Archivi del mese: agosto 2020

Scimmie indiane nel cimitero degli animali di Berenice

ph. Marta Osypińska

Berenice, città portuale fondata nel 275 a.C. da Tolomeo II (285-246) in onore della madre, era il punto di partenza dalla costa del Mar Rosso per le spedizioni commerciali verso il Corno d’Africa, l’Arabia e l’India. Per questo, il sito archeologico ha spesso fornito ritrovamenti di ceramiche straniere, spezie e altri prodotti esotici da Asia e Africa orientale.

Tra questi, da poco si possono annoverare anche scimmie originarie del sub-continente indiano, scoperte dalla missione americano-polacca diretta da Steven Sidebotham (University of Delaware) e Iwona Zych (Uniwersytet Warszawski). I primati erano sepolti in una speciale necropoli dedicata ad animali domestici individuata nel 2011.

Dal cimitero, databile al periodo romano (I-II sec. d.C.), provengono i resti di gatti, cani, un maialino e diversi primati che, in un primo momento, erano stati considerati tutti africani. Se nel caso del babbuino verde (Papio anubis) non ci sono stati dubbi, le ossa attribuite a cercopitechi locali hanno avuto un’identificazione più problematica. Infatti, realizzando i modelli 3D degli scheletri e confrontandoli con quelli di altre scimmie, è emerso che in realtà appartenessero a macachi reshus (Macaca mulatta), specie endemica di India, Nepal, Bangladesh, sud della Cina e alcune zone del Sud-est asiatico.

Che in Egitto le scimmie fossero usate come animali da compagnia non è una novità; lo testimoniano diverse pitture tombali e la mummia di babbuino trovata nella KV50 della Valle dei Re. Ma è la prima volta che si trovano esemplari importati dall’Asia. Evidentemente, i macachi avevano dovuto sopportare un lungo viaggio via mare per poi, però, morire subito dopo. Tutti i primati, infatti, sono giovani perché, secondo l’archeozoologa Marta Osypińska, non si sarebbero adattati al clima e al cibo locali.

In ogni caso, si nota una certa cura nella deposizione degli animali: un macaco era coperto da un telo di lana, un altro era adornato da grandi conchiglie dall’Oceano Indiano; il alcuni casi, le scimmie hanno le zampe anteriori portate al muso in una posizione che, secondo i membri della missione, imiterebbe quella in cui erano sepolti i bambini.

Il sito della missione: https://pcma.uw.edu.pl/en/2019/04/17/berenike-2/

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Assuan, scoperti 10 coccodrilli di 2000 anni

Source: nationalgeographic.com

Ci son due coccodrilli e un… Ah no, ce ne sono 11 10*!

La missione spagnola a Qubbet el-Hawa diretta da Alejandro Jiménez Serrano (Universidad de Jaén) ha individuato i resti di ben 10 coccodrilli nell’area delle Tombe dei Nobili sulla sponda occidentale di Assuan. Il ritrovamento è stato effettuato sul bordo della collina, a 5 metri dall’ingresso della tomba di Shemai (QH34bb), fratello di uno dei più importanti governatori di Elefantina della XII dinastia.

La sepoltura, probabilmente risalente all’epoca romana, comprendeva le ossa scomposte di rettili e il corpo perfettamente conservato di un grande coccodrillo dai denti di 4/5 cm. L’animale è stato mummificato e reca tracce di resina scura e pochi frammenti di bende di lino che sono state quasi completamente mangiate dalle termiti.

Gli archeologi non sanno ancora di preciso il perché di questo inusuale ritrovamento. Fino ad ora, infatti, era stato scoperta solo una mummia di cane che probabilmente era stata sepolta con il padrone. Questo tipo di deposizione, invece, è quasi sicuramente il segno della presenza nell’area di un luogo di culto di Sobek dove i fedeli lasciavano questo genere di ex-voto come nei più noti santuari dedicati al dio a Kom Ombo e nel Fayyum.

