Archivi del mese: agosto 2018

Lisht, documentate 802 tombe di Medio Regno

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Source: MoA

Non una, non due, non tre, non dieci, non cento, bensì 802 tombe (!) documentate a Lisht, 60 km a sud del Cairo. È questa la mole del lavoro concluso con la stagione 2018 dal team americano-egiziano diretto da Sarah Parcak (University of Alabama, Birmingham), “archeologa spaziale” nota soprattutto per le sue attività di documentazione e monitoraggio degli scavi illegali e di ricerca di siti nascosti attraverso immagini satellitari (grazie alle quali nel 2015 ha vinto il TED Prize e un finanziamento da 1 milione di dollari). La missione, infatti, sta portando avanti ricognizione, mappatura e rilievo 3D dell’area meridionale della necropoli di Medio Regno dove, già nel 2016, aveva individuato la tomba di Antef, “Portatore del sigillo reale” sotto Sesostri I (1964-1919).

Le sepolture in questione, tutte indagate in precedenza, sono per lo più semplici ipogei scavati nella roccia, al massimo con sovrastrutture in mattoni crudi o calcare. Lisht è la necropoli di Itj-tawy, la capitale del Medio Regno fondata nei pressi del Fayyum da Amenemhat I (1994-1964 a.C.). Se della città non è ancora stata individuata l’esatta ubicazione, l’area sepolcrale presenta diverse tombe monumentali come le piramidi dello stesso fondatore e quella di Sesostri I, oltre ad altre strutture minori e mastabe di faraoni e funzionari della XII dinastia.

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Alessandria d’Egitto, scoperte tombe di epoca tolemaica

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Source: Luxor Times Magazine

Ancora tombe casualmente scoperte ad Alessandria d’Egitto nel bel mezzo di cantieri edili. Ma, questa volta, non c’è alcuna possibilità di tirare in ballo a sproposito Alessandro Magno perché le sepolture sono piuttosto modeste e mancano sarcofagi. Il ritrovamento, come detto, è stato effettuato durante lo scavo per la realizzazione di un muro inerente agli edifici della ferrovia che passa a el-Zeytoun, nei pressi della stazione centrale della città.

Gli archeologi diretti da Fahima El Nahas hanno così identificato alcune tombe scavate nella roccia risalenti all’epoca tolemaica, ma utilizzate a lungo anche in periodi successivi. La struttura comune prevede una breve scalinata che conduce a una piccola anticamera e alla camera rettangolare su cui si affacciano i loculi, molti dei quali ancora sigillati da uno strato d’intonaco dipinto. Il corredo funebre presenta diversi contenitori ceramici, da anfore a vasi più piccoli, lucerne e ampolle di vetro. Presenti anche i resti ossei dei defunti sepolti che sono comunque stati disturbati già negli anni ’30 del secolo scorso dai lavori di costruzione della ferrovia e poi dai bombardamenti aerei della seconda guerra mondiale.

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Le decorazioni d’oro dal sarcofago di Alessandria

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Source: MoA

Esattamente un mese fa, le testate giornalistiche di tutto il mondo avevano mostrato ai lettori le immagini forti di tre scheletri che emergevano da uno scuro liquido maleodorante all’apertura di un grande sarcofago scoperto casualmente ad Alessandria d’Egitto.  Ma l’attenzione del pubblico era già stata catalizzata sulla vicenda nelle settimane precedenti, speculando sul possibile proprietario – o, meglio, proprietari – della bara in granito nero.

Oggi sappiamo qualcosa in più dei defunti ritrovati. Gli antropologi del Ministero egiziano delle Antichità, diretti da Zeinab Hashish, hanno infatti terminato gli esami preliminari sui resti ossei dopo averli ripuliti e lasciati asciugare. Grazie alla valutazione morfometrica di crani, bacini e femori, si è risaliti al genere e all’età dei tre individui: una donna di 20-25 anni, alta 1,60-1,64 metri, e due uomini, rispettivamente di 35-39 e 40-44 anni e 1,60-1,66 e 1,79-1,85 metri di altezza.

