Archivi del mese: ottobre 2020

Inaugurati i musei archeologici di Sharm el-Sheikh e di Kafr el-Sheikh

Questa mattina, nonostante il periodo non sembri proprio il più propizio, sono stati inaugurati ufficialmente due musei archeologici in fase di costruzione da anni: il Museo di Sharm el-Sheikh e quello di Kafr el-Sheikh. In contemporanea è stato riaperto anche il Museo delle Carrozze Reali al Cairo, dopo un lungo processo di ristrutturazione e rivisitazione degli spazi espositivi.

Il Museo di Sharm el-Sheikh rientra in un più ampio progetto di valorizzazione del turismo in Egitto che prevede che famose località balneari, come è già successo con Hurghada, siano dotate anche di attrazioni culturali per rendere più ampia l’offerta ai visitatori. Il museo illustra i diversi aspetti della civiltà egizia esponendo una selezione di circa 7000 manufatti da altre raccolte del Paese, come quelle del Cairo, Luxor, Kom Oshim, Saqqara, Suez, Ismailia e Minya.

Nonostante il nome simile, Kafr el-Sheikh si trova da tutt’altra parte, nel mezzo del Delta del Nilo. Il suo museo, il cui progetto risale addirittura al 1992, copre l’intera storia dell’area con circa 5800 reperti che vanno dall’età faraonica fino al periodo copto e islamico. In particolare, nelle sale sono esposti oggetti provenienti dai principali siti della provincia, come l’importante città di Buto (oggi Tell el-Farain), Xois o Sakha – dove, secondo la tradizione, soggiornò la Sacra famiglia durante la fuga in Egitto – e Fuwah, centro famoso per le sue moschee e per la produzione di tappeti fatti a mano.

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“I segreti della tomba di Saqqara”: scoperte inedite nel documentario Netflix

Da ieri è disponibile sulla piattaforma streaming di Netflix un documentario che aspettavo da tempo. Non tanto per lo stile di narrazione che, fin dal trailer, è apparso troppo incentrato su sensazionalismo e – come mostra il titolo stesso – mistero, ma sulle possibili notizie inedite che erano state preannunciate. E almeno da questo punto di vista, non sono rimasto deluso.

“I segreti della tomba di Saqqara è una produzione originale Netflix di quasi due ore, che parla della missione archeologica egiziana nell’area del Bubasteion a Saqqara. In particolare si raccontano le campagne di scavo 2018 e 2019 dopo che, grazie al ritrovamento della spettacolare tomba di Wahtye (per evitare confusione, adotterò la nomenclatura scelta per il film), l’attenzione mediatica mondiale si era rivolta sul sito. Oltre la ricerca nella coloratissima sepoltura di V dinastia che, come vedremo, ha riservato importanti novità, il documentario mostra anche alcune delle numerose scoperte di cui vi ho parlato negli ultimi anni.

Uno dei sarcofagi scoperti durante la campagna di scavo 2019 (Netflix)

Con l’ausilio di immagini ad alta definizione, riprese da drone e qualche animazione, il regista James Tovell ha cercato di raccontare le difficili giornate di scavo e le storie personali di archeologi e altri protagonisti della missione, ma è indubbio che sia l’eccezionalità delle scoperte che si susseguono “ogni 30 secondi” a catturare lo spettatore. Rivediamo quindi le decine di mummie di gatto trovate in fondo a un pozzo e lo stupore dell’egittologa Salima Ikram nell’accorgersi grazie a una radiografia come una di esse in realtà appartenesse a un cucciolo di leone; un frammento della statua di un funzionario di età ramesside che combacia con altri due pezzi individuati negli anni precedenti; statuette e sarcofagi spuntare dalla sabbia ad ogni colpo di turiah (zappa) degli operai.

