Archivi del mese: aprile 2016

#ScanPyramids: presentati i risultati della scansione muonica della Piramide Romboidale

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Source: HIP Institute

Oggi sono stati resi noti i primi risultati della scansione muonica iniziata lo scorso dicembre nella “Piramide romboidale” di Dashur. La radiografia fa parte di #ScanPyramids, ambizioso progetto di studio delle grandi piramidi di IV dinastia che, con l’ausilio delle più avanzate tecnologie, ha lo scopo di analizzarne la struttura interna e di individuare eventuali stanze sconosciute. In particolare, i ricercatori della Nagoya University avevano posizionato nella camera inferiore 40 piastre ricoperte da due pellicole con un’emulsione sensibile ai muoni (vedi immagine), ritirandole dopo 40 giorni di esposizione. Le pellicole sono state poi analizzate in Giappone e in uno speciale laboratorio allestito nel Grand Egyptian Museum di Giza ricostruendo più di 10 milioni di tracce di particelle che alterano il loro moto incontrando vuoti. L’esperimento si è rivelato efficace segnalando la camera superiore, più alta di circa 18 metri, ma non ha riscontrato la presenza di ulteriori stanze. Grazie a questo test, il metodo sarà applicato anche alle altre piramidi, in particolare a quella di Cheope per cui si sta costruendo uno strumento ancora più preciso.

Il comunicato stampa: http://www.egyptologyforum.org/bbs/PR%20ScanPyramids%20Bent_Results_EN%20V3.docx

Il video: https://vimeo.com/162689633

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“L’Egitto di Provincia”: Museo Civico di Sulmona (AQ)

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20160302_091947 (FILEminimizer).jpgSulmona (AQ) è senza dubbio uno dei gioielli d’Abruzzo grazie al suo ricchissimo patrimonio storico-artistico inserito nello splendido scenario naturale della Valle Peligna. Tra le numerose attrattive che la città offre, spicca il Complesso della Santissima Annunziata (foto in alto) con il palazzo quattrocentesco costruito accanto alla chiesa trecentesca per fungere da orfanotrofio e ospedale. L’edificio ha poi subito diversi rimaneggiamenti e restauri nel corso dei secoli e, dal 1894, ospita le collezioni civiche che comprendono la sezione archeologica, quella medievale, gli ambienti musealizzati della “domus di Arianna” (I sec. a.C. – I d.C.) e il Museo del costume abruzzese e molisano e della transumanza. In particolare, la sezione archeologica, riallestita nel 2011 dopo i danni causati dal sisma dell’Aquila, conserva i reperti relativi alla Sulmo di Ovidio e ai siti italici e romani della conca peligna.

Qui, è attualmente in corso (fino al 31 maggio) “Dai confini del mondo alla patria di Ovidio. Merci, uomini e idee”, mostra che raccoglie alcuni oggetti dei tre musei archeologici nazionali d’Abruzzo che testimoniano i contatti commerciali e non solo tra la città e i popoli del resto del mondo conosciuto. L’esempio probabilmente più importante, e per questo diventato il simbolo dell’esposizione, è il cosiddetto “rilievo Dragonetti”, un frammento di monumento funerario del I sec. d.C. che ritrae un dromedario carico di vino, prodotto esportato verso l’Oriente dalla gens Peticia. Non mancano tracce della diffusione dei culti nilotici nell’area, come alcuni bronzetti di Iside-Fortuna e una lapide funeraria dedicata a Ortensia Tartulla, sacerdotessa della dea nel I secolo a.C.

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In quest’ottica, ha meno senso l’inclusione nel percorso di visita degli oggetti egizi ed egittizzanti della “Collezione Pansa” che non sono il frutto di scambi del passato, ma provengono dal mercato antiquario – sempre che non si voglia estremizzare il concetto di contatti tra gli abitanti della città e l’estero includendo anche il collezionismo otto-novecentesco. Giovanni Pansa (1865-1929), avvocato e storico, infatti, nacque proprio a Sulmona e qui raccolse centinaia di antichità che passarono allo Stato nel 1954  e che, in gran parte, sono oggi esposte in due sale del Museo Archeologico Nazionale “Villa Frigerj” di Chieti. Tra questo materiale, molto eterogeneo per provenienza, datazione e tipologia, ci sono anche i 33 pezzi della vetrinetta dedicata all’egittomania che, però, manca di didascalie esplicative. Si tratta di una serie di amuleti in faience (immagine in alto) che ritraggono dèi (Hathor, Anubi, Bes, Bastet, Shu, Tueris) e altri soggetti religiosi (udjat, ibis, il sole che nasce da un fiore di loto). Sempre in faience, c’è anche un bel pendente con il trittico Iside-Horus bambino-Nefti. Completano il gruppo tre piccole stele, alcuni ushabti e una statuetta di Iside lactans, tipica iconografia della dea seduta in trono mentre porge il seno al figlio Horus (immagine in basso).

