Archivi del mese: dicembre 2020

Un anno (il 7°) di Djed Medu: le scoperte archeologiche più importanti in Egitto del 2020

Ed eccoci qui, come ogni 29 dicembre, a celebrare il compleanno di Djed Medu e soprattutto a fare il bilancio dei più importanti eventi egittologici verificatisi durante l’anno. Nel 2020 ho drasticamente diminuito il numero di articoli pubblicati sul blog, vuoi perché avevo una tesi di dottorato da finire, ma soprattutto perché ci sono state effettivamente meno notizie di cui parlare a causa della pandemia globale. Salvo pochi casi, infatti, gli archeologi stranieri non hanno potuto recarsi in Egitto e le scoperte si devono soprattutto a missioni locali. Il primo posto della copertura mediatica va senza dubbio allo scavo nell’area del Bubasteion a Saqqara che, con i suoi infiniti sarcofagi, ha raggiunto prime pagine, servizi televisivi e le home dei siti dei giornali di tutto il mondo. Solo la missione nella necropoli di Tuna el-Gebel, ancora una volta diretta da Mostafa Waziry, ha retto il passo per qualche mese, tanto da creare un vero e propio botta e risposta di annunci sensazionalistici.

Ma partiamo con la carrellata delle più importanti notizie egittologiche, mese per mese:

GENNAIO

Così come negli scorsi tre anni, nella necropoli di Tuna el-Gebel sono state scoperte altre tombe risalenti al Periodo Tardo. A gennaio è stato annunciato il ritrovamento, solo il primo dell’anno per il sito, di diversi pozzi funerari con 20 sarcofagi appartenuti a sacerdoti di Thot della XXVI dinastia (672-525 a.C.), accompagnati da oltre 10.000 ushabti, amuleti e canopi.

FEBBRAIO

A oltre 5000 anni fa risalgono invece le 83 tombe predinastiche scoperte a Kom el-Khilgan, nel Delta orientale. Tra queste sepolture, alcune consistevano in fosse ovali scavate nella sabbia con il defunto deposto in posizione fetale all’interno di rare casse funerarie in terracotta. E vogliamo far passare un anno senza novità sull’affare Tutfertiti? Sarebbe stata rilevata un’anomalia nelle vicinanze della KV62 durante l’ultimo ciclo di scansioni con georadar nella Valle dei Re.

MARZO

La missione polacca a Deir el-Bahari ha individuato un promettente deposito di fondazione reale che potrebbe indicare la vicinanza della tomba del faraone Thutmosi II, la cui ubicazione è ancora ignota. Tra i detriti c’era una cassa in pietra calcarea che conteneva tre pacchetti di lino con lo scheletro di un’oca, un uovo dello stesso uccello e una cassettina di legno con un uovo di ibis. Un quarto involto di lino racchiudeva uno scrigno in faience con il nome del faraone.

APRILE

La lunga serie di scoperte effettuate nell’area del Bubasteion di Saqqara comincia con una mummia di mangusta, rara per le sue eccezionali dimensioni. A Dra Abu el-Naga invece, la missione spagnola del “Proyecto Djehuty” ha scoperto due sarcofagi della XVII dinastia nella corte della TT11. Il primo apparteneva a una ragazza di 15/16 anni, il cui corpo era ancora adornato da collane e altri gioielli. Il secondo invece è una miniatura di 22 cm che conteneva uno “stick shabti”.

MAGGIO

Altre novità da Saqqara sono arrivate dal versante dei laboratori di mummificazione a sud della piramide di Unas. La missione egiziano-tedesca dello SCA e dell’Università di Tübingen ha individuato un ulteriore pozzo funerario con le sepolture di tre sacerdoti della dea serpente Niut-sh-es, tra cui spicca anche una defunta, chiamata Didibastet, che era accompagnata da ben 6 canopi.

GIUGNO

Non reggono il confronto con le altre scoperte dell’anno, ma i nuovi ritrovamenti effettuati lungo il Viale delle Sfingi a Luxor finiscono comunque in questa lista perché sono gli unici del mese di giugno. Durante i lavori di restauro della strada, sono emersi forni di epoca romana e un muro di contenimento.

