Archivi del mese: aprile 2017

Il “piccolo Anubi” di 34 milioni di anni fa

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Source: Plose One

Dopo mesi pieni di importanti scoperte archeologiche, è arrivato un periodo relativamente tranquillo che mi lascia lo spazio per una piccola divagazione paleontologica con sconfinamento nell’egittomania.

A una nuova specie di mammiferi carnivori estinti appena identificata è stato dato un nome ispirato alla religione egizia: Masrasector nananubis. Tale nomenclatura – che letteralmente è traducibile con “Affettatore egiziano (Masr è il nome arabo dell’Egitto), piccolo Anubi” – fa riferimento alle caratteristiche morfologiche dell’animale e al luogo di ritrovamento. Infatti, questo piccolo predatore (dalle dimensioni di una volpe) del gruppo degli ienodonti viveva nell’area del Fayyum 34 milioni di anni fa e si cibava soprattutto di roditori sezionandone la carne con i suoi denti affilati. Pare che, osservando su ossa fossili segni compatibili con queste zanne, ci abbiano rimesso anche i nostri scimmieschi ‘progenitori’. Anubi, invece, è stato tirato in ballo per una somiglianza con lo sciacallo, così come è già successo con il babbuino verde il cui nome scientifico è Papio anubis.

I primi resti del Masrasector sono stati scoperti una trentina di anni fa in una cava denominata Locality-41, ma l’individuazione della specie è recentissima grazie allo studio di Matthew R. Borths (Ohio State University):

http://journals.plos.org/plosone/article?id=10.1371/journal.pone.0173527

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“L’Egitto di Provincia”: Museo Stibbert, Firenze

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A Firenze, l’Egitto non si trova solo nel Museo Archeologico Nazionale che possiede una delle più importanti collezioni egizie d’Italia e non solo. Fuori dai consueti percorsi turistici, esiste un vero e proprio gioiellino che meriterebbe di essere visitato per respirare quell’atmosfera ottocentesca che ha originato molte delle raccolte che ho descritto in questa rubrica: il Museo Stibbert. Il museo prende il nome da Frederick Stibbert (1838-1906), eclettico collezionista di origini inglesi – ma nato e morto nella città toscana – che spese una buona parte del patrimonio familiare per raccogliere compulsivamente circa 50.000 oggetti. In particolare, la sua attenzione si rivolse verso armi e armature europee, arabe, indiane e giapponesi dal XV al XIX secolo che costituiscono uno dei più importanti insiemi del genere al mondo. La grandissima mole di materiale acquistato – disposta con un preciso ordine museologico che prevede anche manichini realizzati ad hoc per esporre costumi e corazze – ha costretto Stibbert perfino a far costruire un annesso all’allora piccola villa sul colle Montughi (centro-nord di Firenze; ancora oggi sede del museo da quando fu ceduta, secondo testamento, alla città per essere aperta al pubblico) e, come vedremo, ha letteralmente relegato la collezione egizia in un angolino.

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Un personaggio del genere non poteva di certo restare immune all’ondata di egittomania che stava investendo l’Europa dopo la spedizione napoleonica in Egitto (1798-1801) e quella franco-toscana di Champollion e Rosellini (1828-29), co-finanziata dal granduca Leopoldo II. D’altronde, in tutta Firenze cominciavano a vedersi architetture e decorazioni dal gusto neo-egizio; così, tra il 1862 e il 1864, Stibbert – spinto anche da simbologie esoteriche derivanti dalla sua affiliazione alla massoneria – si fece costruire dall’architetto Giuseppe Poggi un tempietto di ispirazione nilotica nel parco della villa (immagine in alto). La piccola cappella si sviluppa su una penisola in un laghetto artificiale che rappresenta il Nilo ed è decorata da pseudogeroglifici, figure di faraoni, statue in terracotta di sfingi e leoni, colonne papiriformi e perfino un obelisco.

