Archivi del mese: febbraio 2020

Inaugurato il Museo Archeologico di Hurghada

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Source: arabnews.com

Hurghada batte Sharm el-Sheikh e diventa la prima città sul Mar Rosso ad avere un museo archeologico. Entrambe le celebri località balneari, infatti, avevano in cantiere da oltre 10 anni la realizzazione di un’alternativa turistica più culturale alle spiagge, ma questa mattina il Ministro delle Antichità Khaled el-Enany ha inaugurato proprio l’Hurghada Museum.

getlstd-property-photoCon un’estensione di 10.000 m² (compresi parcheggi), la struttura ospita circa 1000 pezzi che vanno dall’epoca faraonica all’inizio del XX secolo. Le sale sono divise per aree tematiche riguardanti sport, musica, caccia, pesca, religione, pratiche funerarie ecc. Una sezione speciale sarà ovviamente dedicata al patrimonio archeologico del Mar Rosso comprendendo reperti che provengono dai siti di Safaga, Gouna, Wadi Gasus, del sud del Sinai e dallo Wadi Hammamat.

Pagando 200 lire egiziane (circa 11,60 euro; la metà per gli studenti), sarà possibile vedere anche antichità da altri luoghi dell’Egitto, come la statua della regina Meritamon (foto a sinistra), figlia di Ramesse II. Scoperto nel Ramesseo ed esposto precedentemente presso il Museo Egizio del Cairo, il bellissimo busto in calcare dipinto è stato scelto come immagine simbolo del museo di Hurghada.

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Un sarcofago dipinto con leopardo e pinoli importati in una tomba di Assuan

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Source: Università Statale di Milano

Nuovi rari ritrovamenti in una tomba sulla riva ovest di Assuan per la missione italo-egiziana (EIMAWA – Egyptian-Italian Mission at West Aswan) diretta dalla prof.ssa Patrizia Piacentini (Università Statale di Milano) e da Abdel Monaem Said (Ministero del Turismo e delle Antichità). La sepoltura, nominata AGH026, era stata scoperta con circa 35 mummie durante la prima campagna di scavo nel 2018 e fa parte della vasta necropoli che si estende attorno al mausoleo islamico di Aga Khan.

Continuando la ricerca, lo scorso anno è emerso un frammento di decorazione di un sarcofago ligneo risalente al II sec. a.C. Infatti, sebbene la tomba sia stata realizzata in Epoca Tarda (VI sec. a.C.) per il “capo carovaniere” Tjt, presenta palesi tracce di riutilizzo fino al periodo greco-romano. ll fragile pezzo di stucco, dai colori ancora vividi, ritrae il muso di un leopardo che si trovava in corrispondenza della testa del defunto, probabilmente come simbolo di forza e rigenerazione.

In un’altra stanza dell’ipogeo è stata ritrovata una ciotola contenente una ricca offerta per l’aldilà: pinoli (foto in basso). Questo prodotto era un bene di lusso perché d’importazione e quindi indica una certa agiatezza della famiglia del morto.

http://lastatalenews.unimi.it/leopardo-pinoli-assuan-lantico-egitto-stupisce-ancora

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Source: Università Statale di Milano

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Nature: un nuovo ambiente nascosto nei pressi della tomba di Tutankhamon?

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Source: nature.com

Pensavate che fosse tutto finito? E invece no!

Quando ormai (quasi) tutti si erano dimenticati dell’ultima prospezione con georadar nella Valle dei Re del giugno scorso, ieri un articolo su Nature ha tirato di nuovo in ballo l’annosa querelle “Tutfertiti” scatenando ulteriori controversie.

Secondo quanto riportato sul sito della celebre rivista scientifica, all’inizio di questo febbraio Mamdouh el-Damaty – ex-ministro delle Antichità e attuale professore presso l’Università di Ain Shams – avrebbe presentato al Supremo Consiglio delle Antichità i risultati delle ricerche effettuate attorno alla tomba di Tutankhamon. Il report, non ancora pubblicato ma finito anche a Nature, rivelerebbe la possibile presenza di un ambiente nascosto a pochi metri dalla camera funeraria del giovane faraone.