LUGLIO

Non il risultato di uno scavo archeologico ma la pubblicazione di un’applicazione informatica. Concretizzando un progetto nato con l’uscita del videogioco “Assassin’s Creed: Origins”, Google ha lanciato Fabricius, il primo traduttore automatico di geroglifici.

AGOSTO

Mese di scoperte animalesche! La necropoli degli animali domestici di Berenice ha rivelato anche la presenza di scimmie provenienti dall’India. Invece, a Qubbet el-Hawa, Assuan Ovest, la missione spagnola ha ritrovato un deposito con le mummie di 11 coccodrilli.

SETTEMBRE

Tornando al Bubasteion di Saqqara, alla fine dell’estate è cominciata un’infinita serie di anticipazioni ufficiose e comunicati ufficiali sul ritrovamento di cachette con decine e decine di sarcofaci di Periodo Tardo ed Epoca Tolemaica. A partire da tre pozzi funerari con 59 sarcofagi ancora sigillati, accompagnati da centinaia di oggetti di corredo.

OTTOBRE

Ancora un pozzo fumerario ma a Tuna el-Gebel. A 10 metri di profondità era sepolto il “Sovrintendente del tesoro reale” Pa-di-Iset, importante funzionario della XXVI dinastia che era accompagnato da uno splendido set di vasi canopi in alabastro e da due statue in calcare raffiguranti una donna in piedi e un bovino seduto.

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NOVEMBRE

59 sarcofagi a Saqqara non bastavano, così ne sono stati annunciati altri 100 o più in quella che è stata definita dalle autorità egiziane “la più grande scoperta archeologica del 2020”. Ancora una volta tutte sigillate e in ottimo stato di conservazione, le bare risalgono per lo più alla XXVI dinastia ma anche al Periodo tolemaico.

DICEMBRE

L’anno si è chiuso con un’affascinante ri-scoperta. Uno dei pochi oggetti rinvenuti nella Piramide di Cheope, di cui si erano perse le tracce da decenni, è rispuntato nei depositi del museo dell’Università di Aberdeen: una stecca in legno di cedro, ormai in frantumi.

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Scoperta bonus: non è stata ancora ufficialmente annunciata, ma scommetto che la tomba di Penmes a Saqqara sarà presentata nel 2021. Ci rivediamo fra un anno per vedere se avrò avuto ragione o meno.

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“Egitto di Provincia”: il Gayer-Anderson Museum del Cairo

Torno a parlare di una collezione egizia “minore” a distanza di 2 anni e mezzo dall’ultima volta e non poteva esserci occasione migliore per occuparmi di un museo che si trova proprio in Egitto e che ho visitato all’inizio del mese.

Del Cairo tutti conoscono lo storico Museo Egizio di Piazza Tahrir e forse anche i due nuovi musei archeologici, il Grand Egyptian Museum di Giza e il Museo Nazionale della Civiltà Egiziana a Fustat, che sono ancora in fase di costruzione. Molti meno, invece, hanno sentito parlare di un vero e proprio gioiello nascosto tra i fatiscenti palazzi della parte vecchia della città, un edificio rimarchevole più per la sua bellezza architettonica che per l’importanza delle antichità che contiene: il Gayer-Anderson-Museum.

Probabilmente il nome non sarà nuovo agli amanti dell’Egitto antico perché è legato a uno dei reperti più famosi del British Museum, il “gatto Gayer-Anderson“. La statuetta di bronzo fu donata al museo londinese nel 1939 dal maggiore, medico dell’esercito britannico e collezionista Robert Grenville Gayer-Anderson (1881-1945) che era arrivato in Egitto nel 1907. Qui, dopo una prestigiosa carriera che lo portò a ricoprire importanti cariche militari e amministrative, fino ad ottenere addirittura il titolo onorifico di Pascià, Gayer-Anderson si ritirò a vita privata nel 1923 per didicarsi a tempo pieno alle sue vere passioni. Cominciò infatti a raccogliere, studiare e vendere antichità egizie, mobili orientali e altri oggetti da Turchia, Siria, India, Iran, Cina e Italia. Scriveva articoli per riviste egittologiche, organizzava mostre al Cairo e intratteneva rapporti con musei di tutto il mondo, come il già citato British Museum o il Fitzwilliam Museum di Cambridge a cui donò oltre 7500 pezzi. Non è un caso che, in due quadri nella sua abitazione, sia rappresentato mentre maneggia un ushabti o caricaturizzato con le fattezze della sfinge (foto in basso)

