Archivi del mese: settembre 2017

Scoperta testa in gesso di Akhenaton ad Amarna

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Source: MoA

Appena una settimana fa, ero ad Akhetaton, l’antica capitale di Akhenaton (1351-1333), e ora, tornato in Italia, mi ritrovo a scrivere di una scoperta effettuata proprio a Tell el-Amarna! Gli archeologi diretti dal Prof. Barry Kemp (University of Cambridge) -che ho avuto l’onore di incontrare durante la visita del sito- hanno individuato una testa in gesso e sabbia scura del faraone (9 x 13,5 x 8 cm) nella prima corte del Tempio Grande di Aton (foto in basso). Ad annunciare il ritrovamento è stato Mostafa Waziry, da pochi giorni Segretario Generale del Supreme Council of Antiquities e protagonista della recente scoperta di una tomba a Dra Abu el-Naga.

La lavorazione arrotondata della base del collo fa pensare che l’oggetto non appartenesse a una statua danneggiata ma che sia stato realizzato così come è venuto fuori dalla sabbia. Lo strato di livellamento di macerie in cui si trovava è stato datato grazie a un etichetta in ieratico al 12° anno di regno di Akhenaton, in corrispondenza del rifacimento del tempio. Quindi la testa, danneggiata già in antichità, era stata scartata ben prima dell’abbandono della città.  Uno degli obiettivi della missione -arrivata ormai al suo 40° anno- è proprio il restauro del santuario di cui restano solo le fondamenta, almeno per renderne comprensibile la planimetria.

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Il sito della missione: http://www.amarnaproject.com

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Tempio Grande di Aton, Tell el-Amarna (ph. M. Mancini)

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“28ª Rassegna Internazionale del Cinema Archeologico” (Rovereto, 3-8 ottobre)

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Per il terzo anno consecutivo, avrò il piacere di far parte di una delle giurie speciali della “28ª Rassegna Internazionale del Cinema Archeologico” di Rovereto. Insieme ad altri archeoblogger, premierò uno dei film in concorso alla più famosa rassegna italiana – e non solo – di documentari che hanno come tema archeologia, storia, paleontologia e antropologia. La manifestazione, organizzata da Fondazione Museo Civico di Rovereto con la collaborazione della rivista Archeologia Viva, vedrà la proiezione di decine di pellicole, alcune delle quali sull’antico Egitto: “La science se frotte aux momies dorées” (il CNRS applica le più moderne tecnologie per l’analisi delle mummie copte di Antipoli); “The Moving Statues of Alexandria” (la storia degli spostamenti delle grandi statue di Alessandria dall’antichità ai giorni d’oggi); “Did the ptolemies have a steam – powered force – pumpe?” (ricostruzione piuttosto fantasiosa sulle capacità tecnologiche dei Tolomei); “Dall’Egitto faraonico all’Africa di oggi” (lavoro dei fratelli documentaristi Alfredo e Angelo Castiglioni). L’Egitto è il protagonista anche della copertina scelta per l’edizione 2017, attraverso il particolare della decorazione egittizzante di una delle famosissime coppe in ossidiana da Stabia.

Gli altri membri della giuria speciale di archeoblogger sono:

Antonia Falcone e Domenica Pate (Professione Archeologo);
Paola Romi (blogger freelance);
Stefania Berutti (Memorie dal Mediterraneo);
Astrid d’Eredità (ArcheoPop);
Giovanna Baldasarre (ArcheoKids);
Marina Lo Blundo (Museo Archeologico Nazionale di FirenzeGenerazione di Archeologi);
Marta Coccoluto (blogger freelance);
Michele Stefanile (Archeologia Subacquea).