Tra gli oggetti mostrati (nei titoli di coda si specifica che sono 3100 i reperti totali), alcuni sono inediti, come una bellissima statuetta di Sekhmet in faience azzurra e una tavola da gioco in legno, con ancora all’interno le pedine pronte per una partita (senet da un lato, “Gioco delle 20 caselle” dall’altro; immagine in basso). Ed è proprio qui che arriva la nota dolente. L’impressione generale è che – nonostante uno dei responsabili dello scavo dica “non abbiamo bisogno di altri oggetti, ma d’informazioni” – ci sia una frenetica fame di scoperte, con poca attenzione alla documentazione. Si assiste a una vera e propria corsa contro il tempo, prima dell’arrivo del Ramadan e della fine dei fondi, per trovare un’altra tomba che convinca il Governo a finanziare ancora la missione. La fretta non è di certo buona consigliera dell’archeologia, ma spero vivamente che questa percezione sia dovuta solo al montaggio.

Tavola da gioco perfettamente conservata con tutte le sue pedine (Netflix)

Tornando alla tomba di Wahtye, veniamo a sapere che le ricerche sono avanzate, molto. Fino ad ora era stata mostrata solo una camera le cui pareti sono ricoperte da pitture dai colori ancora vividi e da numerose statue a rilievo che ritraggono il defunto – sacerdote-uab, “Ispettore della barca sacra” e “Ispettore del tempio funerario di Neferirkara-Kakai” (2475-2465 a.C.) -, la madre, la moglie e i quattro figli. Nella prima parte del film, due archeologi si concentrano sulla lettura dei testi geroglifici e, notando modifiche nei nomi e nel volto della statua principale, ipotizzano che Wahtye si sia appropriato di una tomba non pensata per lui. Poi si passa allo scavo dei quattro pozzi funerari, vera novità del documentario. Il primo, profondo solo 60 cm, si rivelerà vuoto, ma già dal secondo iniziano i colpi di scena: una cassa lignea – aperta con eccessiva goffaggine – contenente i resti ossei di tre individui, due adolescenti e un bambino. I tre figli maschi di Wahtye? Nel terzo pozzo, profondo due metri, ancora tre scheletri, questa volta però ammassati in un angolo e appartenenti a un’anziana (più di 55 anni), una donna più giovane (circa 30 anni) e una bambina. I membri della missione non hanno dubbi: sono la madre, la moglie e la figlia. L’ultimo a mancare all’appello, Wahtye stesso, viene trovato come da copione nel quarto pozzo, in fondo al quale si apre una stanza laterale sigillata da un muretto in mattoni. Qui una semplice bara di legno conteneva il corpo scheletrizzato di un uomo di circa 35 anni, ancora disposto su un fianco come da tradizione dell’Antico Regno.

Il corpo di Wahtye? (Netflix)

Seppur in mancanza d’iscrizioni e di altri oggetti di corredo, sembra che sia stata scoperta la famiglia al completo; ma gli interrogativi restano. In particolare ci si chiede perché siano state effettuate inumazioni così povere e frettolose a fronte della ricca decorazione della struttura (ma questo può essere spiegato con il riutilizzo della tomba) e soprattutto il motivo di sette morti che sembrano essere arrivate tutte nello stesso periodo. A questa seconda domanda prova a rispondere l’antropologa della missione che, notando un ispessimento comune delle ossa dovuto ad anemia, tira in ballo una possibile infezione da malaria. Sarebbe il primo caso attestato archeologicamente, ma per ora è solo un’ipotesi non suffragata da prove.

Il documentario si chiude con un “finale aperto”.  A due giorni dalla fine della campagna 2019, infatti, il team scopre una nuova tomba. In realtà, ho riconosciuto la sua bella falsa porta con geroglifici colorati in alcune foto circolate dopo recente visita allo scavo del Primo Ministro Mostafa Kemal Madbouly; scommetto che sarà il prossimo ritrovamento annunciato alla stampa.

https://www.netflix.com/it/title/81064069

Mostafa Waziry illumina la falsa porta di una tomba ancora inedita (Netflix)
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Tuna el-Gebel, scoperta tomba di un tesoriere di XXVI dinastia, con canopi in alabastro, centinaia di ushabti e due statue in pietra

