Archivi del mese: febbraio 2017

Luxor: inaugurato centro tecnologico per la conservazione delle tombe tebane

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Source: ahram online

Dopo un anno di lavori, il Theban Necropolis Preservation Initiative Training Centre è finalmente a disposizione dei tecnici egiziani per la tutela dei siti archeologici di Luxor. La sede prescelta è la Stoppelaëre House, una stupenda abitazione progettata nel 1951 dall’architetto Hassan Fathy (nell’ambito della realizzazione del villaggio di New Qurna sulla riva occidentale) per il restauratore francese da cui prende il nome l’edificio. Già previsto dal 2008 grazie alla collaborazione tra Ministero delle Antichità, Università di Basilea e Factum Foundation, il centro fornirà le ultime tecnologie nel campo della fotogrammetria e della scansione 3D applicate alla tutela, conservazione e documentazione delle tombe delle necropoli tebane; il ruolo principale, però, sarà quello di preparare professionisti locali così da renderli autonomi negli interventi necessari a salvaguardare il patrimonio storico egiziano. In questo, sarà fondamentale l’esperienza della società madrilena che ha già operato nella Valle dei Re e in particolare nelle tombe di Seti I e Tutankhamon.

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Riaperto il museo archeologico di Elefantina

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Source: DAI Kairo

Dopo circa 7 anni, martedì scorso (21 febbraio), alla presenza del ministro delle Antichità Khaled el-Enany, è stato ufficialmente riaperto il Museo archeologico di Elefantina, ora diretto da Mustafa Khalil. L’edificio è stato dotato di un nuovo ingresso e di vetrine più funzionali in cui sono esposti oltre 1700 reperti scoperti dalla missione svizzero-tedesca (Schweizerisches Institut für Ägyptische Bauforschung und Altertumskunde in Kairo e Deutsches Archäologisches Institut in Kairo) che lavora sull’isola di Assuan. L’orario di apertura è: 8:30-16:30.

Per altre foto: https://www.facebook.com/DAINST.Kairo/posts/1242480389206093

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L’Egizio smentisce: ancora nessun accordo firmato per la succursale di Catania

Sembrava fatta. Il Comune di Catania aveva addirittura ufficializzato la notizia il 31 gennaio con un comunicato stampa (immagine in alto). Ma, a quanto pare, i cittadini etnei dovranno ancora aspettare per poter vedere reperti del Museo Egizio di Torino a due passi da casa. Infatti, per bloccare le news sempre più diffuse della firma di un accordo definitivo sul trasferimento di alcuni pezzi dell’Egizio in Sicilia e per rispondere ad alcune sterili polemiche di soggetti -politici e non- contrari alla fuoriuscita di questi dal Piemonte, oggi la Fondazione Museo delle Antichità Egizie di Torino è stata costretta a diramare la propria posizione, smentendo di fatto ciò che era stato annunciato dagli amministratori catanesi. Sul sito si legge:

“In relazione alla crescente circolazione di notizie costruite sulla base di fonti non ufficiali, la Fondazione Museo delle Antichità Egizie di Torino intende rendere pubblica la propria posizione riguardo al progetto di trasferimento di una selezione di reperti egizi a Catania, presso il Convento dei Crociferi.
Da circa un anno sono in corso incontri di approfondimento e verifica da parte del Museo Egizio per valutare la proposta ricevuta dalla Città di Catania, che è stata sin dall’inizio condivisa con il Ministero dei Beni, delle Attività Culturali e del Turismo, con la Soprintendenza Archeologica Belle Arti e Paesaggio per la Città metropolitana di Torino e con il Consiglio di Amministrazione i cui rappresentanti sono nominati direttamente dal Collegio dei Fondatori (Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo, Regione Piemonte, Città di Torino, Compagnia di San Paolo e Fondazione CRT).
Nessun accordo è stato ancora firmato e sono tuttora in corso le opportune valutazioni di fattibilità del progetto al fine di produrre una bozza di accordo condivisa e definita dagli uffici legali dei tre enti coinvolti”

E ancora:

“Se e quando verrà formalizzato l’accordo con Catania, la selezione dei reperti egizi di età ellenistica destinati alla città etnea non sarebbe superiore ai 300 pezzi, selezionati fra i materiali custoditi nei depositi e non destinati, né ora né in futuro, all’esposizione permanente del Museo Egizio”.

