Archivi del mese: Maggio 2017

Sequenziato il DNA di 93 mummie di Abusir el-Malek

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Source: pasthorizonspr.com

Uno degli argomenti più dibattuti – spesso in ambienti poco scientifici – è l’origine degli antichi Egizi. Avevano la pelle scura o no? Ora, uno studio internazionale – seppur con mille dubbi dovuti all’integrità dei campioni – potrebbe chiarire la questione. Infatti, un gruppo di studiosi della Universität Tübingen, del Max Planck Institute for the Science of Human History in Jena, della University of Cambridge, dell’Accademia Polacca delle Scienze e della Berliner Gesellschaft für Anthropologie, Ethnologie und Urgeschichte hanno analizzato 151 mummie egizie per sequenziarne il genoma.

Tutti questi corpi imbalsamati, conservati tra Berlino e Tübingen, provengono da un singolo sito, Abusir el-Malek (100 km a sud del Cairo), e coprono un periodo che va dal XIV sec. a.C. al V sec. d.C., quindi dall’inizio del Nuovo Regno alla fine del periodo romano. Nonostante un range cronologico così ampio, sembra che il DNA della popolazione sia rimasto abbastanza stabile con forti connessioni con il Levante e addirittura con la gente neolitica dell’Anatolia e dell’Europa. Quindi, la lettura completa del genoma di 3 mummie e quella del DNA mitocondriale (trasmesso solo dalle madri) di altri 90 corpi indicherebbe un’origine vicinorientale almeno per gli abitanti di quell’area. Al contrario, i moderni Egiziani sarebbero maggiormente imparentati con popolazioni del Centro Africa perché, negli ultimi 1500 anni, si riscontra un rimescolamento del genoma con l’arrivo crescente di genti sub-sahariane, probabilmente causato dall’inizio della tratta degli schiavi.

L’articolo originale: https://www.nature.com/articles/ncomms15694

 

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Da novembre l’abbonamento per i siti del Cairo

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Dopo l’esperimento del “Luxor Pass”, anche l’area della capitale avrà un suo abbonamento. Da Novembre, infatti, il “Cairo Pass” permetterà di accedere per 5 giorni a tutti i musei e i siti archeologici della città e del governatorato di Giza; nella lista, quindi, saranno comprese anche due delle principali attrazioni turistiche dell’Egitto: il Museo Egizio di Piazza Tahrir e le Piramidi di Cheope, Chefren e Micerino. Il costo – 100$ per il normale pacchetto e 50$ per gli studenti – permetterà di risparmiare rispettivamente fino a 47 e 23 dollari. Ovviamente, questa cifra fornita dal Ministero delle Antichità corrisponde a un tour onnicompresivo, quindi consiglio di valutare bene se valga la pena acquistare l’abbonamento calcolando i siti che si vogliono visitare.

Il Cairo Pass sarà disponibile pagando anche in euro e portando una fototessera e la fotocopia del passaporto presso il Dipartimento di Relazioni Culturali nella sede del Ministero a Zamalek o le biglietterie della Cittadella di Saladino, del Museo Egizio e delle Piramidi di Giza.

Aggiornamento (18/07/2017)

Al lancio ufficiale del Ministero delle Antichità, il prezzo del Cairo Pass è stato abbassato a 80/40 $. Non è chiaro se sia già acquistabile fin da ora. Inoltre, sono stati specificati siti e musei visitabili con l’abbonamento:

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Heracleopolis Magna: scoperto architrave di Sesostri II

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Source: MoA

A Heracleopolis Magna (l’attuale Ihnasiya el-Medina, nel governatorato di Beni Suef), archeologi spagnoli hanno scoperto un architrave in granito rosso con i cartigli di Sesostri II (1895-1878). La missione diretta dal 1984 da María del Carmen Pérez Díe (Dip. di Antichità Egizie e del Vicino Oriente del Museo Arqueológico Nacional di Madrid) si sta concentrando sull’area del tempio ramesside di Hershef, il dio locale dalla testa di ariete poi assimilato con Eracle (da qui il nome greco della città). Questo sito, però, ha strati di frequentazione più antichi, risalenti all’inizio della XVIII dinastia e, secondo questa scoperta, al Medio Regno. Viene confermato, così, l’interesse di Sesostri II per la regione del Fayyum dove, a soli 10 km da Heracleopolis, si fece costruire la piramide di El-Lahun.