Sebbene questa possibilità sia stata confutata nel 2018 dal team italiano diretto dal Prof. Franco Porcelli (che comunque ha individuato altre due anomalie vicine ma non direttamente collegate alla KV62), El-Damaty avrebbe riferito l’esistenza di un lungo spazio vuoto, simile a un corridoio, pochi metri a est dell’ipogeo. L’anomalia sarebbe alta due metri e lunga almeno 10 e correrebbe parallela al corridoio d’ingresso raggiungendo la stessa profondità della camera funeraria (immagine in alto). Queste indiscrezioni sembrerebbero allontanarsi dallo schema ipotizzato nell’ormai lontano 2015 da Nicholas Reeves e inizialmente confermato dalle prime scansioni di Watanabe, ma, in mancanza di dati, di una risposta ufficiale dello SCA e soprattutto consci di quanto successo finora, è inutile sbilanciasi.

Fra l’altro, lo stesso El-Damaty e Charlie Williams – amministratore delegato di Terravision, la società inglese che ha partecipato alla ricerca – avrebbero ammesso di non aver potuto raccogliere informazioni proprio nella zona cruciale, cioè a nord della camera funeraria, a causa delle interferenze prodotte dai macchinari del sistema di areazione della tomba, e quindi di non poter dire se il “corridoio” sia collegato alla KV62 o se faccia parte di un’altra sepoltura. Nell’impossibilità di rimuovere l’impianto, quidi, auspicano di tornare sul sito per effettuare nuove registrazioni con un’antenna GPR diversa e a una distanza minore.

Si è detto invece scettico Zahi Hawass che ha sempre criticato l’efficacia di queste tecnologie in archeologia e che lo scorso anno ha scavato proprio a nord della tomba di Tutankhamon senza trovare niente.

https://www.nature.com/articles/d41586-020-00465-y

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“Il Principe d’Egitto” (blooper egittologici)

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A pochi giorni dalla premiazione dei 92i Academy Awards, vi presento l’ultimo (per ora) film a ispirazione ‘egittologica’ ad aver vinto almeno un oscar. Era il 1999, quando la statuetta per la miglior canzone andava a “When You Believe”, parte della colonna sonora de “Il Principe d’Egitto”.

Secondo cartone della DreamWorks, “Il Principe d’Egitto” aveva riscosso un enorme successo l’anno prima intaccando il monopolio Disney dei lungometraggi animati. Un ingente investimento finanziario, spettacolari disegni fatti a mano uniti alle prime ricostruzioni 3D di scene di attori in carne e ossa, famose star hollywoodiane a doppiare le voci dei personaggi e una colonna sonora – come detto – da oscar erano serviti a riportare in sala una vecchia, anzi, un’antichissima storia. Si tratta infatti del remake animato de “I Dieci Comandamenti”, celebre trasposizione cinematografica del racconto biblico dell’Esodo, poi riprosposto più recentemente anche in “Exodus – Dei e re”.

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Effettivamente c’è poco da aggiungere alla lettura della trama: Mosè viene lasciato dalla madre in una cesta sul Nilo, è salvato dalla moglie del faraone Seti I (nell’originale, dalla figlia), diventa principe e fratellastro di Ramses II, scopre per caso le sue origini ebraiche, fugge dalla corte, parla con Dio, torna in Egitto per salvare il suo popolo, fa miracoli, piaghe, apertura del Mar Rosso, stop. La storia si ferma qui perché, come è evidente dal titolo, il focus non è tanto sull’Esodo, ma sulla vita di Mosè in Egitto. Quindi, a parte qualche licenza storico-artistica comunque segnalata prima dei titoli di testa, non vediamo niente di nuovo; per questo vi rimando all’articolo sul colossal di DeMille per un’analisi più accurata degli errori egittologici e dei riferimenti storici riscontrabili nella Bibbia.