Tra il 1932 e il 1943, il Maggiore ebbe il permesso di risiededere nelle confinanti Beit Amna bint Salim (1540) e Beit el-Kretilya (1632), due dei pochissimi esempi di edilizia privata ottomana sopravvissuti alle demolizioni nelle adiacenze della monumentale moschea di Ibn Tulun. La bellezza del luogo, con tendaggi, mobili d’epoca ed elegantissimi intarsi in legno, è sottolineata anche dalla scelta di utilizzare i due palazzi come location per il film “007 – La Spia che mi amava“. Alla sua morte nel 1945, Gayer-Anderson lasciò in eredità la sua abitazione, insieme a tutto il contenuto, al governo egiziano che poi ne ha fatto una casa-museo.

I reperti egizi sono sparsi un po’ ovunque, tra stampe d’inzio ‘900, vasi cinesi e tappeti persiani. Vediamo capitelli hathorici da Dendera in giardino e porzioni di rilievi da Luxor o modellini di Medio Regno inseriti nelle pareti. Ma il principale luogo deputato all’antico Egitto, almeno fino a non molto tempo fa, è la “Stanza del Museo”, dove Gayer-Anderson esponeva gli oggetti che collezionava. Qui, tra ceramiche e vassoi metallici di epoca islamica, spicca la riproduzione del celebre gatto donato al British, mentre alle sue spalle c’è un’altra copia, quella del busto di Nefertiti oggi a Berlino; pochi altri reperti egizi sono esposti nella sala, come un sarcofago in cartonnage di XXI dinastia messo in un angolo (foto in basso a destra).

Il grosso della collezione egizia è stato disposto meno di 20 anni fa in due vetrine nella piccola “Sala dell’Antico Egitto” o “Sala faraonica”. Appare subito evidente l’interesse di Gayer-Anderson per gli oggetti di piccole dimensioni di ogni epoca: canopi, porzioni di rilievi, stele, frammenti di sarcofagi, maschere funerarie, scarabei, statuette e diverse figurine in terracotta di Arpocrate e Bes risalenti al periodo greco-romano. Decine di braccia, orecchie, piedi, corna, urei e barbe, invece, potrebbero essere i “pezzi di ricambio” che il collezionista usava per restaurare e rendere più appetibili le statuette in legno.

Per approfondire

  • Ikram S., “A Pasha’s Pleasures: R.G. Gayer-Anderson And His Pharaonic Collection In Cairo”, in D’Auria S. (ed.), Offerings to the Discerning Eye. An Egyptological Medley in Honor of Jack A. Josephson, Leiden-Boston 2010, pp. 177-186.
  • Warner N., Guide to the Gayer-Anderson Museum, Cairo 2003.
  • La visita virtuale: https://mpembed.com/show/?m=LCyv1zFUxiq&mpu=497
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Da una scatola per sigari in un museo scozzese rispunta uno dei pochi oggetti trovati nella Grande Piramide

Source: University of Aberdeen

I depositi dei musei sono luoghi straordinari che riservano sempre nuove sorprese se ci si mette a “scavare” in profondità tra casse e scatoline.