Di fronte a questa precisazione, l’assessore alla Cultura del Comune di Catania, Orazio Licandro, ha affermato: “Confermo che, dopo l’accordo quadro definito a Torino il 31 gennaio scorso, le avvocature e gli uffici tecnici della Fondazione, della Soprintendenza e del nostro Comune stanno lavorando alla definizione dell’accordo conclusivo, che sarà sottoscritto in tempi brevi, per l’apertura a Catania di una sezione del Museo Egizio” (Fonte: cataniatoday.it).

 

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“L’Egitto di Provincia”: Museo Archeologico Paolo Giovio, Como

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.Dopo mesi, torna finalmente “L’Egitto di Provincia”, la rubrica in cui descrivo le piccole collezioni egizie sparse per l’Italia e non solo. Questa volta, però, lascio la tastiera a un’altra persona perché si parlerà di un museo che non ho ancora visitato. L’autrice dell’articolo è Jessica Lombardo, una mia cara collega con cui ho condiviso gli studi universitari a Pisa, uno scavo a Luxor e il conseguente travagliato ritorno in patria (eravamo finiti nel bel mezzo della “Rivoluzione di gennaio” del 2011)! Attualmente, Jessica si occupa di percorsi guidati e didattica in alcuni musei archeologici della Lombardia.

Buona lettura!

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Il Museo Civico Archeologico di Como nasce poco tempo dopo l’unificazione d’Italia, nel 1861. I reperti raccolti in tale occasione sono oggi esposti presso Palazzo Giovio che fa da cornice a una  sequenza di collezioni, tra cui quella egizia, che testimoniano la passione per l’antico, protagonista del 19° secolo. Insieme a reperti preistorici, protostorici,  mesopotamici, precolombiani, greci e romani, una piccola ma interessante collezione egizia giunse qui nel 1905, anno della scomparsa, a 85 anni, del collezionista di Cantù Alfonso Garovaglio. La sua passione per l’archeologia lo condusse, come di consueto accadeva a quei tempi, a intraprendere un viaggio in Egitto nel 1869 in compagnia dell’amico e senatore Pippo Vigoni. Il viaggio fruttò alla collezione di Alfonso Garovaglio diversi pezzi, da lui selezionati e raccolti in quanto apparsi rari, importanti o semplicemente curiosi ai suoi occhi di europeo. Di essi non abbiamo purtroppo informazioni circa il luogo di ritrovamento o la modalità di acquisizione: in quanto privi di contesto, gli oggetti sono dunque da classificarsi come di “provenienza sconosciuta” (ad esclusione di alcuni rarissimi casi, come il frammento di faience n°A7, accompagnato dalla dicitura “Dendera 1869”).

img_4731Un caso a sé è costituito dal sarcofago in cartonnage (immagine a sinistra) e dalla relativa mummia della defunta Isiuret, acquisiti dal Garovaglio nel 1887: i reperti erano stati precedentemente conservati con scrupolosa cura dalla famiglia di Baldassarre Valerio, il quale li aveva a sua volta ricevuti in dono nel 1819 dal Khediveh d’Egitto Mohammed Ali. Nonostante il dono fosse accompagnato dall’indicazione “una di cinque [mummie] che egli ha fatto estrarre dalle Piramidi di Menfi”,  pare chiaro che si debba fare riferimento ad un ritrovamento di area tebana in base a titoli evidentemente significativi di quel contesto, quali:

  • Suonatrice di sistro di Amon-Ra (titolo attestato a partire dalla XXII dinastia);
  • Cantatrice del coro di Mut, la Grande, la Signora di Asceru;
  • la venerabile Signora della Casa (l’attributo “venerabile” è attestato in questa titolatura soprattutto durante la XXII dinastia;
  • Balia di Khonsu fanciullo.