Nella seconda sala del museo, invece, si trova la piccola collezione egizia di una ventina di reperti che, come anticipato, sono posti in un sottoscala! Lo spazio poco illuminato è in gran parte occupato sulla destra dai sarcofagi di Iretiru (“Signora della casa” e figlia di un Profeta di Amon, XXV-inizi XXVI din.) e di Nespasefy (“Profeta di Montu”, XXV-XXVi din.; da notare la rarità nell’uso del verde per il volto) e sulla sinistra dal coperchio di sarcofago di Pakharu (per maggiori informazioni, si legga il commento a questo articolo di malaspina82). Il resto degli oggetti si trova su una base nell’angolo più buio: due vasi canopi in calcare di Epoca Tarda (Qebehsenuef, testa di falco per contenere l’intestino, e Imsety, testa umana per il fegato); 7 scarabei di diversi materiali databili tra II Periodo Intermedio e Nuovo Regno; una gamba di sbagello in legno a forma di zampa di leone; un bronzetto tardo di Osiride; due occhi da intarsi in rame, calcite e ossidiana; 6 ushabti in faience di Epoca Tarda e tolemaica, alcuni dei quali con riferimenti in altri musei (ad esempio, il nome di Psametico figlio di Merneith, “Sovrintendente al computo della tavola reale” durante la XXVII dinastia, è presente in altre statuette conservate al Museo Archeologico Nazionale di Firenze, Leida, Cairo e Boston; per un accurato studio di questi ushabti: Rosati G., The shabtis of Psamtek, son of Mer(et)-Neith: additional material for their study, in GM 212, Göttingen 2007, pp. 93-100). Tutti gli oggetti sono pubblicati in: Del Francia P.R., Guidotti M.C., Stibbert e l’Egitto, in “Museo Stibbert Firenze 3: Frederick Stibbert. Gentiluomo, collezionista e sognatore”, Firenze 2000.

http://www.museostibbert.it/

Non potendo scattare foto decenti, ho preso le immagini di alcuni reperti del museo dal sito del Progetto OSIRIS (osiris.beniculturali.it):

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“Father and son”: il videogame del MANN

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Pochi giorni fa, è stato rilasciato su Apple Store e Google Play il primo videogame interamente prodotto da e per un museo archeologico: “Father and Son”. Realizzato dall’associazione TuoMuseo, il gioco ci porta virtualmente prima per le strade di Napoli e poi all’interno del Museo Archeologico Nazionale. Come si può intuire dal titolo, la storia riguarda un figlio (Michael) e suo padre che, scomparso da poco, era un archeologo del MANN. Il protagonista, cercando tracce del genitore, finisce nelle diverse sale del museo interagendo con altri personaggi e con le principali opere esposte di cui vengono fornite informazioni. Tra le collezioni visitabili c’è anche quella egizia, riaperta al pubblico dopo anni lo scorso ottobre, dove si approfondisce la conoscenza del cosiddetto “Naoforo Farnese”: la statua, risalente alla XXVI dinastia ma ritrovata a Roma, è probabilmente il primo reperto egizio acquisito dal museo e rappresenta un personaggio maschile inginocchiato che sorregge una piccola cappella con l’effige di Osiride. In questo caso, l’avventura, in 2D a scorrimento laterale con una bella grafica dipinta a mano, può trasferirsi anche nel passato permettendo di mettersi nei panni dello scultore che realizzò l’opera (immagine in alto). Per il momento, però, non ho potuto provare tutte le potenzialità del gioco perché alcune opzioni, tramite geolocalizzazione, vengono sbloccate solo nel raggio di 20 metri dal MANN.

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http://www.fatherandsongame.com/

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Facciamo un po’ di chiarezza sulla scoperta della tomba di Userhat

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Source: MoA

Quando viene effettuato un’importante ritrovamento archeologico, la stampa si concentra più sulle foto e sul titolo – d’altronde, è ciò a cui bada la gente – che sul contenuto della notizia stessa, a discapito dell’approfondimento del tema e della verifica delle fonti. Così, per rendere più accattivanti gli articoli, alcuni giornalisti – non conoscendo la materia – esagerano con le espressioni e fanno leva sui soliti cliché. È successo – come si vede nei seguenti titoli di giornali nazionali e non – anche stavolta con la recentissima scoperta della tomba di Userhat a Dra Abu el-Naga. Tra travisamenti, errate traduzioni e veri e propri sfondoni, credo sia opportuno fare un po’ di chiarezza. Infatti, al di là di comuni sbagli nelle trascrizioni di nomi di personaggi egizi o di località in arabo e del numero variante di sarcofagi che ancora non è stato definito (al momento, si contano 10 sarcofagi e 8 mummie), purtroppo ho letto dichiarazioni inesistenti, messe in bocca al ministro delle Antichità o al direttore della missione, che rischiano di dare credibilità immeritata a testi non veritieri.