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Israele, scoperto scarabeo di un tesoriere della XIII dinastia

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Source: jpost.com

Rimaniamo in Israele perché, una settimana dopo la scoperta di un amuleto di Thutmosi III a Gerusalemme, abbiamo il ritrovamento di un altro reperto egizio effettuato casualmente, proprio come già era avvenuto nel febbraio scorso con un pezzo simile. Si tratta, infatti, di uno scarabeo-sigillo in pietra dura individuato da un uomo che stava facendo birdwatching a Tel Dor, 30 km a sud di Haifa. Lo scarabeo è stato poi consegnato agli archeologi della University of Haifa che scavano dal 2003 nel sito costiero. Come si legge nella colonna centrale del testo geroglifico, l’amuleto apparteneva ad Amenhotep, “Porta-sigilli del Re del Basso Egitto” e “Soprintendente del tesoro reale”, titoli che ne denotano l’importante ruolo a corte. L’ufficiale potrebbe essere così l’Amenhotep tesoriere durante la XIII dinastia e sepolto a Dashur, nei pressi della piramide di Amenemhat II. Purtroppo, non si può risalire al contesto originario perché l’oggetto è rotolato dall’alto a causa dell’erosione del terreno.

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Bufale eGGizie*: le lampade di Dendera

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Source: wikipedia.org

(*A scanso di equivoci, il nome della rubrica contiene volutamente un errore ortografico per sottolineare il carattere a dir poco ridicolo di alcune notizie riguardanti l’Egitto che circolano nel web e non solo)

Oggi faremo luce – espressione quanto mai azzeccata – sulla bufala che riguarda gli OOPArt (Out Of Place Artifact) più famosi d’Egitto, le “Lampade di Dendera”, considerate insieme alla cosiddetta “Pila di Baghdad” la principale prova dello sfruttamento già in antichità dell’energia elettrica. Queste lampadine ‘ante Edison’ si trovano a Dendera, località a circa 70 km a nord di Luxor, più precisamente nel tempio tolemaico di Hathor. Al di sotto dell’edificio, 12 camere sotterranee, ognuna dedicata a una diversa divinità, erano utilizzate per la conservazione degli arredi sacri probabilmente già nel Nuovo Regno, ma furono decorate solo sotto Tolomeo XII (80-51 a.C.) con testi geroglifici e scene che comprendono anche le lampade e altre immagini, come vedremo, mal interpretabili.

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Source: taringa.net

Quarant’anni dopo la scoperta delle cripte, effettuata da Auguste Mariette nel 1857, lo scienziato britannico Norman Lockyer affermò che sulle lastre parietali fossero rappresentate grosse lampade a incandescenza simili ai “Tubi di Crookes“, dando vita così alla bufala. C’è chi crede addirittura che Crookes, nei primi anni ’70 dell’800, abbia preso spunto dalle pubblicazioni di Mariette per la sua invenzione. Peccato che i sei volumi di “Dendérah: description générale du grand temple de cette ville” furono stampati tra il 1870 e il 1875. In ogni caso, sempre più persone cominciarono a parlare di un sistema d’illuminazione composto da corpi globulari di vetro e filamenti metallici interni che si sarebbero surriscaldati fino a irradiare fotoni. Alcuni hanno anche provato a riprodurne il modello (vedi foto in alto).

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Cauville S., Le Temple de Dendera, pag. 57

Ma come veniva creata la corrente? Semplice! Sarebbero esistiti generatori che, attraverso cavi, convogliavano l’elettricità in grandi accumulatori, come si vede nel rilievo della I Cripta Sud, consacrata ad Hathor-Iside (immagine a sinistra). Ovviamente sono sarcastico perché sto parlando dell’ennesimo esempio di quanto i ‘piramidioti’ cerchino il mistero anche dietro fatti acclarati. L’elemento rappresentato, infatti, è una versione particolarmente complessa di un oggetto ben noto agli egittologi: la menat. La menat (foto in basso a sinistra) è una collana formata da un ampio pettorale di perline e da un contrappeso che ricadeva dietro la schiena, utilizzata come strumento musicale e, essendo un attributo di Hathor, anche come simbolo cultuale. Quindi, non è un caso che quest’oggetto sia presente proprio nella cripta dedicata alla dea anche definita “La Signora della menat”. Fra l’altro, quelle che dovrebbero essere le cabine dell’ENEL sono invece quattro sistri, strumenti a percussione forse più conosciuti dal grande pubblico e altro attributo di Hathor, per questo raffigurati anche sui capitelli delle colonne della facciata del tempio (foto in basso a destra).

