tarda. Le TAC alla mummia 12008 del museo britannico, infatti, hanno rivelato la presenza di quattro crani di coccodrillo infilati in un bastone e tenuti legati con bende ai resti di altri quattro piccoli rettili. Il tutto era stato poi “impacchettato” per dare la forma di un vero animale imbalsamato.

Come rivela l’Ancient Egyptian Animal Bio Bank Project, diretto dalla stessa McKnight, solo 1/3 delle mummie animali conterrebbe il corpo di un singolo esemplare; per il resto, abbiamo miscugli di ossa, legno, fango, sabbia, piume, gusci d’uovo, paglia venduti ai fedeli come ex voto da donare agli dèi. In questo caso, guardando la decorazione geometrica e gli inserti per gli occhi, il “tarocco” risalirebbe all’epoca romana.

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La crisi economica affossa il Ministero delle Antichità

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Banconota da 1 LE = 0.112166 €

In tempi di crisi economica, si sa, il settore più falcidiato dai tagli dei finanziamenti pubblici è quello della cultura. Il discorso vale soprattutto per il sistema egiziano perché, alla recessione globale, si sono aggiunti tutti i problemi nati con la “Primavera araba” e la conseguente instabilità politica. Basta vedere il budget statale messo a disposizione per il Ministero delle Antichità che è passato dai 1,3 miliardi di lire egiziane (circa 146 milioni di euro) del 2011 ai 125 milioni attuali (14 milioni). Una decurtazione del 90% in soli 4 anni! Questi sono i dati che ha presentato il ministro El-Damaty nell’ultima conferenza stampa cercando, in un certo senso, di giustificare una gestione sempre più difficile del patrimonio storico del paese: le missioni archeologiche locali diminuiscono, i restauri dei siti sono bloccati e la costruzione di musei è decisamente rallentata. Esemplari sono i casi del Grand Egyptian Museum e il Museo Nazionale della Civiltà Egiziana la cui inaugurazione è rimandata da anni ormai. Più della metà dei fondi pubblici è impiegata per pagare lo stipendio dei 39.000 dipendenti del ministero, comunque 7000 in meno rispetto al periodo pre-rivoluzione. I ricavi dai biglietti di musei e siti e dai bazar turistici affiliati non bastano, per questo si è cominciato a cercare altri progetti di self-funding come la vendita di riproduzioni di reperti archeologici e, soprattutto, le mostre all’estero come le recenti “Osiris, Egypt’s Sunken Mysteries” a Parigi e “The Golden Pharaohs and Pyramids: The Treasures from the Egyptian Museum, Cairo” a Tokyo.

Se poi aggiungiamo una gestione criminale delle somme stanziate per il ministero, la situazione si fa buia. A tal proposito, è di ieri la notizia di un’indagine amministrativa lanciata per verificare una presunta appropriazione indebita di una parte dei 150 milioni LE (16,8 milioni €) donati all’Egitto da altre nazioni, soprattutto Giappone, per la costruzione del GEM.

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Al Museo Egizio del Cairo, una mostra sulle antiche calzature

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Oggi, alle 18:00, presso la Sala 44 del Museo Egizio del Cairo, sarà inaugurata una mostra temporanea sulle antiche calzature. Attraverso 47 reperti da musei e da recenti scavi, “Stepping Through Time: Footwear in Ancient Egypt” illustrerà l’evoluzione delle forme, delle tecniche artigianali e dei materiali riferibili a scarpe e sandali dal Predinastico al periodo di dominazione ottomana. Non saranno dimenticate le simbologie religiose e funerarie legate a questo tipo di oggetti; infatti, sarà possibile ammirare anche pezzi dal corredo di Tutankhamon. La mostra, che si chiuderà il 30 dicembre (bisogna ricordare che, in quel mese, si potranno scattare liberamente foto nel museo), è il risultato finale dell’Ancient Egyptian Footwear Project di André J. Veldmeijer (Netherlands-Flemish Institute in Cairo).

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“EGITTO. Splendore millenario” (Bologna, 16 ottobre 2015 – 17 luglio 2016)

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Dal 16 ottobre 2015 al 17 luglio 2016, i quasi 1000 km che dividono Bologna e Leida sembreranno molti di meno. “Egitto. Splendore millenario” unirà le collezioni egizie del Museo Civico Archeologico di Bologna, che ospiterà la mostra, e del Rijksmuseum van Oudheden in Leiden, tra le prime dieci al mondo. Dall’Olanda arriveranno 500 reperti dal Predinastico al periodo romano che si uniranno ad altri pezzi in prestito dai musei egizi di Torino e Firenze in uno spazio espositivo di 1700 m². Questa particolare collaborazione permetterà, per la prima volta dopo oltre 200 anni dalla scoperta della tomba di Horemheb a Saqqara, di ammirare insieme i principali rilievi della sepoltura dell’ultimo faraone della XVIII dinastia, spartiti tra Firenze, Bologna e Leida. Ma saranno tanti altri i capolavori da non perdere. L’esposizione è curata da Paola Giovetti, direttrice del Museo, e Daniela Picchi, referente della sezione egiziana.

Per maggiori info: http://www.mostraegitto.it/

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