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Ma andiamo in ordine. La tomba in questione era già nota, ma non era mai stata scavata: Friederike Kampp-Seyfried, indicandola con il numero -157- (Die thebanische Nekropole. Zum Wandel des Grabgedankens von der XVIII. bis zur XX. Dynastie, Mainz 1996, p. 708), ha proposto una datazione non certa al regno di Thutmosi III (1457-1425). In ogni caso, gli archeologi egiziani diretti da Mostafa Waziry, eliminando i detriti nella corte esterna, sono riusciti a entrare nell’ipogeo – una classica tomba a T – e a individuare altre due entrate ancora da ripulire. Non è assolutamente una sepoltura reale e i faraoni non c’entrano niente: il proprietario originario, Userhat (se proprio si volesse spezzare il nome, il modo giusto sarebbe Wser-hat), era un alto funzionario della XVIII dinastia (1543-1292) recante il titolo, secondo quanto detto da El-Enany, di qnbty n niwt, “Membro del Consiglio della città (Tebe)”. Si tratta di una carica amministrativa più complessa che, pur comprendendo competenze giuridiche, non si limitava ad esse e quindi non può essere tradotta semplicisticamente con “giudice”. Quindi, sarebbe più consono considerare Userhat un “magistrato” ma con l’accezione romana del termine. La tomba è rimasta inviolata al massimo per qualche secolo perché, durante la XXI dinastia (1069-945), la stanza più interna venne sfruttata per la collocazione di diversi sarcofagi con mummie, come la coeva cachette di Deir el-Bahari (DB320) in cui vennero nascoste oltre 50 mummie di re, regine e dignitari. Riassumendo: la struttura risale alla XVIII dinastia, ma fu riutilizzata durante la XXI. Infine, un capitolo a parte va dedicato al corredo funebre. Leggendo delle oltre mille statue ritrovate, ci si aspetterebbe uno sconfinato schieramento di sculture, simil-“Esercito di terracotta”; in realtà, gli archeologi hanno individuato ‘solamente’ degli ushabti, piccole statuette funerarie di pochi centimetri (come si vede nella foto in basso) che accompagnavano il defunto nell’Aldilà per lavorare al suo posto.

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Source: MoA

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Scoperta a Luxor tomba di XVIII dinastia con sarcofagi e oltre 1000 ushabti di XXI dinastia

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Source: Nigel J.Hetherington

Stamattina si sono rincorsi rumors sulla scoperta – o, secondo altre fonti, riscoperta – di una tomba di Nuovo Regno effettuata da archeologi egiziani a Dra Abu el-Naga, Tebe Ovest. Non essendoci ancora stato l’annuncio ufficiale del Ministero delle Antichità, le informazioni non sono ancora verificabili, ma, da quanto affermato alla stampa locale dal direttore della missione Mostafa Waziry, la sepoltura apparterrebbe a Userhat, alto ufficiale della XVIII dinastia, e conterrebbe almeno sei sarcofagi policromi, decine tra ushabti e vasi di ceramica e resti di mummie (immagini in basso).

Secondo quanto anticipato da Luxor Times, invece, si tratterebbe della già nota tomba Kampp -157-, un classico ipogeo “a T” (anticamera trasversale e corridoio terminante in una nicchia) situato a sud della TT255 e da non confondere con la TT157 di Nebwenenef (Primo profeta di Amon sotto Ramesse II).