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Source: archaicwonder.tumblr.com

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Source: wikipedia.org

 

 

 

 

 

 

Proseguendo verso est, si arriva alla cripta di Horus Sematawi, dove finalmente troviamo i nostri OOPArt. Anche in questo caso, sono costretto a far ricorso alla pareidolia, cioè a quel processo mentale che ci fa vedere forme note in composizioni casuali. Le lampade, infatti, sono tali solo per il nostro cervello di uomini moderni, abituato a codificare quel tipo di oggetto ogni giorno e meno avvezzo ai miti cosmogonici egizi che sono il vero soggetto dei bassorilievi: un serpente spunta da un loto che, a sua volta, nasce dalle acque primordiali (Nun). Il serpente rappresenta il Sole Bambino, Horus Sematawi (“Colui che riunifica le Due Terre”), mentre sorge nel fiore che è un altro simbolo solare. Non a caso, la cripta si trova nell’angolo S-E del tempio rispettando la topografia celeste degli edifici religiosi egiziani. Ricapitolando, il filamento è invece il rettile, l’ampolla è il bocciolo, il cavo è il gambo, la base a vite della lampadina è il pilastro djed, segno di stabilità che sorregge il loto permettendo la prima creazione della vita e la sua ripetizione ciclica giornaliera. Il serpente è anche l’emblema della fertilità che veniva portato in processione durante le feste dedicate al dio che si celebravano i primi giorni del raccolto. Durante questi eventi, i sacerdoti trasportavano una barca sacra in cui veniva collocato proprio ciò che è raffigurato sulle pareti della cripta e che si può vedere meglio in un’altra versione in cui Horus ha le fattezze più comuni del falco:

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Cauville S., Le Temple de Dendera, pag. 59

Quindi, le camere sotterranee non erano illuminate da faretti alogeni, ma rimanevano al buio tutto l’anno per conservare queste reliquie che erano mostrate alla popolazione solo in occasione delle relative feste. Se non fosse sufficiente la precedente interpretazione iconografica, basterebbe leggere i testi geroglifici che ci forniscono l’inventario delle cose custodite nella stanza:

“Horus-Sematawi, il grande dio che prende posto in Eliopoli, l’anima vivente nel loto e nella barca notturna, ferro, 4 palmi” (Cauville, Dendara V, 140,5)

Viene così descritta una barca di ferro di  30 cm che trasporta l’immagine del dio, in forma di serpente rampante su fiore di loto (Dend. V, 33,5), realizzata in oro (Dend. V, 144,3). In conclusione, nessuno dovrà pagare una salata bolletta della luce.

 

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Gerusalemme, scoperto amuleto egizio con cartiglio di Thutmosi III

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Source: jpost.com

Neshama Spielman a soli 12 anni può già dirsi soddisfatta della sua prima esperienza con l’archeologia. La bambina, infatti, è tra i volontari del Temple Mount Sifting Project che, fin dal 2004, sotto la guida di Gabriel Barkay e Zachi Dvira (Bar-Ilan University), stanno setacciando tonnellate e tonnellate di terra scaricata illegalmente sulle pendici occidentali del Monte Scopus, altura che si trova a nord-est di Gerusalemme. Nonostante sia un terreno ormai fuori contesto, contiene centinaia di migliaia di reperti perché proviene dal Monte del Tempio dove, nel 1999-2000, senza badare all’importanza storica e religiosa del luogo e senza il controllo di alcun archeologo, sono stati effettuati pesanti interventi edili. Nell’ambito del salvataggio di questi dati rimasti, Neshama ha trovato sul suo retino metallico un amuleto egizio frammentario con parte del cartiglio di Thutmosi III (1479-1424). Sul pendaglio, infatti, si legge la parte superiore del prenomen del faraone, Men-Kheper-Ra. Ora l’oggetto sarà studiato da Baruch Brandl, egittologo dell’Israel Antiquities Authoriy. Ricordo che uno scarabeo di Thutmosi III è stato scoperto in Israele nel febbraio scorso.