Inoltre, a un esame più attento, Hashish ha affermato che la lesione sul lato destro del cranio del più anziano non è, come dichiarato in un primo momento, il foro di una freccia ma la probabile traccia di una trapanazione. Tale pratica chirurgica, praticata fin dal Neolitico ma rara in Egitto, prevedeva l’incisione della calotta cranica per scoprire la dura madre, la parte più esterna delle meningi, al fine di curare malattie vere o presunte tali. I bordi del taglio in questione, dal diametro di 1,7 cm, sono arrotondati ed è visibile la formazione di nuovo tessuto osseo, fattori che indicano che l’uomo sopravvisse a lungo all’operazione.

Tuttavia, per il momento non è ancora possibile dare una datazione più precisa alla tomba, comunque collocabile nel periodo greco-romano (332 a.C. – 391 d.C.), anche perché i tre morti potrebbero appartenere ad epoche diverse. Infatti, secondo Mostafa Waziry, segretario generale del Supreme Council of Antiquities, gli scheletri si trovavano uno sull’altro ad indicare almeno due fasi distinte di utilizzo del sarcofago. Maggiori informazioni arriveranno solo dopo la TAC, l’analisi del DNA e, soprattutto, la datazione al carbonio-14.

Verrà esaminato anche il liquido rossastro che copriva gli scheletri, un mix di liquami sversati da una moderna fogna e del rivestimento decomposto delle mummie. Liquido che nascondeva anche ciò che resta del corredo funebre: sottili placche in foglia d’oro di 3×5 cm, decorate con motivi che, secondo Waziry, indicherebbero il rango militare di uno dei defunti. Tuttavia, le incisioni sembrerebbero rappresentare figure legate alla sfera della medicina e della protezione in generale, come una capsula di papavero da oppio all’interno di un tempietto, una spiga di grano o un cespo di lattuga e un agathos daimon (“Spirito buono”), divinità in forma di serpente venerata nel mondo greco e romano perché tutelare di luoghi come campi di cereali, vigneti e la città stessa di Alessandria.

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Source: MoA

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Analizzati gli scheletri del sarcofago nero di Alessandria: non solo acqua di fogna ma anche oro

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Source: MoA

Ricorderete sicuramente il clamore (immotivato) provocato dalla scoperta e dalla relativa apertura di un sarcofago in granito nero ad Alessandria. Chi si aspettava il corpo di Alessandro Magno o un’improbabile maledizione si era dovuto ‘accontentare’ di tre scheletri immersi in moderni liquami.

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Source: MoA

Oggi sono stati finalmente annunciati i risultati dell’esame preliminare sui resti ossei, effettuato dal team di Zeinab Hashish, direttore del dipartimento di Antropologia Fisica del Ministero delle Antichità. Analizzando crani, bacini e ossa lunghe, si è arrivati al genere e all’età dei tre individui deposti, probabilmente in due fasi distinte, nel sarcofago: la prima (foto a sinistra) era una donna morta intorno ai 20-25 anni e alta 1,60-1,64 m; il secondo (foto al centro) un uomo di 35-39 anni, alto 1,60-1,66 m; il terzo (foto a destra) un uomo di 40-44 anni, alto 1,79-1,85 m. In particolare, il più anziano dei tre presenta sulla parte destra del cranio un foro dai bordi arrotondati che indicano che l’uomo è sopravvissuto a lungo alla lesione in gran parte rimarginata. Non il buco di una freccia, come un po’ frettolosamente gli archeologi egiziani avevano dichiarato al sollevamento del pesante coperchio, ma forse le tracce di una trapanazione, pratica chirurgica nota fin dalla preistoria ma piuttosto rara in Egitto.