Vale invece la pena soffermarsi sull’estetica delle immagini e, soprattutto, degli sfondi che – parere personale – sono il pezzo forte della pellicola. Come negli acquerelli ottocenteschi di David Roberts, le minuscole figure umane servono solo come metro di riferimento per la grandiosità dei monumenti egizi. Fin dalle prime scene, gli schiavi ebrei vengono mostrati mentre lavorano alla costruzione di giganteschi templi e statue colossali in una generica capitale in cui si mescolano architetture menfite e tebane come le piramidi e la sfinge di Giza e la foresta di colonne della Grande sala ipostila di Karnak.

Oltre agli spunti alle antiche costruzioni è evidente anche un’ispirazione ai paesaggi naturali egiziani che una squadra di disegnatori ha osservato di persona, riprendendo soprattutto i profili delle alture rocciose della Valle dei Re. Per quanto riguarda i visi allungati e gli occhi a mandorla di personaggi e statue, invece, si nota un generale riferimento all’arte amarniana che è mostrata più palesemente in un paio di scene in cui erroneamente l’Aton dai raggi con le mani appare anacronisticamente in un periodo di circa 80 anni più recente (immagini in basso).

Quest’ultimo, se si escludono i classici errorini veniali, è forse l’inesattezza più grossolana in un film che invece contiene più di una chicca. D’altronde, nel cast risulta anche un egittologo come consulente: Daniel Polz, oggi direttore scientifico dell’Istituto Archeologico Tedesco al Cairo, ma all’epoca decisamente più vicino agli studi della  DreamWorks Animation perché professore associato presso la University of California a Los Angeles. Non è un caso che il copricapo ad avvoltoio venga indossato giustamente dalla Regina (immagine in basso a sinistra), accortezza invece non seguita 16 anni dopo da Ridley Scott che manda Ramses ad inseguire gli Ebrei con un attributo tipicamente femminile al posto della corona blu da battaglia.

Una piccola particolarità: “Il Principe d’Egitto” è il terzo lungometraggio animato – dopo “Asterix e Cleopatra” (1968) e  “Aladdin” (1992) – in cui, per un motivo o l’altro, i protagonisti fanno cadere accidentalmente il naso della Sfinge!

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Scoperte 83 tombe nel Delta orientale

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Source: Ministry of Tourism and Antiquities

A Kom el-Khilgan, sito predinastico della provincia di Daqahlliya nel Delta orientale, gli archeologi egiziani hanno scoperto 83 tombe, per lo più antiche di oltre 5000 anni. La necropoli era stata individuata e scavata già nei primi anni 2000 dall’IFAO, mettendo in luce un’importante fase di transizione verso l’unificazione, almeno culturale, dell’Egitto grazie alla presenza di ceramica della cultura Buto-Maadi, tipica del Nord, e quella meridionale di Naqada III.

84660238_2848669718511993_7513813609521086464_n79 delle nuove tombe scoperte dal team di Sayed Fathi el-Talhawi, direttore generale delle Antichità di Daqahlliya, risalgono proprio al IV millennio e sono composte da fosse ovali scavate nella sabbia con il defunto deposto in posizione fetale, spesso all’interno di casse funerarie in terracotta. Questa particolarità è un unicum per il periodo e l’area ed è solo il secondo caso noto dopo quello individuato a Tell el-Farkha dagli egittologi polacchi. Ad accompagnare i morti c’erano in genere vasi di diverse forme, ma sono stati trovati anche piccoli modellini d’imbarcazione in ceramica, due conchiglie di ostrica e due palette in pietra – una rettangolare e una tonda – con un ciottolo per macinare i minerali da trucco (foto a sinistra, angolo in basso a destra).