Per il programma completo: http://www.rassegnacinemaarcheologico.it/rica_context.jsp?ID_LINK=114199&page=3&area=316&id_context=418932

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Dra Abu el-Naga: scoperta tomba di sacerdote di XVIII dinastia

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Sourch: @pastpreservers

Fedele alla strategia comunicativa adottata negli ultimi tempi, Khaled el-Enany, ministro egiziano delle Antichità, ha oggi annunciato in pompa magna una grande scoperta effettuata nella necropoli di Dra Abu el-Naga, Tebe Ovest: la tomba di un sacerdote vissuto durante la XVIII dinastia (1543-1292). Il defunto si chiamava Amenemhat e si fregiava del titolo di “Orafo del dio Amon”. La notizia è stata rilasciata stamattina a giornalisti locali e stranieri durante una conferenza stampa ufficiale, anche se erano state già fatte trapelare da mesi piccole anticipazioni ad hoc. Mostafa Waziry, Capo delle Antichità di Luxor e direttore della missione egiziana che ha effettuato il ritrovamento, aveva parlato di una tomba più importante di quella già spettacolare del funzionario Userhat, individuata nella stessa area lo scorso aprile. Il ministro, invece, aveva sibillinamente dichiarato che la scoperta “avrebbe stupito il mondo intero”. La nuova sepoltura è stata scavata poco più in alto sulla collina, in corrispondenza del cortile della già nota TT300 (Anhotep, 1279-1212). Si tratta di una singola camera funeraria a pianta rettangolare con una nicchia nella parete di fondo che contiene le statue dipinte di Amenmhat, di sua moglie Amenhotep – nome di solito maschile, ma seguito dal titolo “Signora della casa” – e dei loro due figli. La struttura, come spesso accadeva in periodi più tardi, è stata poi riutilizzata durante la XXI o XXII dinastia (1069-712) per sepolture più povere. Per questo, gli archeologi hanno trovato diversi sarcofagi lignei decorati, circa 150 ushabti in faience e altri materiali e numerosi frammenti di mummie, oltre a vasi di ceramica, gioielli e altri oggetti. In realtà, la tomba era stata già segnalata con la nomenclatura Kampp -390.

Inoltre, nella corte esterna, è stato individuato un gruppo di pozzi funerari, forse risalenti al Medio Regno, ancora da scavare. Uno di questi conserva il sarcofago di una donna di 50 anni e uno con i suoi due figli di 20/30 anni. Ma le sorprese non finiscono qui; El-Enany ha preannunciato che a breve saranno presentate nuove tombe dalla stessa area. Infatti, tra gli oggetti raccolti, compare il nome di 4 funzionari la cui sepoltura potrebbe essere rivelata nei prossimi mesi.

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Tempio di Luxor: al via il restauro del quinto colosso di Ramesse II

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ph. @miespu

Finita la pausa religiosa della Festa del Sacrificio, in questi giorni partirà il restauro del quinto colosso del Tempio di Luxor. Come già fatto lo scorso aprile, infatti, sarà ricostruita una delle grandi statue stanti (altezza 10,8 m, peso 65 tonnellate) di Ramesse II (1279-1212) che giacciono da decenni in mucchi ordinati di frammenti ai piedi del pilone. In particolare, i lavori riguarderanno la scultura di cui, finora, era stata musealizzata solo la testa del 60/70% del totale conservatosi. Così, al termine delle procedure previsto per l’inizio del 2018, rimarrebbe solo una statua da rimettere in piedi delle sei (due in trono e quattro stanti) che si stagliavano sulla facciata del tempio prima del disastroso terremoto del IV sec. d.C.

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In partenza per l’Egitto: parteciperò alla missione archeologica di Zawyet Sultan

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ph: Mission to el-Minya

Era da 6 anni che aspettavo questo momento. Finalmente torno in Egitto! Qualcosa avevo già fatto trapelare sulla pagina Facebook nei giorni scorsi, ma ora posso dirlo: si parte! Dal 9 al 27 settembre, infatti, sarò membro di una missione archeologica nei pressi della città di el-Minya, 250 km a sud del Cairo e una sessantina a nord di Amarna (vedi mappa in basso). Il sito dove lavorerò è indicato con vari appellativi, Zawyet el-Maiyitin, Zawyet el-Amwat o Kom el-Ahmar, ma da qui in poi utilizzerò il nome Zawyet Sultan. L’area in questione occupa una lunga fascia della riva orientale del Nilo tra il moderno villaggio che gli dà il nome – e il suo enorme cimitero (foto in basso) – a nord, le montagne del Deserto orientale a est e Kom el-Dik – piccolo centro abitato tra resti archeologici – a sud. Zawyet corrisponde all’antica Hebenu, capitale del XVI nomo dell’Alto Egitto, e ha una storia millenaria con attestazioni che vanno dal predinastico al periodo islamico. Il fulcro del sito, però, corrisponde a una piccola piramide a gradoni (base quadrata di 22,5 m di lato; altezza originaria circa 17 m; altezza attuale 4,75 m) risalente alla fine della III dinastia e che – come altre sei coeve costruite in Alto Egitto (Seila, Abido, Tukh, el-Kulah, Edfu, Elefantina) – è di difficile interpretazione. Forse utilizzata come cenotafio del faraone in territori periferici, la struttura (nella foto in alto) differisce dalle altre simili per il rivestimento in blocchi di calcare. Il resto della piana è occupato dall’insediamento abitativo di epoca romana (case in mattoni crudi) che copre le tracce più antiche. Lungo la falesia, invece, ci sono le tombe rupestri decorate dei funzionari locali di Antico, Medio e Nuovo Regno.