Oggi una ricostruzione a grandezza naturale di Isiuret sorveglia la collezione da un angolo della stanza. Le vetrine circostanti testimoniano il gusto del collezionista, maggiormente attratto dall’aspetto religioso-funerario della cultura egizia: vasi canopi, ma soprattutto ushabti, amuleti, statuette di divinità che non scarseggiano certo in quanto a numero di esemplari (testimoni di una produzione “seriale”), ma in quanto a dati circa la provenienza e l’originario contesto archeologico e storico, mancanza alla quale purtroppo è difficile oggi sopperire. Alla luce di questi fatti, la collezione è stata disposta tenendo conto della destinazione d’uso degli oggetti, della loro funzione e del loro ordinamento cronologico, offrendo così inoltre al visitatore uno strumento utile di didattica e di apprendimento.

Jessica Lombardo

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Totò e l’antico Egitto (blooper egittologici)

#AccaddeOggi: il 15 febbraio 1898, nasceva Antonio Griffo Focas Flavio Angelo Ducas Comneno Porfirogenito Gagliardi de Curtis di Bisanzio, in arte semplicemente Totò. Inutile spiegarvi chi fosse e l’importanza che ha avuto per il cinema italiano. Forse, invece, è meno nota la sua capatina nel mondo dell’Egitto antico attraverso due film che, lo specifico fin da subito, non sono di certo annoverabili tra i capolavori del comico partenopeo, anzi… Si tratta, infatti, di due pellicole che, insieme a “Totò contro il pirata nero”, fanno parte di una ‘dimenticabile’ trilogia parodistica a carattere storico del regista Fernando Cerchio: “Totò contro Maciste” e “Totò e Cleopatra”.

Siamo agli inizi degli anni ’60, quando il genere peplum era all’apice del gradimento del pubblico. Cinecittà sfornava decine e decine di film in costume su miti classici, racconti biblici ed eventi storici che, nonostante fossero spesso ripetitivi e di scarsa qualità, riempivano le sale cinematografiche. Inoltre, per ogni grande successo, spuntavano miriadi di parodie umoristiche che tentavano di sfruttare la conseguente pubblicità di riflesso. In quest’ultimo filone, rientrano i due lungometraggi di cui mi occuperò in questo articolo che vedono come protagonista un Totò ormai a fine carriera e quasi completamente cieco, ma ancora molto popolare. Per questo, i produttori lo piazzavano in progetti a basso costo (si girava in due o tre settimane per cavalcare l’onda lunga dei colossal presi in giro) confidando nelle sue capacità d’improvvisazione. Infatti, anche i due film ‘egiziani’ del Principe de Curtis, caratterizzati da una sceneggiatura nulla e da improbabili scenografie (fondali di cartone e scene di massa rubate da altre pellicole), si poggiano solo sulla recitazione di Totò e sull’ambientazione in un periodo storico che ha sempre fatto presa sulla gente. Detto ciò, mi sembra superfluo aggiungere che, in questo caso, non starò a sindacare sull’attendibilità dei dati egittologici presenti.

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“Totò contro Maciste”

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Del 1962, è il primo film della trilogia di Cerchio (che aveva già diretto “Il Sepolcro dei Re” e “Nefertite, regina del Nilo”) che pescò nella rinnovata serie dell’invincibile eroe dalla forza sovrumana. Maciste è un personaggio cinematografico – il cui nome forse è stato inventato da D’Annunzio – comparso per la prima volta nel 1914 in “Cabiria”. Seguiranno poi molti altri titoli fino agli anni ’20, per poi riprendere nel 1960 con “Maciste nella Valle dei Re” (prossimamente in questa rubrica). Il soggetto è stato spremuto al massimo con oltre 20 film in soli 4 anni e innumerevoli nemici affrontati – alcuni dei quali veramente improbabili (addirittura Zorro) – tra cui, appunto, figura anche Totò.

