Archivi del mese: febbraio 2021

Il Re Scorpione (bloopers egittologici – con Paolo Medici)

Nel 2001, il secondo capitolo della trilogia cult della Mummia con Brendan Fraser aveva lanciato un personaggio che, nonostante il minutaggio limitato, aveva attirato il favore del pubblico. Il mostruoso villain del film, l’ibrido Re Scorpione – metà uomo metà aracnide – fu così riutilizzato l’anno dopo per uno spin-off della saga, che tuttavia reinterpretava completamente la storia. Infatti, il malvagio guerriero che aveva venduto l’anima ad Anubi ne “La Mummia – Il ritorno” divenne un mercenario accadico – buono – destinato a uccidere il vero cattivo della pellicola e a regnare per primo sull’Egitto unificato.

“Il Re Scorpione” è fra l’altro il debutto da protagonista di Dwayne Johnson, il wrestler meglio noto come The Rock, che, dopo la breve comparsata nella Mummia (dove spesso è sostituito dal suo orribile doppione in CGI) iniziò così una fortunata carriera da attore. Il film ebbe anche buoni incassi, tanto da essere seguito da un prequel e tre sequel per l’home video… che non ho il coraggio di vedere. È stata infatti già un’impresa finire di guardare questo blockbusterone da 60 milioni di dollari, figuriamoci i seguiti prodotti a basso costo.

Come detto, la storia si svolge più o meno nel 3000 a.C., quando un’armata inarrestabile guidata da Memnone porta morte e distruzione in tutto il Vicino Oriente. Nella mitologia greca, Memnone è un eroe semidivino, re degli Etiopi, che combattè la guerra di Troia al fianco di Priamo. L’Etiopia era il termine con cui, ad esempio, Erodoto indicava le terre a sud di Assuan; per questo i Greci ribattezzarono le due gigantesche statue del tempio funerario di Amenofi III a Tebe Ovest come “Colossi di Memnone”, credendo ritraessero proprio il personaggio. Questo è il primo blooper storico perché convenzionalmente guerra di Troia si colloca nel XII secolo a.C.

In ogni caso, le poche tribù rimaste libere assoldano un mercenario accadico, Mathayus – il futuro Re Scorpione -, per uccidere la maga indovina Cassandra (altro riferimento omerico buttato a caso) che indirizza le campagne militari di Memnone grazie alle sue visioni. Ed ecco il secondo di un’infinita serie di anacronismi perché l’impero accadico parte dal 2334 a.C. con Sargon di Akkad; e pur considerando la precedente fase nomadica delle popolazioni semitiche corrispondenti, siamo comunque fuori strada.

Per farla breve, Mathayus riuscirà più o meno da solo a sbaragliare tutti i nemici, sopravvivere al veleno di uno scorpione, conquistare il cuore della bella Cassandra e diventare il legendario re che, da lì a breve, avrebbe regnerato sull’Egitto unificandolo. Questa volta non vale nemmeno la pena fare un’analisi più accurata perché gli errori storici sono fin troppi: spade in ferro nell’antica Età del bronzo; shuriken e altre armi giapponesi; polvere da sparo; cavalli con selle e briglie; tigri; obelischi e statue di Anubi; menzioni di popolazioni e città molto più recenti come Micenei e Pompei. Più interessante è invece conoscere meglio la figura storica che ha ispirato – almeno nel nome – il protagonista del film. Chi era veramente Re Scorpione? Lo chiediamo a un esperto del periodo, Paolo Medici, laureato in Archeologia del Vicino Oriente a Venezia con tesi triennale sulla nascita della scrittura egizia e magistrale sul ruolo di Hierakonpolis nella formazione dello stato egizio, infine dottorato in Egittologia presso la Freie Universität di Berlino sulla formazione statale egizia e sull’evoluzione della complessità sociale nel periodo Pre e Protodinastico.

Baines, J. and Malek, J. 1980. Atlas of Ancient Egypt, p. 79. Disegno: Adams, B. 2008. Protodynastic Egypt, p. 8

Quale dei due?