Ulteriori esami sui resti permetteranno di confermare la datazione, capire la causa di morte dei coccodrilli – e di conseguenza, l’eventualità di un uccisione deliberata – e verificare se quelli peggio conservati abbiano perso i tessuti molli prima o dopo la sepoltura.

Source: nationalgeographic.com

La scoperta è stata effettuata durante l’ultima campagna di scavo (ottobre-novembre 2019), ma è stata annunciata pochi giorni fa in concomitanza con il lancio di un documentario della National Geographic:

*Inizialmente si pensava che i resti appartenessero a 11 coccodrilli, magli studi archeozoologici hanno corretto il numero degli individui a 10: https://journals.plos.org/plosone/article?id=10.1371/journal.pone.0279137

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Sudan, sito meroitico completamente distrutto dai cercatori d’oro

Source: Ebrahim Hamid /AFP

La Nubia è sempre stata per gli Egizi la principale fonte di approviggionamento dell’oro, tanto che il suo nome deriva da “nwb“, termine che designava in antico egiziano il prezioso metallo. Ancora oggi il Sudan è il terzo paese produttore d’oro in Africa, con un fatturato stimato per il 2019 di 1,22 miliardi di dollari.

Purtroppo, accanto alla normale estrazione aurifera, spesso si verificano azioni illegali di cercatori non autorizzati che, come in questo caso, non guardano in faccia nemmeno alle vestigia archeologiche. È di ieri, infatti, la notizia di un sito di età meroitica (IV sec. a.C. – IV sec. d.C.) completamente distrutto da escavatori meccanici. Di Jabal Maragha – un piccolo insediamento o checkpoint carovaniero nel deserto di Bayuda, 270 km a nord della capitale Khartum – rimane solo una voragine profonda 17 metri e lunga 20.

I fatti, però, risalgono allo scorso luglio quando Habab Idriss Ahmed, archeologo che scavò il sito nel 1999, e alcuni suoi colleghi si erano recati sul luogo per una visita di controllo scortati dalla polizia. Al loro arrivo avevano trovato cinque uomini che sono stati fermati ma rilasciati subito dopo. Alcuni antichi blocchi erano stati addirittura accatastati per creare un punto d’ombra.

Ma all’enorme danno si è aggiunta un’ulteriore beffa. Come affermato da Hatem al-Nour, Direttore delle antichità e dei musei del Sudan, i cercatori sarebbero stati ingannati dalla pirite presente tra l’arenaria del terreno e avrebbero scavato, seguendo i segnali del metal detector, in un punto dove di oro non c’è traccia.

https://www.msn.com/en-us/news/world/gold-hunting-diggers-destroy-sudans-priceless-past/ar-BB18hYiy

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Il nuovo volto di Piazza Tahrir con l’obelisco di Ramesse II e le sfingi di Karnak

20200627190823951Nell’immaginario comune, Piazza Tahrir è il luogo simbolo della rivoluzione egiziana del 2011, dove centinaia di migliaia di persone si sono raggruppate per protestare contro l’allora presidente Hosni Mubarak. L’importanza politica della piazza è rimasta forte almeno fino al 2013, quando è stato vietato ogni tipo di manifestazione pubblica non autorizzata.

In realtà, il suo ruolo centrale risale alla risistemazione urbanistica del Cairo voluta da Ismail Pascià (1863-1879), dalla quale emerse un enorme spazio aperto che nel tempo è stato circondato da alti palazzi (e dal Museo Egizio) e attraversato da strade trafficatissime. L’attuale nome, che significa “Liberazione”,  è stato invece adottato ufficialmente solo nel 1952 per commemorare la rivoluzione del 1919.

Negli ultimi anni è partito un piano di riqualificazione della piazza che punta a trasformarla da congestionato snodo viario a luogo d’interesse per i turisti, anche se l’operazione sembra nascondere secondi fini politici che vorrebbero il luogo ‘ripulito’ del suo recente passato. In ogni caso, oltre al rifacimento delle strade e al restauro delle facciate dei palazzi, è stata risistemata la grande rotonda con scelte che hanno provocato non poche polemiche.