Totokamen è un ciarlatano che, spalleggiato dal suo agente Tarantenkamen (l’ottima spalla Nino Taranto), fa spettacoli nei night club dell’Egitto spacciandosi per il figlio di Amon. Così, il faraone Ramsise VIII (sic) lo costringe ad affrontare Maciste (il culturista americano Samson Burke) che aveva abbandonato il suo paese per allearsi con gli Assiri. In realtà, la colpa del tradimento è della «bella faraona, scambiata per una padovana» che vuole il trono tutto per sé e, quindi, strega Maciste con una pozione magica e lo spinge ad attaccare suo marito. Totokamen è tutt’altro che un eroe, ma riesce a battere ugualmente il muscoloso nemico con una serie di colpi di fortuna e con «il coraggio della paura». Tutto qua: una sequela di battute e giochi di parole piuttosto infantili del tipo «Nefertite? Oh, mi dispiace! Con la nefrite dovrebbe rimanere a letto», «La devi finire con questo incenso! Quante volte devo dirti che sono incensurato?», «Nella locandina ha i geroglifici più piccoli di Peppino del Cairo!», “Tu, prode! – A me non prode niente». Ma almeno, in battaglia, Totò indossa giustamente la corona kepresh… mica il copricapo da regina come in altri film ben più ‘seri’ (ogni riferimento ad “Exodus” è puramente casuale).

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“Totò e Cleopatra”

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L’anno dopo, Cerchio confermò l’ambientazione esotica dell’Egitto non tanto per il successo del film precedente ma per il clamore provocato a Roma, e non solo, nel 1963 dalla realizzazione di “Cleopatra” con Elizabeth Taylor. In una vera e propria corsa contro il tempo, infatti, la parodia uscì nelle sale dopo soli due mesi dal rilascio ufficiale del film di Mankiewicz.

La storia di base è la stessa, ma rivisitata in chiave comica. Marco Antonio (Totò), arrivato in Egitto, subisce il fascino della bella Cleopatra (Magali Noël, neanche minimamente vicina ai livelli di Liz), abbandona Roma e resta ad Alessandria. Fulvia (Moira Orfei!), che vuole che il marito firmi il divorzio per assicurarsi almeno gli alimenti, convince il cognato Totonno, uno schiavista imbroglione, a sostituire il fratello gemello Marco Antonio. Evidentemente, un solo Totò non sarebbe bastato a salvare un film ancora meno divertente dell’altro e in cui la commedia degli equivoci è l’unico spunto per portare avanti la sceneggiatura. Famosa è la scena in cui un doppio Totò si guarda in uno specchio rotto. Il timbro delle battute, invece, diventa più volgare, quasi sempre riferito al sesso (sarà stata colpa della ‘lasciva’ regina tolemaica?), come il «Viva la biga!», gli schiavi Proci con chiari atteggiamenti effeminati e l’elenco delle provincie romane, ‘georeferenziate’ sul formoso corpo di Cleopatra (immagine in alto).

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L’Egitto fa fuori Reeves dalle ricerche nella tomba di Tutankhamon

Egiptólogo británico Nicholas Reeves

Source: english.ahram.org.eg

Ennesimo colpo di scena -anche se me l’aspettavo- nell’infinita vicenda che riguarda la tomba di Tutankhamon e le ormai mitologiche camere nascoste. Intervistato dal quotidiano spagnolo El Mundo, il ministro delle Antichità Khaled El-Enany (nella foto, quando era ancora direttore del Museo Egizio del Cairo, indossa la polo a righe durante la prima ispezione preliminare del settembre 2015) ha annunciato la decisione di escludere dal progetto la National Geographic, che si era occupata della seconda scansione con georadar, e addirittura Nicholas Reeves, lo studioso da cui tutto era partito!