Inoltre, ripulendo l’interno della bara dal misto di acqua di fogna e resti organici putrefatti, sono spuntate alcune decorazioni in foglia d’oro di circa 5×3 cm (foto in basso).  Per il resto, nei prossimi giorni si procederà a ulteriori test sul liquido rossastro raccolto e a TAC, datazione al Carbonio 14 e analisi del DNA sulle ossa.

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Source: MoA

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Kom Ombo, scoperte due stele di Tolomeo V

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Source: MoA
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Source: MoA

Continuano a riservare sorprese i lavori di abbassamento del livello della falda freatica che minaccia il sito di Kom Ombo, nella provincia di Assuan, in corso ormai da oltre un anno. Numerose scoperte, alcune delle quali molto interessanti (come quella recente del laboratorio di un vasaio dell’Antico Regno), vengono effettuate casualmente scavando a due passi da uno dei più importanti templi greco-romani d’Egitto.

Ieri è stato annunciato il ritrovamento di due grandi stele in arenaria di Tolomeo XII Aulete (80-51 a.C.). Il sovrano governò l’Egitto durante la crisi finale della casata tolemaica. Tra dispute dinastiche interne e la pressione crescente di Roma a cui Tolomeo XI aveva lasciato in eredità tutto il Paese in un testamento probabilmente falso, il faraone fu perfino costretto ad andare in esilio nell’Urbe tra il 58 e il 55. Tornato ad Alessandria solo grazie all’appoggio di Pompeo e di un ancora giovane Marco Antonio, Tolomeo XII regnò fino alla morte nel 51, quando il trono passò ai figli Tolomeo XIII e la celebre Cleopatra VII.

La prima stele (2,80 x 1,20 x 0,35 m; foto sulla sinistra) presenta al centro della lunetta, che è sormontata da un disco alato, il re mentre colpisce un prigioniero con una mazza; davanti a lui la triade tarda del santuario di Kom Ombo: Haroeris (Horus il Vecchio), Tasenetnofret (ipostasi di Hathor e sposa di Haroeris) e Panebtauy (il figlio dei due, Signore delle Due Terre). Alle sue spalle, invece, ci sono la regina Cleopatra V (da alcuni autori indicata come Cleopatra VI) e la figlia Arsinoe IV. Sotto la scena si sviluppa un lungo testo in 34 linee di geroglifico e 33 di demotico. La seconda lastra (2,53 x 1 x 0,24 m; foto in alto) è praticamente uguale alla precedente se non per la presenza di due figli della coppia reale (Tolomeo XIII e Arsinoe) e di ‘sole’ 29 righe di testo geroglifico.

Mostafa Waziry, segretario generale dello SCA, ha riferito che i due reperti saranno trasportati verso il Cairo, presso il National Museum of Egyptian Civilization dove si procederà al loro restauro e a una traduzione più completa dei documenti.

Aggiornamento (3/09/2018):

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Dopo il trasferimento presso il National Museum of Egyptian Civilization, sono state rilasciate nuove foto delle due stele che sembrano smentire quanto dichiarato dal Ministero delle Antichità in un primo momento. Grazie a questi scatti, infatti, sono riuscito a leggere i cartigli, prima troppo confusi, del faraone che non sarebbe Tolomeo XII, bensì Tolomeo V Epifane (204-180 a.C.). Alle sue spalle, quindi, potrebbero esserci la moglie Cleopatra I, la madre Arsinoe III e un altro Tolomeo, forse il padre Tolomeo IV o un suo successore, ma di questo sono meno sicuro. Inoltre, come si può leggere all’inizio della prima riga, il documento risale al 23° anno di regno, cioè al 182 a.C.