Già da mesi era stato trasportato un obelisco di Ramesse II proveniente da Tanis (San el-Hagar, Delta orientale), più precisamente dal Grande tempio di Amon (Petrie, Tanis I, London 1889, tav. VII, 46). Il monolite in granito, distrutto in antichità a causa di un terremoto, era diviso in 8 blocchi, ma in origine doveva raggiungere i 19 metri d’altezza e le 90 tonnellate di peso. Le parti sono state restaurate e riassemblate al centro della rotonda.

Alla sua base sono poi state collocate quattro sfingi a testa di ariete da Karnak – un po’ come a Piazza del Popolo a Roma – nonostante il parere contrario di diversi egittologi e restauratori e addirittura dell’UNESCO attraverso l’Arab Regional Centre for World Heritage. Alle proteste dirette contro la decontestualizzazione indiscriminata dei reperti, infatti, si è aggiunta anche la preoccupazione sul loro stato di conservazione. In particolare le sfingi, scolpite nella più delicata arenaria, rischiano di subire lo smog della capitale e un clima più piovoso di quello di Luxor. A questo punto stridono le motivazioni che avevano portato a spostare la statua colossale di Ramesse II nel Grand Egyptian Museum per salvarla dall’inquinamento del centro della città.

AFP

Source: AFP

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Il museo archeologico dell’Aeroporto del Cairo si amplia

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Source: Ministry of Tourism and Antiquities

f7d42852-ec87-4fb4-a96d-acc0b2e0e4f7Se siete stati in Egitto, prima di ripartire per l’Italia forse vi sarà capitato di visitare il piccolo museo archeologico dell’Aeroporto Internazionale del Cairo. Oppure no, viste le sue dimensioni ridotte e la posizione piuttosto nascosta nel Terminal 3.

Inaugurata nel 2015, l’esposizione comprendeva solo 38 reperti dal Museo Egizio del Cairo, dal Museo Copto e dal Museo d’Arte Islamica (in fondo all’articolo trovate qualche foto che ho scattato un anno fa).

Ma in previsione di un prossimo riallestimento, il museo ha ricevuto nuovi oggetti dai magazzini del Museo di Piazza Tahrir, del Museo Greco-Romano di Alessandria e del Museo Nazionale di Suez: tra questi spiccano tre mummie, un set di canopi e una statuetta in bronzo di Iside alata (imm. a sinistra). In totale, quindi, i pezzi esposti saranno circa 70.

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Source: Ministry of Tourism and Antiquities

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Elon Musk, piramidi, alieni e il declino del giornalismo

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Venerdì scorso, l’istrionico miliardario Elon Musk ha pubblicato uno dei suoi – almeno in apparenza – sconclusionati tweet in cui afferma che le piramidi sarebbero state costruite degli alieni. Subito dopo ha aggiunto un altro messaggio che fa riferimento a Ramesse II; forse meno eclatante, ma ci servirà comunque più tardi per parlare di giornalismo e comprensione del testo:

A prima vista, soprattutto conoscendo il personaggio e le sue provocazioni, il tweet sembrerebbe una trollata, probabilmente pensata per creare scalpore (obiettivo più che centrato) e conseguente attenzione mediatica sull’ultima impresa della SpaceX, l’azienda aerospaziale di Musk.

A distanza di ore però, forse spinto dalle migliaia di reazioni di protesta, il geniale imprenditore ha aggiunto due ulteriori tweet in cui ha linkato la pagina wikipedia dedicata alla Piramide di Cheope e un articolo della BBC in cui l’egittologa Joyce Tyldesley racconta come sono state effettivamente costruite le piramidi. Tra le risposte critiche spicca soprattutto la presa di posizione ufficiale dell’Egitto che, tramite il famoso archeologo Zahi Hawass e l’ex ministra del Turismo (oggi della Cooperazione Internazionale) Rania al-Mashat, ha bollato le parole di Musk come una “totale allucinazione” e lo ha invitato a vedere di persona le evidenze archeologiche.