Il testo dell’iscrizione reca parte della titolatura reale:

[nsw-bi]t  KA-kpr-Ra  sA-Ra  n  X.t=f  Sn-Wsr.t  → “Signore dell’Alto e del Basso Egitto: Khakheperra, figlio biologico di Ra: Senuseret”

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“Tutankhamon” – miniserie TV (blooper egittologici)

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Stasera e domani (22-23 maggio), andrà in onda su Focus (canale 56 del digitale terrestre) la miniserie inglese “Tutankhamun”, qui in Italia presentata con il titolo “Tutankhamon”. Da non confondere con l’orripilante “TUT” di cui – ahimè – ho già scritto, questo dramma storico prodotto dalla ITV e diretto da Peter Webber (“La ragazza dall’orecchino di perla”, “Annibal Lecter – Le origini del male”) parla in 4 episodi della scoperta nel 1922 della KV62. Il protagonista, quindi, non è il ‘faraone fanciullo’ ma Howard Carter che, dopo mille difficoltà e insuccessi, riesce ad effettuare il ritrovamento archeologico più importante della storia. L’idea del racconto biografico applicata all’Egitto è sicuramente una ventata di novità per un’ambientazione cinematografica quasi sempre fossilizzata sui soliti personaggi: mummie e Cleopatra (anche se, a dir la verità, Tutankhamon non è proprio un argomento inedito). Dopo questo esempio, infatti, sarebbe interessante vedere altre produzioni incentrate sui grandi nomi dell’egittologia, dagli albori della disciplina all’introduzione del metodo scientifico, come Belzoni, Champollion, Petrie (che fa una comparsata anche in questa serie) e molti altri la cui vita, senza dover romanzare troppo, sarebbe perfetta per un film. Per il momento, accontentiamoci di “Tutankhamun” che, fra l’altro, presenta una trama piuttosto aderente alla realtà (verificabile leggendo i diari e il giornale di scavo originali). Al di là di due particolari punti che – come vedremo – lasciano perplessi, non ci sono grossolani errori, a testimonianza di una ricerca a monte abbastanza accurata. L’attendibilità storica, però, non è accompagnata da una sceneggiatura avvincente rendendo la serie spesso lenta nonostante i mille spunti, anche avventurosi, a disposizione.

Ho scritto questo articolo mesi fa, dopo aver visto la versione originale nell’ottobre 2016, quindi spero non abbiano stravolto troppo la narrazione con il doppiaggio italiano. In ogni caso, leggete pure la recensione senza pensare ad eventuali spoiler, tanto sapete già come va a finire la storia, no?

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Come detto, i problemi principali che inficiano la credibilità generale della serie sono due, tra cui la scelta di Max Irons per ricoprire il ruolo principale. L’aitante modello trentenne è troppo lontano anagraficamente da Howard Carter che, al momento della scoperta, aveva 48 anni. In questo caso, l’utilizzo dell’attore belloccio di turno non serve solo ad attrarre il pubblico femminile ma anche a giustificare l’altra falla nella trama: la strage di cuori che Carter lascia dietro di sé. L’archeologo britannico, infatti, non solo intraprende una relazione d’amore con Lady Evelyn Herbert (Amy Wren), figlia di Lord Carnarvon – speculazione senza alcuna prova e criticatissima dai discendenti del Conte, ma giustificata dallo sceneggiatore Guy Burt come un ‘persistente rumor’ -, ma ha anche un flirt con la povera Maggie Lewis (Catherine Steadman), membro della missione a Tebe del Metropolitan Museum, prima sedotta e poi abbandonata. In questo caso, nessun lontano parente si è lamentato, non per merito di una maggior apertura mentalmente, ma perché la Lewis è un personaggio inventato. Tutti gli altri egittologi, invece, sono reali: Norman de Garis Davies, Herbert Winlock, Arthur Mace, Harry Burton, Arthur Callender ecc.

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La cosa che mi spaventava di più era il modo in cui sarebbe stata presentata la fantomatica Maledizione di Tutankhamon; fortunatamente, però, in questo caso gli autori si sono attenuti alla verità. Viene infatti mostrata la morbosa attenzione che i media avevano nei confronti della scoperta che s’infranse contro la vendita dell’esclusiva (qui erroneamente attribuita a Carter quando invece fu opera di Carnarvon) al giornalista Arthur Merton del Times. Solo per questo motivo, gli altri giornali cominciarono a inventarsi bufale per vendere più copie. Nella serie viene effettivamente mostrato che il Conte (Sam Neill) morì per un’infezione provocata dal taglio di una puntura di zanzara e il famoso canarino, che sarebbe stato ingoiato da un cobra al momento dell’apertura della tomba, appare – vivo e vegeto – solo come riferimento alla storia. Di tutto questo, però, non era stato informato il ragno velenoso che ha morso Amy Wren mandandola in ospedale durante le riprese in Sud Africa (dove è stata ricreata la Valle dei Re)!