Eh sì perché ce ne sono addirittura due! Quello che si vede nel film dovrebbe fare riferimento al secondo cioè quello della Dinastia 0 che si colloca verso la fine del IV millennio a.C, mentre il primo sarebbe un regnante Predinastico di due secoli precedente. Prima però è bene chiarire il quadro storico in cui sarebbe dovuto vivere il re Scorpione (II).

Il primo a definire il concetto di Dinastia 0 fu l’archeologo inglese James Quibell durante gli scavi condotti a Hierakonpolis. La definizione di Dinastia 0, però, presentò fin dall’inizio alcune criticità. In primo luogo suscita perplessità la scelta dei confini cronologici e la lista dei sovrani che vi figurano all’interno. Una seconda problematica riguarda la definizione stessa di dinastia che risulta impropriamente applicata a tali re. Con il termine dinastia ci si riferisce normalmente a un corpo omogeneo di governanti legati fra loro da legami famigliari e più in generale di parentela. La cosiddetta Dinastia 0, al contrario, include governanti e capi non collegati fra loro e riferibili a siti diversi e distanti, come Abydos, Buto, Helwan, Hierakonpolis, Qustul, Tura e Tarkhan. L’unico tratto ad accomunare questi personaggi è, dunque, è la cronologia: tutti i governanti elencati nella Dinastia 0 appartengono, infatti, al un periodo che va da Naqada IIIA/B a Naqada IIIC1 (circa 3350-3100 a.C.), o fino a Narmer per alcuni autori, sebbene Narmer sia spesso considerato il primo monarca della I Dinastia. I dibattiti su questi regnanti sono ancora in corso e, in particolare, il re Scorpione è uno dei più discussi; ci sono ad oggi poche prove archeologiche di questo sovrano e scarse rappresentazioni che lo ritraggono. L’unica tra queste che è collegata a un contesto reale potrebbe essere la testa di mazza di Scorpione trovata nel deposito principale di Hierakonpolis (foto in alto).

Friedman, R. 2008. The Cemeteries of Hierakonpolis, in Archeo-Nil, p. 13

Purtroppo, non sono state trovate tombe chiaramente collegate a lui, anche se alcuni autori gli attribuiscono il complesso della tomba 1 nel cimitero d’élite HK6 di Hierakonpolis (nell’immagine in alto, la tomba più a destra).

Stevenson, A. 2015. Locating a Sense of Immortality in Early Egyptian Cemeteries. In Renfrew, C., Boyd, M. and Morley I. (Eds.). Death Rituals, Social Order and the Archaeology of Immortality in the Ancient World: ‘Death Shall Have No Dominion’, pp. 371-381

L’egittologo tedesco Günter Dreyer, invece, ha sostenuto che la tomba B50 di Abydos sia il luogo di sepoltura di Scorpione. Tuttavia, non ci sono prove certe a sostegno di ciò e, come la maggior parte degli autori ritiene, non ci sono testimonianze che Scorpione avesse alcun potere su Abydos. D’altra parte, Kemp sostiene che sia Scorpione sia Narmer provenissero da Hierakonpolis.

In realtà la stessa lettura del segno dello scorpione come nome del sovrano è controversa. Vale la pena soffermarsi prima sul segno della rosetta. Quest’ultima, paragonabile alla rosetta vicino al nome di Narmer nella sua tavolozza e vicino ad altre figure dominanti su altri oggetti, indicherebbe la parola “re”, sebbene ciò non sia mai stato definitivamente dimostrato. Tenuto conto che il simbolo non è mai stato trovato in periodi successivi tra i geroglifici standard, non ci sono elementi che vengano in aiuto per la sua comprensione. Alcuni hanno avanzato anche l’ipotesi che il simbolo dello scorpione possa indicare una divinità locale di Hierakonpolis. La mancanza di documenti amministrativi che portano il suo nome ci impedisce di svelare la vera natura di questo ipotetico “re Scorpione”. Gli unici oggetti rinvenuti, ipoteticamente, riferibili a lui sono alcune placchette d’avorio trovate ad Abydos, Minshat Abu Omar e Tarkhan e recanti un simbolo estremamente stilizzato che mette in disaccordo gli studiosi. Questi si dividono su due interpretazioni: Scorpione o Ka (le braccia alzate messe in orizzontale; foto in basso).