El-Enany si è ‘giustificato’ dicendo che, nonostante l’ipotesi dell’esistenza di passaggi occultati sia stata formulata dall’egittologo britannico, la tomba appartiene all’Egitto che, da questo momento in poi, si affiderà solo a istituzioni scientifiche serie e non a singoli (critica neanche tanto velata a tutti coloro che hanno lavorato al caso finora). In tal senso, il ministro ha confermato la recente notizia del coinvolgimento di un team del Politecnico di Torino che, utilizzando tre sistemi di radar con frequenze dai 200 Mhz ai 2 Ghz, dovrebbe cominciare a analizzare la camera funeraria della KV62 intorno alla fine di febbraio/inizi di marzo. I tecnici italiani, poi, saranno impiegati anche per la mappatura geofisica dell’intera Valle dei Re, con la speranza di trovare le tombe che ancora mancano all’appello (Zahi Hawass ha parlato di Amenofi I, Thutmosi II, Ramesse VIII e delle regine della XVIII dinastia).

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Nag Hammadi: scoperta tomba con mummie di coccodrillo

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Source: nagaawya.weladelbalad.com

A Nag Hammadi, località della provincia di Qena – subito a nord dell’ansa del Nilo – famosa soprattutto per la scoperta di codici gnostici del III-IV sec. d.C.,  è stata individuata una tomba con mummie di coccodrillo e di altri animali, come bovini e roditori, integre o solo teste. Il rettile più grande raggiunge addirittura i 4 metri di lunghezza (vedi foto), mentre altri due superano 1,20 m. Nell’ipogeo, risalente al Periodo tardo, gli archeologi egiziani hanno recuperato anche alcuni degli strumenti utilizzati per l’imbalsamazione e bende di lino. Secondo l’ispettore locale del Ministero delle Antichità, Mohamed Hamdi, questo ritrovamento attesterebbe per la prima volta la venerazione del dio Sobek nella zona.

Il video della tomba:

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Egitto protagonista al tourismA di Firenze (17 febbraio 2017)

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ph. Nadia Pasqual*

Dal 17 al 19 febbraio, presso il Salone dei Congressi di Firenze, si terrà la terza edizione di tourismA – Salone Internazionale dell’Archeologia. Quest’anno, la manifestazione – ormai appuntamento imperdibile per chi si occupa di turismo, valorizzazione e divulgazione nell’ambito dei beni culturali – avrà come Paese ospite l’Egitto al cui patrimonio storico-archeologico sarà dedicata l’intera mattinata del 17 con il convegno: “Omaggio a Tutankhamon”. L’iniziativa è stata presentata ufficialmente lo scorso lunedì (6 febbraio) nello splendido scenario di Villa Savoia a Roma, sede dell’Ambasciata della Repubblica Araba d’Egitto, alla presenza di Emad Fathy Abdalla, direttore dell’Ente del Turismo Egiziano che ha organizzato la conferenza stampa, l’egittologo Francesco Tiradritti, direttore della Missione Archeologica Italiana a Luxor, e Piero Pruneti, direttore di tourismA e di Archeologia Viva (in foto).