Una cosa che ho apprezzato particolarmente è stata l’attenzione nei confronti delle foto di Burton, spesso rinscenate con dovizia di particolari come si può vedere nell’esempio in basso.

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Infine, menzione d’onore per il sedere del grande egittologo Flinders Petrie che esce nudo da una tomba per andare a bere un gin tonic fatto con alcol etilico e acido citrico. No comment…

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Deir el-Bahari: (ri)scoperte 56 giare con materiale per mummificazione

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Source: MoA

Non è detto che scavare in aree già indagate non porti sorprese. Anzi, in contesti del genere, le scoperte sono molto più frequenti di quello che si pensa. È un esempio l’ultimo ritrovamento effettuato a Deir el-Bahari (Tebe Ovest) dai membri del Middle Kingdom Theban Project, missione focalizzata sullo scavo, il restauro, lo studio epigrafico e la pubblicazione di alcune sepolture di Medio Regno (TT 313, TT 315, CG 28023). Proprio ripulendo l’angolo nord-orientale del cortile della tomba di Ipi (TT 315) – visir sotto Amenemhat I (1994-1964) -, gli archeologi spagnoli diretti da Antonio Morales (Universidad de Alcalá) hanno individuato una camera accessoria piena di contenitori ceramici. In realtà, queste giare – 56 per l’esattezza – erano state già scoperte nel 1921-22 dall’americano Herbert Winlock (Porter-Moss I-1 p. 390) che, tuttavia, non le aveva ripulite probabilmente considerandole reperti di minore importanza. Invece, il loro contenuto potrebbe essere fondamentale per lo studio dei metodi di mummificazione del Medio Regno. Al loro interno, infatti, si trovavano teli di lino lunghi oltre 4 metri, rotoli di bende, abiti, stracci vari e porzioni di tessuto più sottile per avvolgere le dita del defunto. Inoltre, c’erano anche vari strumenti di legno e rame e circa 300 sacchetti contenti natron, sabbia, resine e altri prodotti da utilizzare per l’imbalsamazione di Ipi il cui cuore, estratto e trattato, potrebbe essere stato individuato tra questo materiale da Salima Ikram (American University of Cairo). Importanti anche i sigilli sui tappi e le iscrizioni in ieratico sulla ceramica.

 

http://thebanproject.com

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Source: MoA

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Tombarolo scopre blocco di Nectanebo II sotto casa

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ph. Yaser Mahmoud Hussein

Ancora uno scavo abusivo in ‘cantina’. Durante un’ispezione della polizia turistica nell’area di Beni Mansour, nei pressi dell’antica Abido, un uomo è stato colto in flagranza di reato mentre realizzava una fossa sotto la propria abitazione. Qui, a 4 metri di profondità, è stato trovato un blocco di 1,40 x 0,40 m che reca i cartigli di Nectanebo II (360-343), faraone della XXX dinastia che ha avuto un’intensa politica edilizia nella zona. Accanto al nomen e al prenomen, s’intravede anche la corona bianca del re. Secondo Ashraf Okasha, direttore generale delle Antichità di Abido, il blocco potrebbe appartenere a una cappella reale o al muro di un tempio, ma, per il momento, non è possibile verificarlo a causa del livello delle acque freatiche. Per questo, la vecchia casa in mattoni crudi è stata sequestrata per le verifiche del caso.

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ph. Yaser Mahmoud Hussein

 

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Tuna el-Gebel: scoperta cachette con 30 mummie

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Source: euronews.com

Già ieri circolavano indiscrezioni su una grande scoperta effettuata da archeologi dell’Università del Cairo a Tuna el-Gebel, nel governatorato di el-Minya – Medio Egitto. Voci confermate oggi dalla conferenza stampa del ministro delle Antichità che ha annunciato il ritrovamento, tramite georadar, di un pozzo funerario profondo 8 metri che conduce a un reticolo di gallerie contenenti una trentina mummie di Epoca Tarda (è lo stesso El-Enany a riferirlo in un’intervista; il dispaccio ufficiale del Ministero, invece, ne conta 17). La cachette si trova a est delle necropoli degli animali dove erano state sepolte migliaia di corpi imbalsamati di ibis e babbuini, animali sacri a Thot, il dio della vicina città di Khmun/Hermopolis Magna. Non a caso, alcuni dei corpi deposti nel sepolcro apparterrebbero proprio a sacerdoti di Thot. Le mummie, collocate in sarcofagi di calcare e due antropoidi in terracotta, sono in buono stato di conservazione. Tra gli oggetti del corredo – pochi perché il sito è stato depredato già in antico – ci sono vasi ceramici, una decorazione d’oro a forma di piuma e soprattutto due papiri demotici, oltre a resti di babbuini.