Aggiornamento:

Il comunicato ufficiale del Ministero conferma che la tomba appartiene a Userhat e si compone di una corte aperta, una stanza rettangolare, un corridoio e una camera interna. Dopo la pulizia della prima sala, è stato scoperto un pozzo di 9 metri di profondità che conduce a ulteriori due vani ancora da scavare. Nella prima sala, sono stati scoperti il sarcofago, la maschera funeraria e ushabti appartenenti a Userhat; quella più interna, invece, è stata riutilizzata successivamente come cachette per diversi sarcofagi e mummie di XXI dinastia e oltre 1000 ushabti in faience, legno e terracotta.

 

 

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Tempio di Luxor: restaurato uno dei colossi di Ramesse II

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ph. Amr Rageh

In origine, la facciata del Tempio di Luxor doveva essere molto diversa da come appare oggi. Davanti al primo pilone, infatti, manca molto di ciò che fu aggiunto da Ramesse II (1279-1212) alla struttura già esistente dalla XVIII dinastia: uno dei due obelischi fu donato alla Francia nel 1829 da Muhammad Ali Pasha e ora si staglia al centro della parigina Place de la Concorde, mentre, dei sei colossi del faraone – due assisi in trono e quattro stanti – ne rimangono in piedi solo tre a causa di un disastroso terremoto del IV sec. d.C.

Tuttavia, una delle statue distrutte è tornata nella sua posizione originaria dopo un restauro iniziato alla fine dell’anno scorso. Fino a poco tempo fa, i frammenti della scultura in granito grigio – alta 10,8 metri e pesante 65 tonnellate – erano adagiati sul fianco occidentale del pilone (foto in basso), ma finalmente sono stati rimontati. L’inaugurazione ufficiale si svolgerà oggi alle 19:00, ma le foto che stanno già circolando sul web mostrano un Ramses di nuovo in forma!

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ph. Angela Crestani

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Bufale eGGizie*: l’uovo che data le piramidi a 6000 anni fa

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(*A scanso di equivoci, il nome della rubrica contiene volutamente un errore ortografico per sottolineare il carattere a dir poco ridicolo di alcune notizie riguardanti l’Egitto che circolano nel web e non solo)

Per Pasqua non potevo farvi mancare un bell’uovo, anche se spero non vi offendiate se ha più di 6000 anni. Sarà un po’ stantio, ma il pensiero è quel che conta! Si tratta, infatti, di un uovo di struzzo che risale al 4400-4000 a.C. (Naqada I) e che, attualmente, è esposto nel Museo Nubiano di Assuan. Tuttavia, il cosiddetto “Uovo di Assuan” è famoso soprattutto per la sua particolare decorazione che ha spinto alcuni fantasiosi amanti della fantarcheologia a utilizzarlo come pretesto per la solita retrodatazione delle piramidi di Giza. Sulla superficie del guscio, sarebbe incisa una perfetta cartina geografica della Valle del Nilo con la rappresentazione del corso del fiume fiancheggiato dalle terre fertili, della pseudo-oasi del Fayyum e del profilo dei tre monumenti funebri posti proprio a nord-ovest (immagine in alto). Così, le piramidi non sarebbero opera di Cheope, Chefren e Micerino, ma risalirebbero ad almeno due millenni prima. I tre triangoli si ripetono anche nell’altro lato dell’uovo, questa volta affiancati da una linea zigzagante ancora una volta interpretata come il Nilo. Alcuni si spingono addirittura a misurarne un’inclinazione di 23° che coinciderebbe con quella dell’asse terrestre. Inoltre, va da sé che una tale vista dall’alto del territorio implicherebbe anche la capacità di volare, con tutto un bagaglio di altre bufale accessorie.

Ovviamente non è così, ma partiamo dal principio. L’uovo (Figg. d, e-1 in basso) è stato scoperto alla fine degli anni ’10 del secolo scorso dall’egittologo britannico Cecil Mallaby Firth in una tomba infantile (n° 96) del Cimitero 102 di Dakka, un sito a sud di Assuan ora sommerso dal Lago Nasser. Oggetti simili avevano una doppia valenza, funzionale e rituale: erano contenitori di liquidi (si vede dal foro in cima) e simboleggiavano la rinascita dopo la morte; non a caso, anche l’altro esemplare ritrovato nel sito (Fig. e-2) apparteneva al corredo funebre di un bambino.