Com’è chiaro dal titolo scelto, il giovane faraone – vera icona dell’antico Egitto nell’immaginario comune – sarà protagonista della prima parte della mattinata con gli interventi dell’egittologa Donatella Avanzo che illustrerà la copia in scala 1:1 della camera funeraria della KV62, visitabile gratuitamente durante tutta la durata del Salone, dell’antropologo Marxiano Melotti e, soprattutto, di Zahi Hawass che dovrebbe portare a Firenze le ultime novità sul controverso caso delle camere nascoste, recentemente ritornato alla ribalta grazie al coinvolgimento di tecnici del Politecnico di Torino per la terza scansione con georadar da effettuare nell’ipogeo. Poi si parlerà dell’influenza egizia nel mondo classico con Paolo Giulierini, direttore del Museo Archeologico Nazionale di Napoli, e di alcune missioni archeologiche italiane in Egitto come quelle dell’Università del Salento a Soknopaiou Nesos (Mario Capasso, Paola Davoli) e dell’Università di Pisa a Dra Abu el-Naga, Tebe Ovest (Marilina Betrò).

 

Il programma completo:

  • 8:20
    Proiezione film “Viaggio al Silica Glass: il Vetro delle Stelle” di Alfredo e Angelo Castiglioni
  • 9:00
    Donatella Avanzo
    egittologa e storica dell’arte
    «La mirabile ricostruzione della camera funeraria di Tutankhamon a “tourismA 2017″»
    Presentazione di Tutankhamon e il suo tempo, una storia dinamica di Stefania Mimmo
  • 9:30
    Marxiano Melotti
    antropologo del Mondo antico docente all’Università Niccolò Cusano di Roma
    «Tutankhamon: un’icona mediatica tra archeologia mito e turismo»
  • 10:00
    Zahi Hawass
    egittologo
    «Ultime notizie dalla tomba del faraone bambino»

10:45 Pausa

  • 11:30
    Paolo Giulierini
    direttore Museo Archeologico Nazionale di Napoli
    «C’è Egitto ed Egitto! La civiltà dei faraoni nel mondo greco e romano»
  • 12:00
    Mario Capasso
    direttore Centro Studi Papirologici – Università del Salento
    Paola Davoli
    docente di Egittologia all’Università del Salento
    «Scavando l’isola del dio coccodrillo nel Fayyum»
  • 12:30
    Marilina Betrò
    docente di Egittologia all’Università di Pisa
    «Storie dal sottosuolo: ultime scoperte a Dra Abu el-Naga nella necropoli dell’antica Tebe»

http://www.tourisma.it/omaggio-a-tutankhamon/

 

*Colgo l’occasione per ringraziare la gentile Nadia Pasqual, marketing & PR per tourismA 2017, per avermi invitato alla conferenza stampa e fornito il materiale per questo articolo.

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Tomba di Nefertiti-Tutankhamon: saranno ricercatori italiani a chiudere il caso?

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Nell’affaire “Tutferiti”, ormai non ci si capisce più niente con comunicati e smentite che si rincorrono da oltre un anno. Così, penso sia necessario un ‘riassunto delle puntate precedenti’ (in ogni caso, potete approfondire ogni passaggio cercando l’articolo relativo sul blog):

  • luglio 2015: l’egittologo Nicholas Reeves sconvolge il mondo dell’archeologia con una pubblicazione in cui afferma che, dietro le pareti nord e ovest della camera funeraria di Tutankhamon, si nasconderebbero stanze sconosciute appartenenti alla tomba di Nefertiti;
  • agosto 2015: Reeves si reca in Egitto e convince il ministro delle Antichità, Mamdouh el-Damaty, a iniziare nuove studi nella KV62;
  • settembre 2015: una prima indagine preliminare visiva sembra confermare l’ipotesi, quindi si procede con mezzi archeometrici;
  • 4 novembre 2015: tecnici dell’Università del Cairo e dell’HIP.institute, utilizzando una termocamera, individuano anomalie nelle aree interessate;
  • 28 novembre 2015: El-Damaty annuncia che, dopo tre giorni di scansioni con georadar effettuate dal giapponese Hirokatsu Watanabe, tutto farebbe pensare alla presenza di vuoti dietro i due muri;
  • 17 marzo 2016: vengono ufficializzati i dati elaborati delle prospezioni di Watanabe che si dice sicuro al 90% dell’esistenza delle stanze e addirittura di una serie di oggetti metallici e organici; di conseguenza, il ministro del Turismo si avventura in audaci dichiarazioni parlando già di “tesori nascosti”;
  • 1 aprile 2016: dopo una seconda prospezione con georadar, questa volta ad opera di tecnici americani della National Geographic Society, il nuovo ministro delle Antichità, Khaled el-Enany, a differenza del suo predecessore, non fornisce alcuna informazione rimandando il tutto a una terza scansione prevista per maggio;
  • 8 maggio 2016: durante la Second International Tutankhamun Conference al GEM, el-Damaty, senza entrare nel merito, ammette che i risultati della seconda scansione sono stati inconcludenti e contraddittori, mentre el-Enany rinvia a data da destinarsi il terzo esame;
  • ottobre 2016: i mesi di silenzio sull’argomento vengono rotti da Zahi Hawass, da sempre scettico in merito, che prima annuncia per novembre una nuova prospezione con un georadar russo e poi, invitato alla BMTA di Paestum, sposta la data a dicembre/gennaio.