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ph: Mission to el-Minya

Il sito era stato descritto già nel 1798-9 dai “savants” di Napoleone e poi da Champollion e Rosellini nel 1828, ma venne scavato sistematicamente solo nel 1912 (e poi 1913, 1928-9, 1953) da Raymond Weill. Più recentemente, ci sono state indagini di Patrizia Piacentini, Werner Kaiser, Günter Dreyer, Barry Kemp, ma mancava uno studio approfondito d’insieme dell’intera area archeologica. Così è nata la missione a cui parteciperò, congiunta tra University College London (UCL), Universität zu Köln, Università di Pisa e il Ministero egiziano delle Antichità sotto la direzione di Richard Bussmann e Gianluca Miniaci. Il progetto, oltre allo scavo, prevede ricognizioni topografiche e rilievi epigrafici delle iscrizioni delle tombe, tutte cose che spero di mostrarvi – nei limiti delle regole sulla condivisione dei dati e della connessione internet che troverò – sul blog e relativi social (Facebook, Twitter, Instagram) e sui canali ufficiali della missione che vi segnalerò nei prossimi giorni. Quindi, rimanete connessi!

 

http://egittologia.cfs.unipi.it/it/ricerca/zawyet-sultan/

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#NonSoloEgitto: il Castello di Zumelle e la Valbelluna

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Castello di Zumelle 

Sempre più spesso mi capita di partecipare ad eventi turistico-culturali, invitato non tanto perché egittologo ma in qualità, più genericamente, di archeoblogger, cioè di persona che si occupa di divulgazione archeologica sul web. E meno male! Staccare ogni tanto dall’Egitto non può che farmi bene! Soprattutto poi se passo uno splendido weekend, diviso tra storia e natura, come mi è successo qualche giorno fa al Castello di Zumelle. Parlandone, colgo l’occasione per inaugurare #NonSoloEgitto, nuova rubrica che ogni tanto troverà spazio sul blog proprio per descrivere queste mie esperienze “extra-nilotiche”.

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Dolomiti Meridionali

Raggiungendo il Veneto e risalendo il corso del Piave, si arriva alla Valbelluna, ampia vallata compresa tra le Prealpi Bellunesi e le Dolomiti Meridionali (foto in alto). Per le favorevoli condizioni climatiche e geografiche, l’area è stata abitata fin dalla Preistoria e sono numerose le testimonianze archeologiche (di cui parlerò dopo) che attestano questa frequentazione ininterrotta. I numerosi fiumi e i passi montani hanno reso la valle un crocevia di genti e di merci importantissimo dal punto di vista economico e strategico (non a caso, queste terre sono state scenario di entrambe le guerre mondiali). Per questo, soprattutto durante il Medioevo, ogni altura era controllata da fortificazioni di cui oggi si conserva solo il Castello di Zumelle, principale attrazione turistica della zona.

Il Castello di Zumelle

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Il castello visto dal fossato

Il castello si trova nel comune di Mel (BL) e si raggiunge dopo la frazione di Tiago percorrendo una tortuosa – ma asfaltata – strada di montagna. Il tragitto è un piacevole sali-scendi tra i boschi che si apre improvvisamente alla vista in lontananza del forte (prima foto in alto), altrimenti nascosto dal profilo montuoso. L’alta torre grigia che si staglia sul panorama è il frutto di secoli di modifiche, distruzioni e riedificazioni che partono almeno dal X secolo, periodo a cui risale la prima menzione di Zumelle. La leggenda, invece, sposta la fondazione addirittura al 540 d.C. circa, quando il guerriero goto Genserico si sarebbe stabilito qui e avrebbe avuto due figli gemelli (da cui il toponimo). Ovviamente, questa ipotesi non ha alcuna base storica, nemmeno considerando la scoperta di un sarcofago in calcare che la tradizione popolare vuole appartenesse ai due fratelli; peccato che all’interno siano stati ritrovati tre teschi: uno di troppo.