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Firth C.M., The Archaeological Survey of Nubia. Report for 1909-1910, Cairo 1915, pl. 11

Per quanto riguarda la decorazione, invece, non esiste alcun mistero poiché i motivi adottati sono perfettamente conformi alla produzione ‘artistica’ predinastica. Foto sfocate e tagliate ad hoc possono creare qualche suggestione, ma i due fiumi sono in realtà un serpente e uno struzzo, come si può vedere in altri esempi dell’epoca qui in basso e in quello più recente individuato nel 2015 a Qubbet el-Hawa.

Stesso discorso vale per i triangoli, nonostante quanto detto da Osama Abdel Meguid, il direttore del Museo Nubiano, che, in una vecchia puntata di Voyager, affermò che sull’uovo, accanto allo struzzo (almeno questo…), si trova la più antica rappresentazione di piramidi, pur non azzardandosi a fare riferimento a Giza. Immagino – o, più che altro, spero per lui – che si trattasse di una trovata pubblicitaria perché qualsiasi egittologo saprebbe che anche questa iconografia è diffusissima sui vasi predinastici. La forma è semplicemente la stilizzazione di una montagna o, più in generale, di un’altura (collina, duna di sabbia) e quindi era utilizzata per connotare un’area montuosa.

Inoltre, il numero tre indicava una pluralità indeterminata, convenzione successivamente adottata nella forma geroglifica. I tre colli, infatti, diventeranno un segno determinativo (N25 nella lista di Gardiner; in fondo a sinistra) inserito nel nome, come detto, di località montuose ma anche dei paesi stranieri, concettualmente connessi con la montagna e il deserto perché esterni alla Valle del Nilo. I primi esempi del genere coincidono addirittura con le più antiche testimonianze conosciute di scrittura egizia (3320-3150 a.C.), scoperte nella tomba U-j di Umm el-Qa’ab, nei pressi di Abido. Da questa sepoltura, forse appartenuta al re Scorpione I, provengono vasi con segni d’inchiostro, impronte di sigillo e soprattutto etichette d’osso e avorio (immagini in basso) che recano toponimi interpretati come un’embrionale suddivisione amministrativa del territorio alla fine del Predinastico.

 

 

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Alessandria: dalla demolizione di una villa storica alla scoperta di reperti di età romana

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Sources: egyptindipendent, MoA

Smantellate le macerie di Villa Aghion, sono emerse testimonianze ancora più antiche. Lo storico edificio, uno dei più importanti esempi di architettura modernista di Alessandria, era stato realizzato nel 1927 per una ricca famiglia ebrea su progetto di Auguste Perret (a Le Havre, in Francia, i suoi lavori sono patrimonio UNESCO), ma con i decenni era finito in stato di abbandono (immagini in basso). Così, nonostante l’enorme valore artistico e le proteste di varie associazioni, gli attuali proprietari avevano deciso di demolirlo per costruire nuovi appartamenti, cominciando nel 2009 e finendo lo scorso dicembre.

Oggi, Mamdoud Afifi, capo del settore delle Antichità Egizie del MoA, ha annunciato che nell’area del cantiere sono stati ritrovati resti archeologici risalenti soprattutto all’epoca romana: muri, un pavimento lastricato in calcare, un forno, blocchi di granito nero e diversi oggetti, come ceramica databile dall’età tolemaica a quella bizantina, monete e ossa. Il ritrovamento è stato effettuato durante uno scavo preventivo per controllare la zona prima dell’inizio dei nuovi lavori.