Proprio in una piccola confezione di sigari nascosta in una collezione universitaria scozzese è stato ritrovato uno dei tre oggetti individuati nella Grande Piramide di Giza. A discapito delle dimensioni colossali dell’ultima dimora di Cheope, infatti, dal suo interno provengono solo (oltre al sarcofago in granito, e gli inaccessibili oggetti ripresi nel 1993 dal robot Upuaut-2) una sfera in dolerite dal diametro di circa 7 cm e pesante 540 g, un attrezzo in rame a forma di coda di rondine e un bastoncino in legno di cedro lungo 12 cm. A trovarli fu l’ingegnere britannico Waynman Dixon nel 1872, quando, esplorando la Camera della Regina, individuò due condotti di areazione che all’epoca erano ancora nascosti dalle lastre che foderano le pareti. Alla base di quello settentrionale c’erano i tre manufatti, arnesi dimenticati dai costruttori o forse modellini rituali lasciati intenzionalmente per permettere al faraone di aprire il passaggio e raggiungere il cielo.

Harper’s Weekly, 1873

Se i primi due sono stati donati nel 1976 dai discendenti di Dixon al British Museum, dell’asta di legno si erano perse le tracce da quasi 80 anni. Nel 1946, infatti, la figlia dell’ormai defunto James Grant – fisico, medico e collezionista scozzese che esplorò la Piramide insieme all’amico Dixon – lasciò l’oggetto all’Università di Aberdeen dove il padre si era formato e a cui aveva già ceduto gran parte della sua collezione di reperti archeologici.

Il collegamento era stato ricostruito nel 2001 grazie a un documento, ma solo recentemente è stato confermato da Abeer Eladany, assistente curatrice delle raccolte universitarie che era rimasta incuriosita dalla vecchia bandiera del suo paese su una scatolina che si trovava tra gli oggetti della collezione asiatica. Il confronto incrociato tra i numeri di inventario ha definitivamente accertato che i frammenti di legno al suo interno corrispondono a ciò che resta di una delle cosiddette “reliquie di Dixon” (il n. 3 dell’illustrazione in alto). Il carbonio 14 ha poi portato a una datazione del 3341-3094 a.C., circa 500 anni prima di Cheope (2589-2566 a.C.). Il legno utilizzato o l’oggetto stesso erano quindi molto più antichi della Grande Piramide.

https://www.abdn.ac.uk/news/14573/

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Iscrizione di 5000 anni attesterebbe il dominio del Re Scorpione

© Ludwig Morenz

A Wadi el-Malik, nei pressi di Assuan, è stata scoperta un’iscrizione di 5000 anni che, nonostante la sua estrema brevità, avrebbe un’importanza straordinaria. Solo quattro segni in proto-geroglifico che attesterebbero il dominio di Re Scorpione (II) fino ai remoti confini meridionali dell’Egitto.

Il ritrovamento dell’iscrizione, insieme a ceramica coeva, risale a oltre due anni fa, ma ora i risultati dello studio sono stati pubblicati da Ludwig Morenz (Università di Bonn) per il primo numero della nuova rivista “KATARAKT. Aswan Archaeological Working Papers“.

Il testo inciso su una roccia, traducibile con “Dominio dell’Horus Re Scorpione“, è accompagnato da un segno circolare, determinativo che identifica nomi di luoghi, e quindi corrisponderebbe al più antico toponimo conosciuto a esclusione di quelli che si trovano su etichette e sigilli per merci (come quelli della tomba U-j di Umm el-Qa’ab, dove fu sepolto l’omonimo sovrano predinastico, Scorpione I) . Il regno di Scorpione II, infatti, è attestato intorno al 3070 a.C., in una primordiale fase di formazione dello Stato egiziano e per questo, secondo Morenz, l’iscrizione sarebbe la prima fonte scritta attestante un effettivo controllo politico di una zona così periferica.

Tuttavia, tutti i condizionali usati sono d’obbligo perché l’argomento è molto dibattuto. Al di là della lettura dubbia dell’iscrizione, come segnala Paolo Medici (dottore di ricerca in Egittologia presso la Freie Universität Berlin ed esperto di Predinastico), molti studiosi non sono nemmeno d’accordo con il considerare Scorpione II un faraone a sé, identificandolo con Narmer o addirittura negando che sia veramente esistito.

https://www.uni-bonn.de/news/297-2020

 © Drawing David Sabel
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