https://templemount.wordpress.com/2016/04/19/rare-egyptian-amulet-bearing-name-of-ancient-pharaoh-found-in-earth-discarded-from-temple-mount/

 

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Elefantina, scoperta cappella di Hatshepsut per barca sacra

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Source: MSA

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Source: MSA

A quanto pare, le polemiche portano bene. Continuano, infatti, le scoperte degli archeologi svizzeri e tedeschi che lavorano sull’isola di Elefantina. Questa volta, è la missione diretta da Felix Arnold (Deutsches Archäologisches Institut in Kairo) a fregiarsi di un importante ritrovamento: una serie di circa 30 blocchi di un edificio attribuibile ad Hatshepsut (1479-1457). Questa costruzione fu completamente smantellata in antichità e il materiale risultante fu riutilizzato per le fondazioni del tempio di Khnum di Nectanebo II. Altri blocchi erano stati già individuati dalla missione svizzera negli anni precedenti, ma solo ora è chiara la loro origine, anche grazie agli evidenti segni di damnatio memoriae che recano, come si può vedere dai cartigli della regina cancellati sotto il regno di Thutmosi III (a sinistra e in alto).

Secondo Arnold, si tratterebbe di una cappella che fungeva da stazione intermedia per ospitare la barca sacra durante le processioni dedicate a Khnum. Sui pilastri che circondavano l’unica sala, infatti, è raffigurato il dio locale (foto in alto) insieme ad altre divinità. Ma la particolarità del ritrovamento sta nella rappresentazione di Hatshepsut con fattezze femminili – poi rimpiazzate dal figliastro con quelle del defunto padre Thutmosi II (foto in basso) – caratteristica tipica dei suoi primi anni di regno e nota finora solo a Karnak.

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Source: MSA

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Il più antico abito del mondo è egiziano

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Source: dailymail.co.uk

Che il cosiddetto “Abito di Tarkhan” fosse molto ‘vecchio’ si sapeva già grazie al luogo di provenienza, l’omonima necropoli predinastica  scoperta nel 1912-13 da  Flinders Petrie circa 50 km a sud del Cairo; ora, però, arriva la conferma dalla datazione al C14 che ne fa il più antico indumento tessuto del mondo.

Questa massa di lino, conservata presso il Petrie Museum di Londra, fu riconosciuta solo nel 1977 quando, decenni dopo il ritrovamento, fu ripulita, restaurata e montata su un supporto di seta dagli esperti dell’Albert and Victoria Museum che rivelarono un vestito perfettamente conservato con collo “a V” e maniche plissettate. La datazione, invece, è stata effettuata nel 2015 in occasione del centenario della collezione egizia dell’UCL; la curatrice Alice Stevenson si è affidata a Michael Dee (Research Laboratory for Archaeology and the History of Art della University of Oxford) che ha prelevato un campione di 2,24 mg datandolo a oltre 5000 anni fa, 3482-3102 a.C., quindi tra il periodo Naqada III e l’inizio della I dinastia.

http://antiquity.ac.uk/projgall/stevenson349

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Conferenza internazionale (Parigi, 23-24 giugno): “Voices, images, and artefacts of ancient craftsmen/women: encountering the material producers of Middle Bronze Age Egypt (2000-1500 BC)”

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L’applicazione delle moderne categorie mentali alle civiltà del passato ha sempre creato fraintendimenti ed errate gerarchizzazioni di valori. È così che si è diviso tra arte e artigianato solo per la predilezione dell’aspetto estetico – sempre giudicato secondo i canoni di bellezza contemporanei – rispetto a quello funzionale dei reperti archeologici. In questo modo, gli archeologi del passato hanno colpevolmente messo in secondo piano informazioni fondamentali per la comprensione dell’essenza stessa dell’oggetto di studio. Fortunatamente, negli ultimi anni, si sta assistendo a una rivalutazione di queste produzioni di “serie B” che comprende una maggior attenzione alle tecniche di realizzazione, agli strumenti adottati, ai materiali scelti e all’identikit degli artigiani. Un recente esempio è la costituzione delle nuove gallerie dedicate alla cultura materiale nel Museo Egizio di Torino.