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“Egitto e Vicino Oriente Antichi. Tra passato e futuro”: gli orientalisti italiani s’incontrano a Pisa

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All’ombra della Torre pendente, si prospetta un evento da non perdere. A Pisa (Polo Carmignani, Aula 2 – Piazza dei Cavalieri 8), il 5 e 6 giugno, si riuniranno tutti i principali studiosi italiani della macroarea dell’Egitto e del Vicino Oriente antichi per discutere del passato e, soprattutto, del futuro dell’Orientalistica del nostro Paese. In un ambito che, per divisioni geografiche e cronologiche, comprende mondi spesso molto distanti, si è finalmente capito l’importanza del dialogo e della condivisione delle esperienze per arrivare a scopi comuni e a un miglioramento della ricerca. Tutto questo grazie alla spinta catalizzatrice del Comitato organizzativo (Prof. Marilina Betrò, Dr. Gianluca Miniaci, Prof. Stefano De Martino, Prof. Frances Pinnock) e dell’Università di Pisa, ateneo dalle gloriose tradizioni nel settore (solo per fare un esempio – per niente casuale! – proprio qui, nel 1826, fu istituita la prima cattedra di Egittologia al mondo con Ippolito Rosellini).

Tra l’apertura di Edda Bresciani e Paolo Matthiae e la chiusura di Mario Liverani (immagino siano superflue le presentazioni), una due-giorni fitta d’interessanti interventi vedrà il confronto tra grandi nomi delle diverse discipline orientalistiche e giovani studiosi formatisi in Italia e all’estero. Non a caso, la formula adottata sarà innovativa perché, accanto alle presentazioni di famosi relatori invitati a rappresentare l’Anatolistica (Clelia Mora e Stefano De Martino), l’Archeologia del Vicino Oriente (Stefania Mazzoni), l’Assiriologia (Francesco Pomponio), l’Egittologia (Patrizia Piacentini), la Semitistica (Riccardo Contini) e la Storia del Vicino Oriente antico (Lucio Milano), brevi sessioni tematiche lasceranno il tempo per un dibattito condiviso anche con il pubblico. Infatti, dal 15 maggio, sarà possibile scaricare i testi degli interventi (link) così da approfondire i diversi temi trattati e da partecipare attivamente al Convegno con interventi, domande, discussioni.

Questo spirito di apertura e partecipazione si rispecchia anche nella presenza di studenti e dottorandi dell’Università di Pisa (tra cui ho il piacere di figurare per la gestione del sito web e dei social) nell’organizzazione dell’evento. Come detto, tutti – addetti ai lavori e semplici appassionati – possono partecipare gratuitamente al Convegno, ma è necessaria la registrazione, entro il 15 maggio, tramite il seguente link:

https://www.eventbrite.it/e/biglietti-egitto-e-vicino-oriente-antichi-tra-passato-e-futuro-33113747109

Invece, chi non sarà presente di persona, oltre al mio blog, potrà seguire aggiornamenti live e, probabilmente, la diretta streaming sui social network ufficiali: la pagina Facebook (Egittologia UniPi) e il profilo Twitter (@evoa2017).

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Per maggiori info: evoa.pisa@gmail.com, http://egittologia.cfs.unipi.it/it/convegno-di-orientalistica/

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Il programma di “Egitto e Vicino Oriente antichi: Tra passato e futuro”:

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Kha e Merit tornano insieme per una TAC

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Source: Museo Egizio di Torino

Non è la prima volta che, negli ultimi mesi, si vede un grosso camion bianco parcheggiato in Via Accademia delle Scienze (foto in basso); questa volta, però, c’è una particolarità “romantica”. Con la giornata di oggi, si chiude un’altra tornata di analisi nel laboratorio mobile del “Mummy Conservation Project”, utilizzato per effettuare TAC alle mummie umane e animali del Museo Egizio di Torino. Il progetto – portato avanti, insieme all’Egizio, dalla Soprintendenza, dal centro Eurac di Bolzano, dal team medico statunitense del gruppo Horus e dal Curt Engelhorn Zentrum Archäeometrie di Mannheim – ha come scopo lo  studio delle tecniche d’imbalsamazione e dello stato di conservazione dei corpi conservati nel museo. Oltre alla TAC, si effettueranno analisi del DNA e datazioni al C14. Tra le mummie analizzate nell’ultima settimana, tornando alla particolarità odierna, figurano anche quelle di Kha e Merit (immagine in alto), l’architetto di XVIII dinastia e sua moglie ritrovati da Schiaparelli nella loro tomba intatta (TT8) di Deir el-Medina nel 1906.

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