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Superando il profondo fossato sul ponte seicentesco, si arriva al nucleo centrale del castello – unica parte conservatasi – che risale agli interventi dei Veneziani divenuti padroni del contado nel 1404. Gli interni sono stati completamente riallestiti per far rivivere al turista l’atmosfera altomedievale. La visita si snoda quindi attraverso diversi ambienti, ognuno pensato per rievocare un determinato aspetto della vita dell’epoca, anche grazie alla diffusione continua di musica provenzale: il cortile con il pozzo veneziano, la Chiesa di San Lorenzo costruita sulle macerie della più antica cappella di XI secolo, il Salone della Caccia, il Salone delle Arti e dei Mestieri (della serie, quando l’Egitto non si decide a lasciarti in pace: tra le tinte utilizzate dagli amanuensi dello scriptorium, c’era anche il blu egiziano, il primo colore sintetico della storia) e l’immancabile stanza delle torture. Il tour termina con la torre, trasformata a scopo didattico in abitazione con, disposte per ogni piano, bottega dello speziale, camera da letto, sala dei banchetti e cucina. Ma la vera meraviglia arriva salendo per oltre 30 metri tutti gli scalini in legno. Sulla sommità dell’edificio, infatti, si capisce il vero motivo dell’esistenza del castello: una visuale a 360° su tutta la valle, comprese le spettacolari Dolomiti che, alla mattina, sembrano galleggiare sulle nuvole.

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Sala dell’Amor Cortese

Non aspettatevi pezzi originali però: dipinti, abiti, armi, mobili sono ovviamente solo riproduzioni ispirate alle fonti iconografiche medievali; il castello, infatti, fino agli anni ’60, non era altro che un rudere abbandonato, uno spoglio scheletro restaurato a più tappe fino al 2014, quando la gestione della struttura è passata all’associazione Sestiere Castellare che ha una ventennale esperienza nelle rievocazioni storiche. Non è un caso che, oltre alla normale visita del parco tematico, a Zumelle si possa partecipare ad attività didattiche e ricreative per adulti e bambini o a eventi in costume (l’ultimo fine, ad esempio, è stato dedicato ad Harry Potter). Ad esser precisi, in realtà, veri reperti archeologici ci sono e provengono dai saggi della Soprintendenza effettuati nelle fondamenta dell’edificio, dove è stata trovata una necropoli con 19 tombe del XI-XII sec. Con il già citato sarcofago, questi oggetti sono esposti nel museo del castello insieme a un modellino del podere e a riproduzioni di ceramiche e di abiti medievali.

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Biancomangiare allo zafferano

Volendo, si può anche dormire in una delle tre stanze che si trovano al piano superiore: la Camera delle Stagioni, la Camera dei Pianeti e la Camera dell’Amor Cortese (foto in alto). Io ho passato due rilassanti notti proprio in quest’ultima, in completo silenzio e tranquillità (nonostante il nome evocativo…) che solo la montagna possono dare. Non sono stato disturbato nemmeno dal fantasma di Murcimiro che pare infesti il castello: o ho il sonno pesante io o lui ha dimenticato le catene da qualche parte.

Per riempirsi lo stomaco c’è la taverna esterna, che, arredata come un ritrovo per viandanti, propone sia un menù moderno che uno medievale riadattato ai gusti contemporanei. Io ho avuto l’ardita idea di provare un piatto per ogni portata prevista: biancomangiare allo zafferano (in foto: riso, latte di mandorle, pollo, lardo, spezie, zafferano; il mio preferito n.d.r.), gnudi alla lavanda (gnocchi alla ricotta, spinaci, uova, fecola, spezie, burro, limone, formaggio vaccino e caprino), carbonata alla birra (manzo infarinato e brasato in birra, cipolla, sale, pepe, alloro), cipolla al forno e degustazione di 4 bevande medievali (rosolio, chiaretto, ippocrasso e ambrosia). Dopo questa maratona, non ce l’ho fatta a prendere il dolce, quindi, qualora decidiate di assaggiare tutto, assicuratevi di avere molta fame!