Foto: Ministry of Tourism and Antiquities; rielaborazione grafica: M. Mancini (@DjedMedu)

Nell’ormai consueto ping pong di scoperte tra Saqqara e Tuna el-Gebel, è di nuovo il turno di quest’ultimo sito del Medio Egitto dove la missione egiziana nell’area di al-Ghorifa, diretta da Mostafa Waziri (foto in alto), ha individuato un’ulteriore tomba di Epoca Tarda. Questa volta, però, la sepoltura ha riservato un corredo funebre molto più ricco dei soliti sarcofagi che ci stiamo abituando a vedere settimanalmente.

In fondo a un pozzo di 10 metri, una camera foderata di lastre di calcare conteneva le spoglie di Pa-di-Iset, “Sovrintendente del tesoro reale”, e di sei suoi familiari. Nome e titoli dell’importante funzionario, vissuto durante la XXVI dinastia (664-525 a.C.), compaiono su circa 400 ushabti in faeince azzurra e su 4 splendidi vasi canopi in alabastro (foto in alto con il nome appena visibile evidenziato).

Va sottolineata in particolare la presenza di due statue in calcare di una figura femminile in piedi (foto a sinistra; azzardo che possa essere la dea Neith di cui non si conserva la corona) e di un bovino seduto indicato dal Ministero delle Antichità come toro Apis (foto in basso), rispettivamente alta e lunga circa un metro. Le altre sepolture sono poi accompagnate da un migliaio di ushabti in faience, scarabei, amuleti, vasi in ceramica e altri set di canopi, sia in alabastro che calcare.

Nella tomba si trovano anche quattro sarcofagi in pietra ancora sigillati con malta.

Ministry of Tourism and Antiquities

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A Saqqara trovati altri tre pozzi funerari con decine di sarcofagi

Source: Ministry of Tourism and Antiquities

In occasione della visita a Saqqara del Primo Ministro egiziano Mostafa Kemal Madbouly, è stata anticipata la scoperta di altri tre pozzi funerari con decine e decine di sarcofagi di XXVI dinastia ancora sigillati.

Seppur alcune fonti giornalistiche locali parlino di più di 80 sarcofagi, non è ancora chiaro quale sia il loro numero totale. Infatti, i dettagli saranno annunciati solo durante la conferenza stampa ufficiale che si terrà, a documentazione terminata, nelle prossime settimane. Per il momento, dalle foto divulgate si vedono diversi sarcofagi in pietra e legno dipinto, quasi tutti in buono stato di conservazione, accatastati in camere scavate nella roccia. Alcune mummie sono semplicemente deposte in nicchie ricavate dalle pareti. Infine, si notano diverse statuette di Ptah-Sokar-Osiride (in basso a sinistra) e casse canopiche.

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Reeves torna all’attacco: un nuovo articolo per ribadire che, secondo lui, Nefertiti è sepolta nella tomba di Tutankhamon

Copyright © Nicholas Reeves 2020 | Layout and animation copyright © Peter Gremse ConzeptZone.de 2020

“If the person you are talking to doesn’t appear to be listening, be patient.
It may simply be that he has a small piece of fluff in his ear”

Nicholas Reeves non si arrende e lo fa capire già dalla citazione iniziale del suo nuovo articolo, presa direttamente da Winnie the Pooh. Pochi giorni fa l’egittologo britannico ha pubblicato sulla sua pagina academia.edu la terza parte, forse conclusiva, della serie “The Burial of Nefertiti?”, trilogia che ha sconvolto il mondo dell’egittologia e non solo con l’affaire ribattezzato Tutfertiti.

Nel 2015 Reeves aveva esposto la clamorosa ipotesi secondo la quale Nefertiti, sposa di Akhenaton, sarebbe ancora nascosta in camere sconosciute della tomba di Tutankhamon. Nello specifico – partendo dallo studio della struttura architettonica della sepoltura e del suo contenuto e dall’analisi delle foto ad alta risoluzione delle pitture parietali messe a disposizione dalla Factum Arte – aveva affermato che la KV62 in origine fosse destinata alla regina, ma che poi, vista la morte improvvisa del giovane faraone, sarebbe stata riciclata con parte del suo corredo per Tut. In un primo momento quest’ipotesi sembrò suffragata da esami preliminari e dalle prospezioni con georadar realizzate da tecnici giapponesi che rilevarono la presenza di vuoti dietro le pareti nord e ovest della camera funeraria.