Molto più recenti sono invece i resti di forni ed edifici in mattoni crudi risalenti al II Periodo Intermedio (1650-1550 a.C.). Le fondazioni di una di queste strutture si istallano su quattro sepolture, tre di adulti e una di un bambino (foto in basso a sinistra), come da tradizione asiatica che comincia a vedersi in Egitto con gli Hyksos. Tra gli oggetti di corredo spiccano amuleti in oro e pietre semi-preziose come l’ametista (foto in basso a destra).

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Inasprite le pene per chi si arrampica sulle piramidi e per chi vende/compra antichità

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ph. Mattia Mancini

Negli ultimi anni, complice anche la caccia alla viralità sul web, sempre più persone hanno provato a scalare la Piramide di Cheope per scattare spettacolari foto e girare emozionanti video. Peccato, però, che ciò sia vietato ormai dagli anni ’80, sia per la tutela del monumento sia per la sicurezza delle persone.

Per cercare di dare un freno a questa nuova tendenza, lo scorso novembre il Governo egiziano ha proposto emendamenti per inasprire le pene relative e, nel particolare, per modificare la Legge sulla protezione delle antichità n. 117 del 1983. Così ieri la Camera dei Deputati ha approvato in sessione plenaria la creazione di due nuovi articoli. Il primo dice che, per l’arrampicamento sui monumenti o l’accesso a siti e musei senza autorizzazione/biglietto, sia prevista la reclusione per un periodo non inferiore a un mese e/o una multa che va da 10.000 a 100.000 lire egiziane (584-5840 euro; cambio all’11/02/2020). La sanzione è raddoppiata in caso di violazione della pubblica morale (e qui il riferimento va dritto a uno scatto porno del 2018 sulla cima della Grande Piramide).

Il secondo articolo si riferisce alla vera piaga che affligge il patrimonio archeologico egiziano, cioè il mercato nero di antichità. Chiunque venga sorpreso a vendere, comprare o a detenere un reperto senza documenti ufficiali che ne attestino il legale possesso sarà punito con una multa che va da 1 a 10 milioni di LE (58.435-584.351 €), oltre ovviamente alla confisca del bene a alla prigione.

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Un’ancora con geroglifici egizi nel mare d’Israele

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Credit: Laura Lachman / Israel Museum

Che ci fa la dea egizia Seshat nel mare israeliano? Per scoprirlo, bisogna fare qualche passo indietro.

Tra i pezzi attualmente esposti nell’Israel Museum di Gerusalemme per la mostra Emoglyphs – in cui si mettono in relazione i geroglifici con i moderni emoji – c’è il blocco iscritto in calcare ritratto nella foto a sinistra. Il reperto era stato trovato per caso lo scorso anno da un veterinario che stava nuotando a largo della spiaggia di Atlit, piccolo centro costiero del nord d’Israele.

Su una delle facce dell’oggetto sono incisi un testo geroglifico disposto su tre registri e parte della figura della dea della scrittura Seshat con il suo peculiare simbolo sulla testa. Secondo Shirly Ben-Dor Evion, curatrice delle antichità egizie dell’Israel Museum, il blocco proverrebbe da un tempio della XVIII dinastia (XV secolo a.C. circa). Ma allora come è finito lì?

La spiegazione sta nel suo riutilizzo come ancora. L’estremità arrotondata e il foro per la la corda, infatti, sono riscontrabili nelle antiche pietre d’ormeggio che spesso si trovano lungo la costa levantina. Non è nemmena la prima scoperta in zona di un blocco con geroglifici riciclato per questo scopo. Atlit era infatti un importante punto di approdo di navi mercantili provenienti da tutto il Mediterraneo orientale, compreso l’Egitto, durante l’Età del Bronzo.

Sempre secondo la Ben-Dor Evian, l’artigiano che riforgiò il blocco avrebbe volutamente scalpellato anche il volto della dea – indicata nel testo come “Signora della Casa dei Libri” – come forma di rispetto, cioè una sorta di sconsacrazione del pezzo prima del suo riutilizzo pratico.

https://www.haaretz.com/archaeology/.premium-mysterious-ancient-egyptian-artifact-found-off-israeli-coast-1.8477804

 

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