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Taverna

 

Cosa fare nei dintorni

Oltre alle più famose Belluno e Feltre (avrei dovuto passare una serata in quest’ultima se non fosse stato per un improvviso temporale estivo), anche il piccolo centro storico di Mel vale la pena di essere visitato. In particolare, l’assetto urbanistico di Piazza Papa Luciani deve la sua struttura alla fase di appartenenza alla Serenissima Repubblica. I nuovi signori veneziani, infatti, abbatterono le precedenti fortificazioni medievali e costruirono palazzi secondo il gusto della loro città d’origine. Tra questi, Palazzo Zorzi (1510) – attuale sede del municipio – presenta un ciclo d’affreschi cinquecentesco incentrato sulle storie dell’Orlando Furioso (foto in alto a sinistra) e un raro orologio del XVI secolo ancora funzionante. Il vicino Palazzo delle Contesse (XVII sec.), invece, ospita il Museo Civico Archeologico, una piccola esposizione dei reperti ritrovati nella necropoli paleoveneta di Mel, nel coevo abitato protostorico e in un pozzo-cisterna romano del I sec. d.C.

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Necropoli paleoveneta di Mel

A proposito della Necropoli paleoveneta (VIII-V sec.), il sito archeologico si trova in Via Tempietto, nella periferia di Mel. Qui, tra il 1958 e il 1964, sono state scavate circa 80 tombe, 7 delle quali caratterizzate da un circolo funerario. Queste strutture, composte da lastre di arenaria infisse nel terreno, servivano a sostenere il tumulo di terra nel quale erano poste una o più casse litiche per il vaso ossuario in ceramica o bronzo. L’ingresso è rivolto sempre a sud e si apre con due lastre verticali e una orizzontale a mo’ di soglia. Quattro circoli sono ancora visibili, coperti da una tettoia che protegge l’area. Nota dolente: io ho avuto la fortuna di accedere a questo sito molto interessante che, però, di solito non è aperto. Non ho nemmeno capito bene chi abbia le chiavi quindi, qualora voleste visitare la necropoli, vi consiglio di contattare per tempo il comune.

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Grotta Azzurra

Tornando nelle vicinanze del castello, c’è un luogo che da solo sarebbe valso la pena del viaggio. Una meraviglia nascosta a soli 20 minuti di cammino da Zumelle: la Grotta Azzurra. Molto meno conosciuta dell’omonimo antro caprese ma altrettanto affascinante, la Grotta Azzurra si raggiunge risalendo il torrente Terche la cui acqua è talmente limpida da sembrare invisibile. Il percorso è piuttosto facile e quasi completamente pianeggiante; bisogna solo saltellare ogni tanto sui sassi per attraversare il basso corso in alcuni punti, quindi evitate le infradito. Camminando lungo la verde gola, s’incontrano piccole cascate e laghetti fino a quando, improvvisamente, l’acqua da trasparente diventa blu scuro. Evito di rovinare l’atmosfera spiegandone il principio fisico; in ogni caso, il Terche si allarga ed entra (o, meglio, esce visto che siamo controcorrente) in un’apertura nella roccia dove la luce filtra dall’alto. Qui, lo specchio d’acqua turchese è alimentato da una cascata ed è più profondo. Devo confessare che non ho resistito e mi sono tuffato: crioterapia pura! Fidatevi, le foto non rendono neanche lontanamente l’idea della bellezza del posto. Infine, per i più sportivi c’è anche la possibilità di fare canyoning nella vicina Val Maor di Mel, cioè l’avventurosa discesa del torrente in tutta sicurezza grazie  ad adeguate attrezzature (muta, casco, imbracatura e torcia).

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I miei ringraziamenti d’obbligo vanno a: Simone Deola , assessore del comune di Mel (ma di formazione archeologo) per avermi aperto le porte di un municipio in ferie e parlato della storia del paese; Eugenio Padovan, ex funzionario della Soprintendenza per i Beni Archeologici del Veneto, per avermi fatto da guida tra i siti della zona con l’esperienza di solo chi ha condotto quegli scavi può avere e per avermi fornito le sue utili pubblicazioni sull’argomento; Pierfrancesco Pieri, presidente dell’associazione “Sestiere Castellare” e gestore del castello (per info: www.castellodizumelle.it), per avermi gentilmente ospitato; tutti gli altri cavalieri e dame che lavorano a Zumelle, in modo particolare alla cara amica Tania Stefan che ha organizzato il tutto e mi ha fatto compagnia per tutto il fine settimana.