Come detto, non è la prima volta che Musk ‘cinguetta’ le sue controverse opinioni: nei mesi scorsi si era schierato con Trump minimizzando la pericolosità del Covid-19 e ritenendo fascisti i provvedimenti di lock-down; a maggio, invece, aveva fatto infuriare gli azionisti della sua stessa azienda, la Tesla, dichiarando che le azioni valessero troppo; senza contare poi la scelta del nome X Æ A X-II per il figlio.

E ogni volta la stampa ne approfitta per pubblicare articoli dal contenuto piuttosto scarno ma dal facile guadagno di click. Niente di nuovo: tra giornalismo tradizionale su carta stampata e quello online passa un abisso e anche i siti di testate serie sono costretti a rincorrere il pubblico proponendo pezzi di gossip e video di gattini rubati da YouTube. Questo tipo di comunicazione, tra clickbaiting e mancanza di tempo (e voglia) per verificare e approfondire le notizie, crea spesso disinformazione e veicola dannose fake news. Ovviamente, visti gli attuali 550 mila like, 88 mila condivisioni e quasi 27 mila commenti, tutti i quotidiani italiani hanno ripreso il tweet di Musk, ma in un caso particolare, come vedremo, è stato oltrepassato ogni limite di decenza.

 

Prima, però, vorrei tornare sul secondo tweet e soffermarmi sul corretto uso del virgolettato. Il messaggio, che in realtà non è chiarissimo, è stato tradotto dal Fatto Quotidiano, la Repubblica, il Messaggero, il Mattino, il Giornale e Sky TG24 “Ramesse II era un alieno”. L’ipotesi è legittima, vista la rapida successione con il primo tweet; il problema è che quasi tutti i giornali appena citati l’hanno segnalata come citazione. Pur ammesso che Musk intedesse proprio quello e non volesse scrivere la solita frase randomica, è comunque sbagliato riportare tra virgolette la traduzione di un testo che non esiste. Il messaggio originale infatti recita “Ramses II was 😎” e sì, è sicuramente interpretabile come “Ramesse II (lo) era, (un alieno)”, ma alcune testate straniere, come il Daily Star e lo Spiegel, considerano semplicente l’effettivo significato dell’emoji con gli occhiali da sole: “Ramses era cool/figo”.

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Se questi ed altri giornali si sono giustamente limitati a riportare i fatti (e, un po’ meno correttamente, a copiarsi a vicenda nel chiamare Hawass “Zari”), la Stampa è andata oltre. Tralasciando il refuso nel titolo e che SpaceX non sia l’astronave ma l’azienda che l’ha sviluppata, l’articolo, a firma di Vittorio Sabadin, è un insieme di tesi cospirazionistiche, ipotesi fantarcheologiche e offese alla categoria degli egittologi. Un pezzo che non si può nemmeno definire clickbait perché le parti più estreme sono nel corpo del testo, fra l’altro consultabile dai soli abbonati.

Il giornalista va in difesa di Elon Musk prendendolo sul serio perché “ci sono ottime ragioni di pensare che una civiltà superiore abbia costruito le piramidi”. Le ragioni consistono nella solita sfiducia nelle capacità umane e nella mancanza di contestualizzazione dei dati storici. Secondo Sabadin, l’Egittologia non saprebbe rispondere a diverse domande: Com’è possibile che le piramidi siano state costruite senza mezzi adeguati? Per quale motivo? Perché quelle di Giza sono più grandi delle successive? Perché non sono stati trovati corpi al loro interno? Perché non sono iscritte? Perché i geroglifici, come le altre conoscenze scientifiche, sono apparsi all’improvviso? Se solo si fosse documentato su pubblicazioni del settore oltre che su blog di ufologia e su datati best seller di fantarcheologia (i cui autori sono stati costretti più volte a ritrattare le loro tesi di fronte a dati inconfutabili), Sabadin avrebbe letto di tutti quei lunghi processi evolutivi che hanno portato ai tratti caratteristici della civiltà egizia. Avrebbe saputo che i geroglifici non sono spuntati dal nulla, ma sono nati, come altre forme di scrittura, per questioni di controllo amministrativo: lo testimoniano le etichette con proto-geroglifici della tomba U-j di Umm el-Qa’ab (3320-3150 a.C.). Avrebbe visto i tanti tentativi che, da Djoser fino a Snefru, hanno permesso di arrivare alla forma classica piramidale ancor prima di Cheope. Avrebbe scoperto i motivi economici e ideologici che spiegano le minori dimensioni delle piramidi di V e VI dinastia. Sarebbe venuto a conoscenza delle evidenze archeologiche che illustrano come erano spostati i pesanti blocchi all’epoca. E così via. Poi, delle prove schiaccianti che legano Cheope alla Grande Piramide ho già parlato e non vorrei ripetermi per l’ennesima volta.