 

 

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Analisi su una mummia di Torino rivelano che l’imbalsamazione era praticata già 5600 anni fa

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Foto: torino.repubblica.it

Quando visitate il Museo Egizio di Torino, dopo esser saliti al secondo piano, la prima cosa che incontrate è la mummia ritratta in foto (non quella sulla sinistra che è il sottoscritto). Si tratta del corpo di un uomo, morto 5600 anni fa durante il periodo Naqada I, portato da Gebelein nella città sabauda da Schiaparelli nel 1901. In questo caso, così come per le altre mummie predinastiche (ad esempio “Ginger” del British Museum), di solito si parla di mummificazione naturale: il cadavere, infatti, si sarebbe mantenuto casualmente grazie al clima arido del deserto e all’effetto della sabbia a diretto contatto con i tessuti molli.

Questo almeno è ciò che si pensava finora perché recenti esami, effettuati proprio sul ‘paziente’ di Torino, confermerebbero il sospetto che processi intenzionali d’imbalsamazione fossero utilizzati in Egitto già 1000 anni prima della data tradizionalmente accettata (IV dinastia, 2600 a.C. circa). Ad effettuare lo studio sono stati Stephen Buckley, chimico della University of York, Jana Jones, egittologa della Macquarie University di Sidney, e altri esperti da Oxford, Warwick, Marsiglia, Tübingen, Trento, Pisa e Torino. Gli stessi ricercatori avevano avanzato un’ipotesi simile nel 2014, lavorando su campioni prelevati da resti umani del Bolton Museum provenienti da Mostagedda, ma questa volta hanno potuto effettuare il check-up completo di una mummia perfettamente conservata.

Il Carbonio-14 ha fornito una datazione collocabile tra il 3700 e il 3500 a.C., mentre l’osservazione al microscopio elettronico e diverse analisi chimico-fisiche hanno rilevato un composto speciale che impregnava il lino in cui era avvolto il corpo. In particolare, grazie alla gascromotografia-spettrometria di massa, è stato possibile risalire alla ricetta scelta per proteggere il morto dalla decomposizione:

  • olio vegetale, probabilmente di sesamo;
  • estratti di piante aromatiche (es. balsamo di radice di giunchi);
  • gomma naturale, forse dagli alberi di acacia;
  • resina di conifere.

La resina, forse di pino, oltre ad avere chiare proprietà antibatteriche, testimonia così antichissimi scambi commerciali con il Levante, l’area di approvvigionamento più vicina per quel materiale. Ovviamente siamo lontani dal processo completo d’imbalsamazione che prevedeva l’asportazione degli organi interni e l’essiccazione del corpo nel natron, ma gli ingredienti riscontrati e il loro dosaggio risultano molto simili a ciò che si vedrà solo 2500 anni dopo.

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Ringrazio molto Federica Ugliano, egittologa Post-Doc dell’Università di Pisa e tra gli autori della pubblicazione, per le informazioni fornite:

Jones J. et al., A prehistoric Egyptian mummy: evidence for an ‘embalming recipe’ and the evolution of early formative funerary treatments, in Journal of Archaeological Science 2018

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Inaugurato il Museo Nazionale di Sohag

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Source: weekly.ahram.org.eg

In attesa del completamento del Grand Egyptian Museum (la cui apertura parziale è prevista per la primavera del 2019), vengono inaugurati altri progetti museali. Oggi è stato il turno del Sohag National Museum, i cui nastri sono stati tagliati dal presidente Al-Sisi in persona. Ma in questo caso, il cantiere è durato addirittura più di quello del GEM essendo partito nel 1993. Dopo diverse interruzioni e un costo totale di 72 milioni di LE (circa 3,5 milioni di euro), si è arrivati a un ripensamento dell’idea iniziale, ora più adatta a rilanciare il turismo nella provincia di Sohag che, nonostante presenti siti archeologici importantissimi quali Abido, Akhmim, Athribis, senza dimenticare i monasteri copti “Rosso” e “Bianco”, difficilmente è scelta come meta dai visitatori stranieri.