 

 

 

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“La Mummia – Il ritorno” (blooper egittologici)

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Dopo la “Mummia” del 1999, continuo la recensione dei film di Stephen Sommers con il secondo capitolo della trilogia: “La Mummia – Il ritorno”. Questo sarà anche l’ultimo della serie in questa rubrica visto che, in “La mummia – La tomba dell’Imperatore Dragone”, la narrazione si sposta in Cina. In realtà, sarà il penultimo perché mancherebbe ancora “Il Re Scorpione”, prequel/spin-off nato proprio dal film che sto per analizzare in questo articolo.

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Siamo nel 3067 a.C. e il temibile esercito del Re Scorpione (il wrestler “The Rock”) si presenta minaccioso alle porte di Tebe: già su questo primo frame ci sarebbe da parlare per un’ora… L’Egitto in cui è ambientato il flashback iniziale dovrebbe essere quello a cavallo tra predinastico e protodinastico, intorno al momento dell’unificazione delle Due Terre. Un discorso a parte andrebbe poi fatto sulla vera identificazione di Scorpione, nome che si lega a due faraoni della cosiddetta Dinastia 0, ma di cui scriverò più approfonditamente nell’articolo dedicato al film “Il Re Scorpione”. Tebe, invece, è il nome che i Greci diedero a Waset, città di cui si sa poco per la sua fase arcaica. Capoluogo del IV nomo dell’Alto Egitto e capitale di Kemet solo a partire dall’XI dinastia, poi localmente durante il Secondo Periodo Intermedio e soprattutto nel Nuovo Regno, Tebe era probabilmente una piccola località provinciale nell’Antico Regno (le prime tracce si limitano a tombe della III-IV dinastia), figuriamoci per per periodi più antichi di cui non abbiamo attestazioni. I veri centri del potere amministrativo e religioso dell’Egitto pre/protodinastico erano Hierakonpolis (da cui provengono la celebre Paletta di Narmer e le teste di mazza del Re Scorpione II) e Abido (sede, più precisamente a Umm el-Qa’ab, delle necropoli reali delle dinastie 0, I e in parte II), insieme a Naqada e, più tardi, Thinis. In ogni caso, nemmeno queste città avevano l’aspetto della monumentale metropoli mostrata nel film che si adatta – volendo essere buoni – più all’immaginario del Nuovo Regno. Solo per fare un esempio, il principale tempio di Nekhen (Hierakonpolis) era quello di Horus ed era composto ‘semplicemente’ da un recinto di canne intonacate, un tumulo ovale e una struttura in legno. Uno scenario molto lontano da mura ciclopiche, alte scalinate, piloni, obelischi (non monolitici…) e statue colossali ricostruiti in CGI. Anacronistiche sono anche le armi utilizzate dai soldati: al posto di mazze, lance e pugnali, qui viene mostrato il khopesh, spada-falce introdotta nella guerra solo secoli dopo.

Tornando alla storia, Re Scorpione viene sconfitto ed esiliato nel deserto di Ahm Shere dove resta l’unico in vita. Desideroso di vendetta e di potere, il guerriero – un Faust ante litteram – si vende ad Anubi in cambio della sua invincibile armata cinocefala. Conquistato l’Egitto, però, il dio non si accontenta del tempio e della piramide d’oro eretti in suo onore nell’oasi di Ahm Shere, ma si prende subito l’anima di Scorpione dissolvendo i suoi guerrieri sciacallo.