L’anno successivo, però, una seconda serie di scansioni ad opera di esperti americani della National Geographic Society portò a risultati meno netti, che cominciarono a far serpeggiare qualche dubbio in merito e, di conseguenza, fu necessario richiedere l’intervento di un terzo team per derimere definitivamente la questione. Il compito fu affidato a una squadra italiana diretta da Franco Porcelli (Politecnico di Torino), che nel 2018 escluse categoricamente la presenza di vuoti dietro le pareti della camera funeraria, bocciando quindi la teoria di Reeves.

Faccenda chiusa allora? Neanche per sogno. Reeves ha continuato a rimanere della sua posizione pubblicando un secondo articolo nel 2019, in cui ha aggiunto una particolareggiata valutazione delle decorazioni pittoriche della camera – in cui la figura di Tutankhamon sarebbe stata aggiunta in un secondo momento per coprire quella di Nefertiti – e ha presentato unaa reinterpretazione dei dati della seconda seduta di scansioni. Secondo il geofisico George Ballard, perito esterno scelto proprio per quella serie di esami, le pareti nord e ovest mostrerebbero segni della presenza di muri artificiali diversi dalla roccia pura.

Dopo questa necessaria premessa (trovate tutti gli articoli di approfondimento nei link presenti nel testo), veniamo finalmente al terzo articolo, che comunque non fornisce grosse novità. In generale, vengono riassunte e contestualizzate tutte le informazioni presenti nelle precedenti pubblicazioni. Si ribadisce che Nefertiti avrebbe cambiato nome in Neferneferuaton nella seconda metà del regno di Akhenaton in quanto coreggente del marito e in Smenkhara quando salì al trono da sola. Ad ognuna di queste fasi corrisponderebbe una modifica della planimetria e dell’apparato decorativo della tomba di Nefertiti che avrebbe poi ospitato le spoglie del successore Tutankhamon.

Le prove di questa conclusione sono quelle già illustrate nel 2015 e nel 2019: la pianta anomala della KV62, troppo piccola per essere una tomba della Valle dei Re; linee regolari riconducibili a due aperture nelle pareti nord e ovest; tracce di modifiche nei cartigli e nelle figure ritratte sui muri; un diverso trattamento delle superfici imputato al passaggio dalla roccia a una struttura muraria artificiale.

L’unica vera novità è la proposta di un’ulteriore camera nascosta posta, per esclusione, dietro la parete sud della camera funeraria. Ma questa volta a suffragare l’ipotesi è il solo fatto che mancherebbe un ambiente a Tesoro, Annesso e l’eventuale camera dietro la parete ovest per rispettare le tradizionali quattro stanze-magazzino delle tombe di XVIII dinastia. Oggettivamente un po’ poco, pur tenendo conto che sulla parete meridionale la nicchia che conteneva il mattone magico è più alta delle altre per, secondo Reeves, lasciar spazio alla porta sigillata sottostante. Anche le sovrapposizioni dei volti ritratti nelle pitture con i profili di statue o busti ritraenti Nefertiti e Tutankhamon sembrano forzate.

A corredo di ogni paragrafo ci sono link a 5 video su YouTube (1, 2, 3, 4, 5), in cui i dati vengono illustrati tramite ricostruzioni virtuali del graphic designer Peter Greemse. Ma ciò che mi ha colpito di più dell’articolo è la parte finale in cui Reeves risponde a Porcelli, quasi prendendola sul personale, con una veemenza che giustifica il titolo clickbait di questo post. Del professore, e per estenzione di tutto il suo team, vengono criticati l’approccio macchiato da aspettative preconcette, l’eccessiva sicurezza iniziale e la fiducia incondizionata negli strumenti utilizzati. L’effettiva mancanza di vuoti rilevata dalla terza serie di scansioni al georadar sarebbe spiegata, anche da Ballard, semplicemente con riempimenti di macerie compattate. Così i risultati degli italiani, secondo Reeves, sarebbero tutt’altro che definitivi ma, al contrario, “terribilmente sopravvalutati”.