L’edificio, a forma di due mastabe sovrapposte, si estende per 8000 m² e conserva 945 reperti suddivisi in 6 sezioni che illustrano i vari argomenti cronologicamente, dal Predinastico all’epoca islamica: regalità, famiglia, cibo e cucina, fede e religione, mestieri e artigianato, con particolare attenzione verso la produzione tessile, tipica della zona in tutti i periodi storici. I pezzi esposti provengono dagli scavi archeologici del governatorato, tra cui molti spostati dal Museo Egizio del Cairo e, sempre nella capitale, dai musei Copto, Tessile e d’Arte Islamica.

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Source: weekly.ahram.org.eg

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Egitto, scoperto il formaggio solido più antico mai rinvenuto

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Source: pubs.acs.org/doi/abs/10.1021/acs.analchem.8b02535?journalCode=ancham

Quando la stagionatura supera ogni record. A Saqqara, celebre necropoli a sud del Cairo, sono stati ritrovati i resti di un formaggio di oltre 3200 anni. Seppur fossero già note testimonianze archeologiche precedenti in Nord Europa, Libia, Anatolia e Cina, quello egiziano sarebbe il più antico prodotto caseario solido finora individuato.

Ad effettuare la scoperta è stato un team di studiosi diretti dal prof. Enrico Ciliberto, del Dipartimento di Scienze Chimiche dell’Università di Catania, che ha pubblicato i risultati del suo studio sull’ultimo numero della rivista scientifica “Analytical Chemestry”.

Il formaggio si trovava nella tomba di Ptahmes, sindaco di Menfi e “Gran maggiordomo del Tempio di Ramesse II nella Casa di Ptah” all’inizio della XIX dinastia (1290-1213 a.C.).

La sepoltura, situata a sud della rampa processionale della piramide del faraone Unas (nei pressi del laboratorio di mummificazione recentemente scoperto) era nota almeno dal 1859, quando viaggiatori europei cominciarono a depredarne statue e rilievi parietali, ormai sparsi in musei e collezioni private di tutto il mondo.

Alla fine del XIX secolo se ne persero le tracce, fino al 2010 quando l’ipogeo è tornato di nuovo alla luce grazie agli scavi diretti da Ola el-Aguizy (Cairo University, pubblicazione 1pubblicazione 2).

In particolare, il formaggio, sotto forma di una densa massa biancastra, è stato ritrovato durante la campagna 2013-2014, avvolto in un panno dentro una giara rotta. Il vaso era deposto insieme ad altri contenitori ceramici in uno dei magazzini laterali della tomba.

Un campione del materiale è stato affidato agli scienziati dell’ateneo siciliano che, grazie a un’analisi proteomica, sono giunti a risultati interessanti: il formaggio era stato realizzato con un mix di latte bovino e ovino (di pecora o capra). La caratterizzazione dei peptidi, infatti,  ha permesso di individuare proteine tipiche dei derivati del latte, oltre ad alcune imputabili alla contaminazione umana (proteine della saliva e la cheratina di pelle e capelli).

Inoltre, se non bastasse la data di scadenza a scoraggiare un assaggio di questo formaggio, gli studiosi hanno anche rilevato la presenza del batterio Brucella melitensis, responsabile della brucellosi o “febbre mediterranea”. Tale malattia infettiva colpisce soprattutto gli ovini, ma è trasmettibile anche all’uomo, tanto che le sue tracce erano state già osservate su ossa di mummie egizie. Tuttavia, questo è il primo caso in cui il batterio è stato riconosciuto grazie a un’analisi biomolecolare.

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Scoperta nuova sfinge tra i templi di Luxor e Karnak

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Source: youm7.com

A Luxor, lungo il Viale delle Sfingi, è stata scoperta… una sfinge. Che strano, eh?