Ed eccoci finalmente all’attualità. Quando aspettavo novità da Hawass (il 17 febbraio sarà al tourismA di Firenze), esce un articolo de La Stampa con l’intervista a Franco Porcelli, docente di Fisica presso il Politecnico di Torino e già protagonista della ricerca che ha confermato l’origine meteoritica del ferro di uno dei pugnali di Tutankhamon. A quanto pare, a dicembre, il Ministero delle Antichità avrebbe affidato a un team italiano la terza serie di scansioni con georadar che dovrebbe dare il verdetto definitivo. Il “Progetto VdR Luxor”, così, vede il coinvolgimento dell’Università di Torino, di alcune aziende private, come la Geostudi Astier di Livorno, e dalla Fondazione Novara Sviluppo. Oltre alle analisi della KV62, l’obiettivo della missione comprenderebbe anche la nuova mappatura geofisica dell’intera Valle dei Re con strumenti che possono sondare il terreno fino a 10 metri di profondità e, probabilmente, con la collaborazione dell’Agenzia Spaziale Italiana per le immagini da satellite. In attesa di partire per l’Egitto, Porcelli ha affermato che ci vorrà una settimana per acquisire i dati e due per interpretarli al meglio e non fantasiosamente – sospetto della squadra – come nei casi precedenti.

A questo punto, sono ancora più curioso di sentire cosa dirà Hawass a Firenze…

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Pi-Ramesse: scoperti complesso monumentale e tomba con impronte di bambino

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Source: MoA

A Pi-Ramesse, l’antica capitale fondata da Ramesse II nel Delta Orientale (nei pressi dell’attuale Qantir), la missione del Roemer- und Pelizaeus-Museum di Hildesheim (Germania) ha effettuato importanti ritrovamenti di epoca faraonica. Dopo un lungo lavoro di prospezioni geomagnetiche che, lo scorso anno, avevano individuato possibili strutture sepolte, è iniziato lo scavo vero e proprio che ha subito confermato le attese. Infatti, già sotto pochi centimetri dalla superficie, sono uscite diverse strutture murarie in mattoni crudi appartenenti a un complesso monumentale di 200 x 160 m. Secondo Henning Franzmeier (UCL Qatar), direttore dello scavo, l’estensione dell’edificio fa pensare a un palazzo o a un tempio il cui ingresso, stranamente, potrebbe trovarsi fuori asse nell’angolo nord-occidentale.

In un’altra area indagata, è stata trovata una fossa funeraria di 2,5 x 8 m nel cui riempimento figurano anche frammenti di intonaco dipinto. Tuttavia, al momento, non è stato ancora possibile riconoscere motivi specifici. Ma la scoperta più curiosa corrisponde senz’altro al fondo della tomba in cui si conserva ancora uno strato di malta con orme di uno o più bambini, probabilmente utilizzati per impastare il materiale.

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Source: MoA

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