Il video girato nella tomba:

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Marilina Betrò nuovo presidente del Comitato Scientifico del Museo Egizio di Torino

betro2.jpgLa Prof.ssa Marilina Betrò, ordinario di Egittologia presso l’Università di Pisa, è il nuovo presidente del Comitato scientifico del Museo Egizio di Torino. Designata dal ministro Dario Franceschini, ricoprirà il ruolo che era occupato dal Prof. Antonio Loprieno. Inoltre, il nuovo Comitato sarà composto da altri illustri professori e direttori di musei internazionali: Susanne Bickel (Universität Basel), Diana Craig Patch (dir. del Dipartimento di Arte Egiziana del Metropolitan Museum di New York), Vincent Rondot (dir. del Dipartimento di Antichità Egiziane del Louvre), Friederike Seyfried (dir. del Ägyptisches Museum und Papyrussammlung di Berlino), Neal Spencer (dir. del Dipartimento di Antichità dell’Egitto e del Sudan del British Museum) e Willemina Z. Wendrich (University of California – Los Angeles).

Come indicato sullo Statuto della “Fondazione Museo delle Antichità Egizie di Torino”: «Il Comitato scientifico è nominato dal Collegio dei Fondatori ed è presieduto da uno studioso di chiara fama in egittologia, designato dal Ministro per i beni e le attività culturali, su proposta del Direttore generale per i beni archeologici del Ministero. Esso è composto, oltre che dal Presidente, da sei membri scelti tra personalità di riconosciuto prestigio nel campo della cultura e dell’arte e dotate di specializzazione professionale, comprovata esperienza e specifica competenza, in particolare, nei settori di attività della Fondazione» e «si pronuncia in ordine agli indirizzi, ai programmi ed alle attività scientifiche e culturali della Fondazione ».

Alla Professoressa vanno le mie personalissime congratulazioni, ancor più sentite in quanto suo fiero studente e dottorando.

Biografia e pubblicazioni: http://egittologia.cfs.unipi.it/it/staff-scientifico/marilina-betro/

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Aperta la camera funeraria della piramide di Dahshur: trovata la cassa per gli organi del defunto

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Source: MoA

Proprio stamattina era arrivata la risposta ufficiale del Ministero delle Antichità a quanti, nell’ultimo mese, avevano messo in dubbio l’effettiva ‘originalità’ della scoperta a Dahshur di una nuova piramide. La missione egiziana diretta da Adel Okasha aveva individuato nel monumento funerario il cartiglio di Ameny Qemau, faraone della XIII dinastia che regnò intorno al 1790 a.C.; per questo, in molti avevano pensato che la piramide fosse la stessa che era stata ritrovata nel 1957.

A quanto pare, invece, si tratta effettivamente di una piramide diversa, lontana 600 metri da quella già nota, e probabilmente appartenente a un’altra persona. Sollevando il pesante blocco di copertura (immagine in basso), gli archeologi sono riusciti ad accedere alla camera funeraria dove si trovava ancora la cassa lignea (foto in alto) in cui erano riposti gli organi interni del defunto (fegato, polmoni, intestini e stomaco). Come era prassi per il II Periodo Intermedio, non erano utilizzati i vasi canopi, ma le viscere erano trattate, ricoperte da bende – che, in questo caso, si sono conservate – e riposte in questi contenitori. Sulle pareti esterne della scatola, una linea di geroglifici su tre lati presenta formule protettive per quello che, a questo punto, è il vero proprietario della piramide, cioè la figlia di Ameny Qemau o un altro membro della famiglia reale. Non è stato specificato il nome, ma, come ha fatto notare Alexander Ilin-Tomich (Johannes Gutenberg-Universität Mainz) su EEF, dovrebbe essere la “Figlia del re” Hatshepsut, già nota da altri due oggetti della XIII dinastia. Nella stanza c’era anche il sarcofago antropoide che, tuttavia, è in pessimo stato di conservazione.