Domenica scorsa, durante i lavori di sistemazione dell’antica via processionale che collegava il Complesso di Karnak al Tempio di Luxor, è stata individuata l’ennesima statua con le fattezze dell’animale mitologico. Ad annunciare il ritrovamento, però, diversamente dal normale protocollo che prevede una comunicazione ufficiale dal Ministero delle Antichità, è stato Mohamed Abdel Aziz, direttore generale delle Antichità di Luxor, che ha fornito la notizia al giornale online Youm7.

Tuttavia, la sfinge non è come le altre 1350 criocefale (a testa di ariete) fatte porre da Nectanebo I (380-362 a.C.) ogni 60 metri lungo i 2,7 km della “Kebash Road”. La scultura , infatti, presenta la forma più classica del leone a testa umana e non è stata ancora estratta dal terreno per evitare danni. Proprio un anno fa, Mostafa Waziry, all’epoca con il ruolo di Aziz ma oggi segretario generale del Supreme Council of Antiquities, aveva affermato che l’ambizioso progetto di scavo, restauro e musealizzazione di tutto il percorso della Festa di Opet era all’85% con circa 650 sfingi individuate. L’apertura della strada è prevista per dicembre, anche se gli scavi archeologici ai lati continueranno.

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Source: luxor24.news

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Source: Bernard M. Adams (egyptmyluxor.weebly.com)

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Al Museo Egizio del Cairo una mostra con i reperti scoperti dagli Italiani

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Source: MoA

Ieri (5 agosto), alla presenza delle più alte cariche del Ministero delle Antichità, di Giuseppina Capriotti Vittozzi, direttrice del Centro Archeologico Italiano dell’IIC Cairo,  e del neo-ministro italiano degli Affari Esteri Enzo Moavero Milanesi (al centro nella foto in alto), jè stata inaugurata presso il Museo Egizio del Cairo una mostra temporanea interamente dedicata all’Italia. Infatti, i circa 180 oggetti esposti nel salone centrale all’ingresso del museo provengono tutti da scavi di missioni italiane o da sequestri effettuati nel nostro Paese.

Il pezzo più celebre – e per questo usato per la locandina dell’evento (immagine a destra) – è senza dubbio la statua in granito rosa da Tanis del faraone Merenptah (1213-1203) portatore di stendardo che si trova nel giardino, proprio di fronte all’entrata principale.

Poi non poteva mancare l’apporto della M.A.I., la missione del Museo Egizio di Torino che con Schiaparelli ha indagato dal 1903 al 1920 diversi siti lungo tutta la Valle del Nilo, e di quelle successive di Giulio Farina. Per questo contesto, sono esposti uno dei più antichi papiri amministrativi mai ritrovati – dall’archivio di Antico Regno di Gebelein, restaurato nel 2005 da Corrado Basile (’Istituto Internazionale del Papiro e Museo del Papiro, Siracusa) – e  una lampada dalla tomba di Kha, uno dei pochi oggetti del corredo dello scriba sepolto a Deir el-Medina a non essere conservato nel museo torinese.

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Source: ajaonline.org

Dietro le vetrine ci sarà anche il tesoretto di 171 monete d’oro (solidi aurei di epoca bizantina battuti tra Costanzo II e Giustiniano I) scoperto nella necropoli nord di Antinopoli dall’Istituto Papirologico “G. Vitelli” di Firenze (qui la pubblicazione).

Inoltre, tra i reperti scoperti durante le campagne di scavo dirette da Edda Bresciani (Università di Pisa), sono stati scelti il magnifico sudario di epoca romana dal pozzo a sud della tomba di Bakenrenef (Saqqara) e una stele dedicata alla dea cobra Renenutet/Thermutis da Medinet Madi nel Fayyum.

Infine, l’acquisizione più “recente” è un’altra stele (immagine a sinistra), questa volta scoperta dalla missione dell’Università “L’Orietale” di Napoli a Mersa Gawasis sul Mar Rosso, che racconta di una spedizione verso la mitica terra di Punt durante il regno di Amenemhat III (1846-1801).

 

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