È abbastanza chiaro che, da un punto di vista sia archeologico sia storico, permangono ancora alcune perplessità sull’esistenza di questi due sovrani. Ma cerchiamo di tirare le fila e riassumere il discorso.

Il nome Scorpione sembra fare riferimento a due possibili regnanti: uno teoricamente vissuto attorno al 3400-3200 a.C. e seppellito nella tomba U-j, mentre l’altro vissuto tra il 3200 e il 3000 a.C. e deposto ad Hierakonpolis nella tomba 1 del cimitero HK6, oppure, meno facilmente, nella tomba B50 di Abydos.

Per il primo le testimonianze sono alcune placchette ritrovate nella sua tomba con il simbolo di uno scorpione, a cui si aggiunge un’iscrizione presente nel deserto Tebano in cui è rappresentato il simbolo di uno scorpione che sconfigge non meglio identificati nemici, forse rivali del proto-regno di Naqada.

Il re Scorpione II compare invece sulla testa di mazza a cui si è precedentemente accennato, di cui però non si conosce la provenienza tombale originaria. La stessa lettura della rosetta e dello scorpione come “re scorpione” è dubbia, considerando che potrebbe essere interpretabile come un altro titolo o addirittura come una divinità locale.

In conclusione se si accettasse l’esistenza di questi due regnanti, di origine certamente egizia, allora sarebbe necessario specificare che il primo potrebbe aver avuto un ruolo legato principalmente ad Abydos, dove sarebbe anche stato sepolto, probabilmente come regnante locale quando ancora vi erano 3 proto-regni nell’Alto Egitto (Abydos, Hierakonpolis e Naqada). Il secondo re Scorpione, invece, dovrebbe aver avuto Hierakonpolis come area d’influenza e il sito HK6 come luogo di sepoltura. Nella definizione dei re Scorpioni emerge con chiarezza la complessità politica di questo periodo storico. Un momento in cui si assiste al passaggio dalla presenza contemporanea di diverse figure che esercitarono il potere su territori limitati all’accorpamento progressivo di queste entità politiche in veri e propri proto-regni. È proprio da questo magma di forze politiche in contrasto che emergerà infine la figura Narmer, che regnò sicuramente su un Alto Egitto unito, e forse anche su un Egitto completamente unificato, ma questa è un’altra storia.

Wildung, D. 1981. Ägypten vor den Pyramiden, Mainz
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Nuovo studio sulla mummia di Seqenenra Tao: il faraone sarebbe stato giustiziato dagli Hyksos

Source: facebook.com/Dr-Zahi-Hawass

Che Seqenenra Tao II abbia fatto una brutta fine è un dato piuttosto assodato. Il cranio sfondato, la mascella fratturata, la guancia recisa, il collo forato e molte altre lesioni riscontrate sulla sua mummia indicano la chiara morte violenta di uno degli ultimi faraoni (1558-1553 a.C.) della XVII dinastia. Ma un nuovo studio, pubblicato proprio oggi, sembrerebbe presentare scenari in parte inediti.

Il corpo del re fu ritrovato nella cachette di Deir el-Bahari (DB320) nel 1881 e già subito dopo lo sbendaggio, effettuato da Maspero nel 1886, attirò la curiosità degli egittologi per le ferite ancora evidenti che ne deturpavano il volto. Avendo regnato durante il II Periodo Intermedio e nel pieno dello scontro con gli Hyksos, fin dalle prime autopsie il faraone è stato spesso descritto come caduto nella guerra poi vinta definitivamente dai suoi figli e successori, Kamose e soprattutto Ahmose che, riunificando l’Egitto sotto la dinastia tebana, diede inizio al Nuovo Regno. Altri, invece, hanno parlato del risultato di una congiura di palazzo. In ogni caso, nel corso degli anni l’attenzione non è scemata e gli esami si sono susseguiti con l’uso di tecnologie sempre più avanzate, fino alla prima radiografia alla fine degli anni ’60 di James E. Harris e Kent Weeks. Come in un moderno caso investigativo, diversi studiosi hanno perfino calcolato l’angolo dei colpi inferti e sono state ipotizzate le armi del delitto, da asce, a pugnali o punte di lancia.