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Source: MoA

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“La Mummia” (1999): blooper egittologici

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Sapevo che questo momento prima o poi sarebbe arrivato… Non potevo di certo dimenticarmi di un film che, nel bene o nel male, è entrato di prepotenza nell’immaginario comune; soprattutto perché, tra poco (8 giugno), uscirà nelle sale l’ennesima versione di uno dei soggetti più amati e sfruttati dal cinema d’avventura/horror: “La Mummia”. Questa volta parlerò della pellicola del 1999 di Stephen Sommers che riprese la vecchia storia del malvagio Imhotep (lanciata già nel 1932 da Karl Freund) e del suo risveglio maledetto per colpa dell’archeologo di turno. Poco di nuovo, quindi, se si esclude un massiccio utilizzo di effetti speciali, particolarmente gradito dall’attore Arnold Vosloo che, così, si è risparmiato le 8 ore di trucco che il povero Karloff doveva subire per trasformarsi nel mostro. In ogni caso, nonostante il mio personalissimo e già evidente giudizio negativo, il film ha avuto un gran successo al botteghino che ha fatto sì che fossero prodotti due sequel (“La mummia – Il ritorno” e “La mummia – La tomba dell’Imperatore Dragone”) e un prequel/spin-off (“Il Re Scorpione” che, a sua volta, ha avuto diversi seguiti minori per l’home-video).

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Come detto, l’antagonista è il sommo sacerdote Imhotep, presentato all’inizio del film nella Tebe di Seti I (1290-1279) – anche se vengono mostrate piramidi, la Sfinge e gigantesche statue di divinità con la testa timidamente abbassata (cominciamo bene…) – insieme all’amante del faraone, Anck-Su-Namun (nome leggermente diverso dal classico Anck-es-en-Amon). Il loro amore proibito viene scoperto, così i due sono costretti ad uccidere il re e a scappare, con esito positivo solo per Imhotep. Questo particolare è ovviamente frutto della fantasia  dei sceneggiatori perché la mummia di Seti, oggi conservata presso il Museo Egizio del Cairo, non presenta tracce di morte violenta. Tornando alla storia, la giovane si suicida per non finire nelle mani delle guardie del re e il suo corpo viene trafugato dall’amato con l’intento di farla resuscitare, anche grazie all’ausilio degli altri sacerdoti che sembrano la versione dorata dei Rockets. Qui troviamo due tra gli errori più grossolani dell’intero film, evidenti già dall’immagine in basso a sinistra: un Libro dei Morti rilegato (ne parleremo poi) e 5, dico CINQUE, vasi canopi. Infatti, un improbabile quinto vaso (quello al centro), con coperchio a testa di leone, è utilizzato per conservare il cuore. È vero che le tecniche d’imbalsamazione erano molto meno standardizzate di quanto si pensi e che, da recenti studi, si è visto che spesso il muscolo cardiaco non veniva lasciato nei cadaveri, ma di certo non esisteva un canopo per questo scopo. Inizialmente, gli organi interni erano riposti in cassette con quattro scomparti, fino all’introduzione nel Medio Regno di contenitori che, a partire dalla XIX dinastia (proprio quella di Seti I), assunsero le fattezze dei Figli di Horus, i quattro geni tutelari della mummificazione: Imsety (uomo) per il fegato, Hapi (babbuino) per i polmoni, Qebehsenuef (falco) per gli intestini e Duamutef (sciacallo) per lo stomaco. Nessun leone.

Tuttavia, il rituale magico è interrotto dalle guardie e l’anima di Anck-Su-Namun torna nell’Aldilà. Tutti i sacerdoti vengono mummificati vivi, ma la pena peggiore è riservata proprio per Imhotep: l’Hom-Dai, la condanna – molto più cristiana, in realtà – a soffrire per l’eternità senza poter morire, sigillato in un sarcofago con scarabei carnivori.