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Esattamente 5000 anni dopo, tra le rovine di una desertica Tebe (come dimenticarsi dell’esistenza della moderna Luxor), ritroviamo i nostri eroi: l’egittologa Evelyn Carnahan (Rachel Weisz), l’avventuriero Rick O’Connell (Brendan Fraser) e, nuovo personaggio, loro figlio Alex. Nei sotterranei di un tempio, Evelyn si muove come se conoscesse già il posto grazie alle visioni che hanno cominciato a colpirla con l’entrata dell’Anno dello Scorpione. Inutile dirvi che gli Egizi non usavano il calendario cinese. Riesce poi a trovare il sacro Bracciale di Anubi e l’emblema del Re Scorpione che era convinta fosse solo un mito senza attestazioni archeologiche precedenti, quando, già nel 1897-8, il britannico James Quibell ne aveva scoperto le sopracitate teste di mazza nel deposito di fondazione del tempio di Horus a Hierakonpolis.

Nel frattempo, nella mitica città dei morti di Hamunaptra, una setta capeggiata da Baltus Hafez (Alun Armstrong), curatore del British Museum, scava alla ricerca del corpo maledetto di Imhotep (Arnold Vosloo). Quest’organizzazione segreta, infatti, mira ad impadronirsi dell’Armata di Anubi e il malvagio sacerdote, con i suoi poteri soprannaturali, è l’unico in grado di contrastare il Re Scorpione una volta resuscitato. Per arrivare nell’oasi di Ahm Shere, hanno bisogno anche del Bracciale di Anubi, una sorta di proiettore olografico della mappa (immagine in basso a sinistra), che però ha già indossato Alex attivando la maledizione.

Negli scantinati del British (in realtà, viene mostrata la facciata dell’università londinese UCL: immagine in alto a destra), compaiono tutti i cari oggetti senza senso di cui avevamo fatto la conoscenza nel capitolo precedente: il Libro dei Morti a forma di diario segreto e i CINQUE canopi. La mummia di Imhotep si risveglia e subito ne approfitta per pomiciare con la bella Meela Nais (Patricia Velásquez), assistente di Baltus e  copia esatta dell’amante del sacerdote, Ankh-Su-Namun. Non è la sola reincarnazione della storia perché si viene a scoprire che Evelyn, in una vita passata, era stata Nefertiti, non la sposa di Akhenaton come avrete pensato, ma una figlia di Seti I. Infatti, durante una delle visioni dell’archeologa, le due donne combattono di fronte al faraone utilizzando, manco fossero Raffaello delle Tartarughe Ninja, l’arma giapponese chiamata “sai” (foto in basso). La presenza di queste rimembranze e dei frequenti dialoghi in egiziano antico, fanno sì che, rispetto a “La Mummia”, qui la consulenza dell’egittologo Stuart Tyson Smith sia stata molto più sfruttata.

 

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La corsa contro il tempo verso la piramide dorata di Ahm Shere fa tappa in ognuno dei siti più iconici d’Egitto, tutti ovviamente stravolti dalla computer grafica: le Piramidi di Giza nel lato sbagliato del Nilo; un irriconoscibile complesso di Karnak (nell’immagine con il treno) posto, come già detto, in mezzo al deserto; l’isola di File che dovrebbe essere parzialmente sommersa dalle acque a causa della prima diga di Assuan (innalzata due volte nel 1907-1912 e nel 1929-1933); il Tempio maggiore di Abu Simbel ancora coperto di sabbia quando, negli anni ’30, era stato già completamente scavato. Un piccolo easter egg che ho apprezzato nel corso del viaggio è il travestimento che indossa Imhotep prima di riacquistare le sue sembianze umane, un pesante mantello nero e la stessa maschera metallica di Belfagor – Il fantasma del Louvre.

Buoni e cattivi, infine, arrivano nell’oasi che si trova in Sudan. Il tempo scade e l’Armata di Anubi si risveglia, fronteggiata senza speranze dai guerrieri Medjai di Ardeth Bey (vi ricordo che questo nome, nel film originale del 1932, era lo pseudonimo di Imhotep stesso); qui si verifica un altro colpo di scena – o buco nella trama – perché O’Connell capisce di essere a sua volta un medjai riconoscendo, in alcuni rilievi della piramide, il tatuaggio che ha sull’avambraccio e che non compare nel primo film. Rick è quindi il prescelto a uccidere il Re Scorpione, un ibrido mostruoso metà uomo metà aracnide, con l’ausilio dello Scettro di Osiride. Lo scontato happy ending vede tutti i villain fare una brutta fine, compreso Imhotep risucchiato nell’aldilà, questa volta per sempre (salvo un improbabile ennesimo sequel di cui farei volentieri a meno).

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