In quest’ottica, segnalo “Voices, images, and artefacts of ancient craftsmen/women: encountering the material producers of Middle Bronze Age Egypt (2000-1500 BC)”, interessante conferenza internazionale che si terrà a Parigi il 23 e il 24 giugno e che tratterà proprio di tutti quegli aspetti che caratterizzano la produzione artigianale nell’Egitto del Medio Bronzo. Studiosi da tutta Europa interverranno sui modi di rappresentazione, linguistica e figurativa, degli artigiani e sulla percezione che essi avevano del loro stesso lavoro (Es. “Satira dei mestieri”), portando al centro del dibattito la società egiziana attraverso un approccio multidisciplinare; oltre a egittologi, infatti, saranno presenti anche orientalisti, grecisti e antropologi. Poi, passando dal soggetto all’oggetto, grazie alle analisi archeometriche saranno illustrate le tecniche di lavorazione, le materie prime, gli strumenti e i centri di produzione. Inoltre, si parlerà anche dell’interscambio delle conoscenze e dei canali di circolazione delle idee prima ancora delle merci.

Il convegno rappresenta il momento conclusivo di “S.H.A.P.E. – Seeing and Hearing the Ancient Producers of Egypt”, progetto di ricerca internazionale Marie Curie del dott. Gianluca Miniaci, promosso dal Dip. di Scienze storiche e filosofiche  dell’École Pratique des Hautes Études  e con la collaborazione dell’Università di Pisa.

 

23-24 Giugno

Institut National d’Histoire de l’Art (INHA) – Auditorium

2, rue Vivienne – 75002 Paris

 

Per il programma completo e maggiori informazioni:  http://www.egypt-shape.com/news/

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Elefantina, scoperta statua di Heqaib

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Source: MSA

Ancora notizie da Elefantina, questa volta prettamente archeologiche. I membri della missione diretta da Cornelius von Pilgrim – che, pochi giorni fa, si era dovuto difendere da accuse infondate a causa della vicenda delle stelle di David – hanno scoperto una statua frammentaria (vedi in alto) che rappresenta Heqaib, nomarca di Elefantina sotto Pepi II (2276-2200 circa) alla fine della VI dinastia. Il governatore di Assuan è noto soprattutto per le sue spedizioni in Nubia descritte nei testi autobiografici della sua tomba a Qubbet el-Hawa. Dopo la morte, Heqaib fu divinizzato e venerato, tra l’XI e la XIII dinastia, in una cappella proprio sull’isola di Elefantina. A questo culto locale, quindi, sarebbe da ricondurre la presenza della statua nelle vicinanze del tempio di Khnum.

Inoltre, gli archeologi svizzeri hanno individuato un’altra statua – anch’essa di Antico Regno e mancante della parte superiore – e una stele d’offerta in arenaria (40 x 60 cm) risalente alla XVIII dinastia (foto in basso).

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Source: MSA

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Source: MSA

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Elefantina, le stelle di David sono autentiche

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Source: elde26.wix.com

Come previsto, la vicenda del blocco  asportato da Elefantina perché recante due “stelle di David” si è chiusa con una figuraccia delle autorità egiziane.

Il comitato scientifico, composto dal ministro delle Antichità Khaled El-Enany, dal dir. gen. delle Antichità Nubiane Nasr Salama, dal dir. gen. dell’area di Assuan Ahmed Saleh, dal dir. gen. del Museo Copto Atef Nagib Hanna, dall’ispettore delle Antichità Islamiche di Assuan Aladin Suleiman e dal direttore della missione svizzero-tedesca (accusata delle incisioni) Cornelius von Pilgrim, ha stabilito che le stelle sono autentiche e che dovrebbero risalire al VI sec. d.C. o prima. Seguiranno ulteriori studi per giungere a una datazione più precisa.

Il blocco incriminato (Y44) era stato scoperto già nel 1985 e, diversamente da quanto riferito in precedenza, apparteneva al “Tempio Y”, consacrato in epoca romana a Osiride Nesmeti, figlio di Khnum. La struttura comprendeva un naos di 6 x 9 metri e un pronao di 5 x 9 m con interventi decorativi riconducibili a diversi imperatori romani (Nerone, Vespasiano, Domiziano, Traiano). Dell’edificio originale, però, non restano che i blocchi riutilizzati intorno al VI-VII secolo d.C per la realizzazione del muro di un molo lungo la costa N-E dell’isola. Per questo, la missione svizzero-tedesca sta lavorando alla sua ricostruzione dal 2011.

http://www.christianubertini.net/en/pages/works/2002_ty_en.html

http://www.rug.nl/research/portal/files/2921163/c10.pdf

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