Elliot Smith G., The Royal Mummies CGC Nos 61051-61100, Cairo 1912, pl. II

Nell’ambito del Royal Mummies Project, progetto di studio e conservazione delle mummie reali in attesa di essere trasferite nel Museo Nazionale della Civiltà Egiziana, proprio oggi è uscito l’ultimo studio a riguardo, a firma di Zahi Hawass e Sahar Saleem, professoressa di Radiologia presso l’Università del Cairo. L’articolo mostra i risultati della TAC effettuata sul corpo di Tao II nel maggio del 2019 e della comparazione della morfologia delle lesioni con cinque armi in bronzo di epoca Hyksos scoperte a Tell el-Daba (foto in basso).

Come era noto già da tempo, la mummia è in cattivo stato di conservazione, ma non per un frettoloso processo di mummificazione come si credeva in precedenza. Al contrario, ci sarebbero tutti i corretti processi di trattamento, compreso il tentativo estetico di mascherare alcune ferite del volto con una pasta coprente. Se la mancata asportazione del cervello è una caratteristica che si riscontra anche nel caso di altri faraoni, come Thutmosi II e III, l’inusuale posizione delle braccia e delle mani sarebbe invece da imputare allo spasmo cadaverico e a una parziale putrefazione dovuta a un intervento sul corpo non subitaneo.

In generale, le tante ferite gravi alla testa portano a pensare che Seqenenra sia stato aggredito da più persone con diverse armi. Hawass e Saleem hanno perfino proposto una sequenza dei colpi, alcuni dei quali sembrano essere stati inferti dall’alto verso il basso. Secondo i due studiosi egiziani, il faraone sarebbe stato catturato in battaglia, immobilizzato e ucciso in una sorta di esecuzione da tre o più aguzzini Hyksos. Questo spiegherebbe la mancanza di fratture agli arti, che di solito si riscontrano sul campo di battaglia, e la posizione rigida delle dita e delle mani flesse sui polsi, forse legate dietro la schiena.

La prima ferita potenzialmente fatale sarebbe stata quella di 7 cm sulla fronte, inferta dall’alto verso il basso con una pesante arma da taglio, forse una spada o un’ascia egiziana. Già questo trauma avrebbe scaraventato il re sulla schiena causandone la morte. Poi sul volto si nota una serie di colpi perpendicolari, sintomo dell’accanimento sul faraone, morto o morente, con un’arma a lama più sottile, compatibile con un’ascia da battaglia Hyksos di bronzo (Figg. B-C). A questo secondo momento apparterrebbero il profondo foro sul sopracciglio destro, il taglio sulla guancia sinistra e le fratture di glabella, naso, zigomo destro e altri punti del cranio, provocate da un corpo contundente, un bastone o il manico stesso dell’ascia. Un terzo uomo avrebbe poi colpito il lato sinistro della testa infilando in profondità la punta di una lancia Hyksos (Fig. D) in corrispondenza del processo mastoideo. Se non fosse bastato quanto subito finora, anche questo colpo alla base del cranio sarebbe stato mortale per i danni provocati al midollo spinale. Infine, continuando la ricostruzione forense, che a volte sembra spingersi fin troppo in là con le ipotesi, ci sarebbe stato un ultimo uomo che, armato di coltello, avrebbe infierito sul cadavere ormai rivolto sul fianco destro.

Tutti i traumi non mostrano segni di cicatrizzazione e quindi sarebbero stati provocati peri-mortem, cioè in corrispondenza o poco dopo la morte di Seqenenra. Impossibile dire dove sia avvenuta la presunta esecuzione, anche se Hawass propone le vicinanze della fortezza di Deir el-Ballas, a nord di Tebe, punto strategico di partenza delle campagne militari verso nord del faraone. Da qui il corpo, rimasto per un certo periodo di tempo rivolto sul fianco sinistro – come dimostra lo scivolamento laterale del cervello – sarebbe stato trasportato a Tebe per la mummificazione.