L’attacco è sicuramente duro, diretto, volto a mettere in dubbio l’infallibilità dello studio effettuato e dei mezzi scientifici adottati; atteggiamento che, però, non ho notato quando i risultati giapponesi confermavano l’ipotesi di Reeves. Restano comunque molte suggestioni e la faccenda ancora da chiarire delle altre due anomalie rilevate nei pressi della KV62; quindi sono sicuro che l’affaire Tutfertiti non finisca qui.

https://www.academia.edu/44309046/The_Tomb_of_Tutankhamun_KV_62_Supplementary_Notes_The_Burial_of_Nefertiti_III_2020_

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Sono 59 i sarcofagi intatti scoperti a Saqqara

Source: Ministry of Tourism and Antiquities

Non 13, non 27: alla fine i sarcofagi scoperti a Saqqara sono 59… per il momento.

Ieri si è tenuta la conferenza stampa in cui il noto archeologo Zahi Hawass, Mostafa Waziry, segretario generale del Consiglio Supremo delle Antichità, e il ministro Khaled el-Anany hanno annunciato ufficialmente i dettagli del ritrovamento che era stato anticipato nelle settimane scorse (link 1, 2).

Sapevamo già di dozzine di sarcofagi in legno ancora sigillati, stipati in una camera in fondo a un pozzo funerario. Ma a quanto pare però, i pozzi individuati dalla missione diretta da Waziry nell’area del Bubasteion (santuario della dea gatto Bastet) sono 3 e contenevano 59 bare antropoidi dai colori ancora vividi. La maggior parte di queste è stata disposta a favor di giornalisti nell’ormai consueto schema da funerale multiplo e alcune sono state (ri)aperte in diretta mostrando mummie e coperture in cartonnage in ottimo stato di conservazione. La lettura dei testi geroglifici sui coperchi ha permesso di capire che i defunti erano sacerdoti e alti funzionari, vissuti durante la XXVI e la XXVII dinastia (VII-VI sec. a.C.), che hanno avuto il privilegio di essere sepolti in un’area sacra.

Source: Ministry of Tourism and Antiquities

Il ministro del Turismo e delle Antichità ha inoltre dichiarato che tutti i sarcofagi saranno esposti dal prossimo anno in una sala appositamente dedicata nel Grand Egyptian Museum, accanto ai 30 della cachette di el-Asasif. La sala dovrà essere necessariamente molto spaziosa perché Waziry ha anticipato la presenza di ulteriori sarcofagi da Saqqara che non sono ancora stati tirati fuori.

Tra gli oggetti di corredo ci sono ushabti, amuleti, cassette canopiche per gli organi rimossi dalle mummie e 28 statuette in legno di Ptah-Sokar-Osiride, divinità funeraria mummiforme che fonde gli attributi dei tre dèi. Nei piedistalli di queste statuette spesso si trovano cavità in cui sono nascosti papiri iscritti con formule del Libro dei Morti, mummie di animali o figurine in fango (come si vede nella foto in basso a sinistra) che dovevano aiutare il defunto nell’aldilà.

Ma tra i reperti scoperti spicca un bronzetto alto 35 cm di Nefertum (foto a sinistra) di cui colpisce lo stato di conservazione. Restano la base con il nome del dedicante, Padiamon, e gli intarsi in agata rossa, turchese e lapislazzuli che decorano il fiore di loto sulla testa. Nefertum era infatti il dio menfita dei profumi e della rinascita in quanto il loto è il fiore che spunta dalla acque indistinte del Nun (l’oceano primordiale) all’origine della creazione.

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