Imhotep viene così sepolto nella mitica città dei morti di Hamunaptra dove, dopo un salto temporale, ci si ritrova nel 1923 (non a caso, un anno dopo la scoperta della tomba di Tutankhamon) con l’avventuriero americano Rick O’Connell (Brendan Fraser) che guida un’unità di legionari francesi alla ricerca degli incommensurabili tesori che la leggenda vuole in quel luogo. La spedizione non va a buon fine, anche per l’intervento dei Medjai (il vero termine si riferisce ad antiche popolazioni del deserto orientale e poi effettivamente a corpi di polizia d’élite), i discendenti delle guardie del faraone capeggiati da Ardeth Bay che sulla fronte ha tatuata la parola imHt, “aldilà”, in geroglifico (in basso a destra). In questo senso, il film del 1999 si discosta da quello del 1932 dove Ardeth Bay (anagramma di “Death by Ra”) era lo pseudonimo della mummia tornata in vita. Le scene tra le rovine della città, così come tutte le altre in esterno, non sono state girate in Egitto ma, come spesso capita per film storici (“Alexander”, “Il Gladiatore”, “Asterix & Obelix – Missione Cleopatra”, “Troy”, ecc.), in Marocco, dove sono nati veri e propri studi cinematografici specializzati (Atlas Corporation Studios).

L’unica cosa che O’Connell riesce a portar via da quel luogo maledetto è una specie di scatoletta a scatto (su cui è scritto “djed-medu 😛 in nesu-bit Men-Maat-Ra”: “Parole dette dal re dell’Alto e del Basso Egitto Seti I”; in basso a destra) al cui interno è nascosta la mappa per Amunaptra. Così, arrivato al Cairo, insieme a una bibliotecaria del Museo Egizio (anche questo ricostruito – male – in Marocco; in basso a sinistra) e a suo fratello Johnatan, un trafficante di antichità, torna indietro per cercare il tesoro più grande: il libro in oro massiccio di Amun-Ra. Il nome scelto per l’egittologa, Evelyn Carnahan (Rachel Weisz), è un chiaro riferimento a Lady Carnarvon, figlia del famoso finanziatore della missione di Howard Carter la cui morte improvvisa fece nascere la bufala della maledizione di Tutankhamon.

In stretta competizione con un’altra squadra di avventurieri americani (ennesimo spunto preso dalla saga di Indiana Jones, a mio avviso fin troppo citata per non sconfinare nel plagio), il gruppo riesce ad accedere alla sala della mummificazione della Città dei Morti dove – classico cliché – trappole mortali fanno fuori uno dopo l’altro i membri delle due missioni. Nonostante ciò, viene scoperto il sarcofago di Imhotep, aperto come una cassaforte con la scatoletta inserita in un ingranaggio da girare. La pesantissima bara è posta inutilmente in verticale solo per far più scena quando la mummia spunta improvvisamente fuori all’apertura del coperchio. La chiave, poi, si rivela utile anche per sbloccare il Libro dei Morti (in basso a destra) che, come anticipato, è rappresentato erroneamente come un vero e proprio volume con pagine da girare. In realtà, la definizione “libro” è stata introdotta dal tedesco Karl Richard Lepsius (il primo, nel 1842, a curarne l’edizione), in quanto si trattava di una serie di formule funerarie – il cui nome originale era “Formule per uscire al giorno” – scritte su diversi supporti come papiri, sarcofagi, bende di mummia, statuette ecc. Eppure, la produzione si è avvalsa della consulenza dell’egittologo Stuart Tyson Smith (impiegato anche nella realizzazione di “Stargate”; a sua discolpa, il professore della University of California – Santa Barbara, ha affermato di aver avvertito Sommers di questi errori). Fra l’altro, il Libro era nascosto in un contenitore su cui uno degli archeologi legge – nel verso sbagliato – una maledizione che semi-cita quella inventata dai giornalisti per l’entrata della KV62: «La morte verrà su rapide ali per colui che oserà aprire questa cassa».

La bibliotecaria incautamente legge una formula scritta nel Libro dei Morti che risveglia la mummia e riporta sulla Terra le dieci piaghe d’Egitto. Imhotep è inarrestabile e uccide una persona dopo l’altra per rubarne gli organi e rigenerarsi il corpo; scappa solo di fronte a un gattino di cui ha paura perché – non so dove l’abbiano letto – i felini sarebbero i guardiani dell’oltretomba. Poi rapisce Evelyn per far tornare in vita anche Anck-Su-Namun attraverso il suo sacrificio.

L’unico modo per fermare il malvagio sacerdote è trovare il dorato Libro di Amun-Ra che, anche in questo caso, è un volume rilegato (in basso a destra). L’oggetto si trova in una stanza del tesoro che s’illumina con un gioco di specchi debunkato dal punto di vista della fisica dai MythBusters. Alla fine, tra sparatorie e mummie inaspettatamente agili, Johnatan riesce a leggere la formula (a quanto pare, anche lui conosce il geroglifico), dando modo a Rick di spedire Imhotep nell’Aldilà… ma per poco, giusto il tempo di girare il seguito.

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