L’articolo originale su:”Frontiers in Medicine”: https://www.frontiersin.org/articles/10.3389/fmed.2021.637527/full

Source: facebook.com/Dr-Zahi-Hawass
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(Ri)scoperto ad Abido un birrificio di 5000 anni

Source: Ministry of Tourism and Antiquities

La missione egiziano-americana diretta da Matthew Adams (New York University) e Deborah Fishak (Princeton University) ad Abido Nord ha individuato uno dei più antichi centri di produzione di birra su vasta scala in Egitto. In realtà, la struttura era stata scoperta già all’inizio del XX secolo, ma poi se ne sono perse le tracce a causa di una documentazione poco precisa. Ritrovata di nuovo nel 2018, nella scorsa stagione si è proceduto con lo scavo estensivo.

Il birrificio risalirebbe alla I dinastia, in partcolare al regno di Narmer a cui convenzionalmente si attribuisce l’unificazione dell’Egitto intorno al 3100 a.C. L’edificio è composto da 8 strutture seminterrate, lunghe 20 metri e larghe 2,5, ognuna delle quali è occupata da 40 vasche circolari in terracotta, disposte su due file. I contenitori hanno un diametro di 65-70 cm e una profondità di 70 cm e sono sostenuti da perni verticali in argilla disposti ad anelli. Qui la miscela di acqua e cereali veniva scaldata e fatta fermentare.

Gli archeologi americani hanno stimato che si potessero produrre fino a 22.400 litri di birra alla volta e hanno ipotizzato che una simile quantità di alcol sia da collegare in qualche modo a riti compiuti nella vicina necropoli reale, la più antica d’Egitto.

Il sito della missione: https://abydos.org/

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Un raro involucro di fango per una mummia “australiana” di Nuovo Regno

Uno studio multidisciplinare, recentemente pubblicato su PlosOne, ha rivelato una curiosa pratica funeraria finora sconosciuta su una mummia conservata in Australia: un involucro di fango a ricoprire il corpo.

Fino a poco tempo fa, si riteneva che i resti – acquistati insieme al sarcofago e donati all’Università di Sidney nel 1860 dal politico e collezionista anglo-australiano Charles Nicholson – appartenessero a una donna di nome Meru(t)ah, vissuta intorno al 1000 a.C. In realtà, le datazioni al C14 hanno indicato come la mummia – oggi conservata presso il Chau Chak Wing Museum – fosse più antica di circa 200 anni, datandola tra la fine della XIX e l’inizio della XX dinastia. Il sarcofago di III Periodo Intermedio è quindi con molta probabilità un’aggiunta dei moderni venditori per rendere più appetibile il corpo mummificato.

La ricerca diretta da Karin Sowada (Macquarie University) ha portato altri interessanti risultati, in parte confermando vecchie analisi. Già nel 1999, infatti, una TAC aveva mostrato la presenza di uno strano involucro fangoso nascosto sotto le bende di lino. Con nuove tecnologie ed esami chimico-fisici si è visto che si tratta di una serie di impacchi di lino e un composto di fango, sabbia e paglia, applicati quando erano ancora freschi, un po’ come si fa con la cartapesta. Grazie alla spettrofotometria XRF e alla spettroscopia Raman, inoltre, sono stati individuati un pigmento bianco a base di calcite su tutta la superficie e una colorazione con ocra rossa in corrispondenza del volto.

L’inedita crosta – che forse ha un solo parallelo – sarebbe servita a stabilizzare e “riparare” il corpo di una donna di 26-35 anni, probabilmente per preservarne l’integrità, fondamentale per la vita dopo la morte. La mummia, infatti, mostra diversi traumi post-mortem. A distanza di una o due generazioni, qualcuno ha cercato di risolvere così un danno all’altezza del ginocchio e della parte inferiore della gamba sinistra, forse provocato da tombaroli. Molto più recente, invece, è il restauro con perni metallici nella parte destra del collo e della testa dove ad essere intaccato è anche l’involucro di fango e lino.

Oltre allo scopo appena descritto, potrebbe esserci stata anche la volontà di replicare in maniera più economica la pratica funeraria di rivestire le mummie degli appartententi all’élite di Nuovo Regno con bende imbevute di costose resine importate.

https://journals.plos.org/plosone/article?id=10.1371/journal.pone.0245247

Source: Chau Chak Wing Museum and Macquarie Medical Imaging

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