In realtà, tesi sugli antichi astronauti ci sono sempre state, anche se non mi sarei mai aspettato di trovarle riportate così acriticamente su un quotidiano di questo livello (e siamo troppo lontani dal 1 Aprile). D’altronde, già nel 1935 l’ufficiale britannico Noel Wheeler coniava la parola “pyramidiot” per definire i ciechi seguaci di certe ipotesi alternative. Proprio perché abituato, non mi sarei arrabbiato così tanto se il giornalista non avesse buttato fango sul nostro lavoro, rappresentando gli egittologi da un lato come una loggia massonica che tiene per sé chissà quale verità, dall’altro come pavidi bugiardi attaccati al posto di lavoro: “In pubblico ogni egittologo che tiene alla sua carriera non ha dubbi sul fatto che le tre piramidi di Giza siano state costruite da Cheope, Chefren e Micerino intorno al 2.500 a.C.. In privato molti cominciano ad ammettere che quella egizia è forse stata una civiltà «imitativa», che ha copiato da altri cose che non sapeva fare.”

Gli egittologi non hanno un editore che detta loro la linea da tenere. Studiano, raccolgono e analizzano dati, formulano ipotesi e le pubblicano, venendo poi valutati per i risultati raggiunti e per il metodo adottato. Sabadin è liberissimo di esprimere la sua opionione, anche se non supportata da prove, di ritenere più logico che “le tre piramidi di Giza siano state costruite da una civiltà superiore in un’epoca molto più antica”; ma, invece di mettere in dubbio la professionalità di seri studiosi sulla base di baggianate, forse farebbe bene a parlare con qualcuno di loro. Ne trova un bel po’ a soli 2,5 km dalla sede del giornale in cui lavora.

 

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Trasferiti al Museo Nazionale della Civiltà Egiziana 17 sarcofagi reali

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Sarcofago di Ahmose-Meritamon (ph. Ministry o Tourism and Antiquities)

In attesa della grande parata ufficiale che vedrà il trasferimento di 22 mummie reali dal Museo Egizio del Cairo al Museo Nazionale della Civiltà Egiziana di Fustat, nei giorni scorsi si è proceduto allo spostamento dei 17 sarcofagi che le accompagnavano.

Le bare lignee erano state scoperte nel 1881 nella cachette di Deir el-Bahari insieme ai corpi imbalsamati di 18 faraoni e 4 regine di XVII, XVIII, XIX e XX dinastia, oltre alle mummie di importanti personaggi della XXI dinastia e di individui non identificati. Tra i sarcofagi, che ora saranno puliti e restaurati, spiccano quelli del re di XVII din. Seqenenra Ta’o, della regina Ahmose-Nefertari, di Ahmose-Meritamon (foto in alto), di Amenofi I, Thutmosi II, Thutmosi III, Ramesse II, Ramesse III e di Padiamon (che però conteneva i resti di Ahmose-Sitkamose).

Questo grande trasloco era stato deciso già nell’agosto del 2019 ed era previsto per lo scorso marzo, ma ovviamente il covid ha costretto a rimandare la data.

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