Archivi del mese: aprile 2021

TAC individua un feto nella mummia di una donna incinta del I sec. a.C.

© Muzeum Narodowe w Warszawie, CT and X-ray by the Warsaw Mummy Project

Negli anni ’90 del secolo scorso, radiografie effettuate su una mummia conservata nel Museo Nazionale di Varsavia ne avevano identificato il sesso come maschile. D’altronde, sul relativo sarcofago si legge il nome e le cariche di un sacerdote. Ma poi, in una TAC del 2015 sulla stessa mummia, è venuto fuori un feto.

Più che a un reboot di un film con Schwarzenegger (o, per i veri cinefili, di quello con Mastroianni), si tratta semplicemente dell’ennesimo esempio dell’avanzamento delle tecnologie che aiutano sempre di più il lavoro dei ricercatori.

Il team polacco del Warsaw Mummy Project ha infatti recentemente pubblicato i risultati degli esami non invasivi (raggi-X e TAC) sulla mummia – a questo punto si più dire – di una donna tebana morta tra i 20 e i 30 anni nel I secolo a.C. Il corpo, insieme alla copertura in cartonnage e il sarcofago in legno, era stato acquistato in Egitto dal pittore e collezionista Jan Wężyk–Rudzki, che donò tutto il set al museo della capitale nel 1826. I documenti sulla provenienza non sono chiari, visto che si parla di “tombe reali a Tebe” o “piramide di Cheope a Giza”, ma i testi scritti sul sarcofago e sul cartonnage confermano l’origine tebana. Si legge infatti che il proprietario originario era Hor-Djehuty, scriba, sacerdote di Horus-Thot a Djeme, governatore reale del villaggio di Petmiten, cantante del dio Montu. I toponimi indicano l’area a sud di Medinet Habu, mentre tipologia e stile datano i reperti al I sec. a.C. Quindi è probabile che Hor-Djehuty fosse un importante funzionario del distretto amministrativo di Memnoneia (riva occidentale di Luxor) alla fine dell’epoca tolemaica. Quel che è certo è lo scambio di corpi, forse imputabile agli stessi venditori ottocenteschi.

La ricerca ha evidenziato un buon stato di conservazione dovuto anche a un’ottima tecnica d’imbalsamazione che si adatta di più a periodi precedenti. La perizia nel bendaggio, le braccia incrociate sul petto, i 4 organi interni (fegato, polmoni, stomaco e intestini) estratti, imbalsamati a parte e riposti di nuovo nell’addome sono infatti caratteristiche tipiche del III Periodo Intermedio. Tuttavia i ricercatori sono più propensi nel considerare la mummia coeva del sarcofago, soprattutto per la presenza di un rarissimo oggetto discoidale trovato in corrispondenza dell’ombellico e noto finora solo per esemplari del I sec. a.C.

Il disco non è l’unico oggetto individuato tra le bende; nonostante la mummia sia stata chiaramente depredata da ladri, ci sono almeno 15 amuleti, tra cui i classici 4 geni chiamati “Figli di Horus” sull’addome e due dischi di metallo a imitazione dei capezzoli sulle bende modellate sul seno (immagini in basso a sinistra).

Ma venendo finalmente al risultato più importante dello studio, le immagini digitali della TAC (immagini in basso a destra) mostrano un feto compatibile con una gestazione di 26-30 settimane. La testa del piccolo ha infatti una circonferenza di 25 cm ed è stata l’unica parte misurabile a causa della fragilità delle ossa. Si tratta -almeno così si legge nell’articolo – del primo caso documentato di una mummia di una donna incinta, ma non è ancora chiaro perché il feto sia stato lasciato nell’utero e non sia stato mummificato a parte come di solito accadeva. Più che a una motivazione ideologica, però, si potrebbe pensare alle difficoltà pratiche oggettive nell’estrarre un corpo ancora troppo piccolo senza danneggiare i suoi tessuti e quelli della madre.

https://www.sciencedirect.com/science/article/abs/pii/S0305440321000418


Alcuni amuleti tra le bende (Marcin Jaworski)

Raggi-X e TAC sul feto (Marcin Jaworski and Marzena Ożarek-Szilke)
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Scoperte nel Delta 110 tombe risalenti a 5500 o 3500 anni fa

Source: Ministry of Tourism and Antiquities

A Kom el-Khelgan, sito archeologico della provincia di Dakahliya nel Delta nord-orientale, la missione egiziana diretta da Sayed el-Talhawy ha individuato 110 sepolture che vanno dal Neolitico al II Periodo Intermedio. Si tratta per lo più di semplici deposizioni in fosse scavate nella sabbia, con nessuno o pochi oggetti di corredo, che si vanno ad aggiungere ad altri ritrovamenti simili effettuati nell’area nel 2019.

Le 68 tombe più antiche sono attribuibili alla cultura neolitica di Buto-Maadi (3900-3500 a.C.) e sono buche ovali in cui il morto è in posizione fetale, quasi sempre sul fianco sinistro. Inoltre, in un vaso sferico di ceramica erano conservati i resti di un feto. Risalgono invece alla fine del Predinastico, in particolare alla fase Naqada III (3500-3150 a.C.), 5 sepolture, sempre in fossa ovale nella sabbia, ma in due casi con fondo e copertura di fango. Anche in questi contesti il corredo è limitato a qualche contenitore, cilindrico o a forma di pera, e a palette votive in pietra (foto in basso a destra; no, non si è addormentato con il cellulare in mano!). Infine, facendo un salto di 1500 anni, le 37 inumazioni più recenti risalgono al II Periodo Intermedio (1650-1550 circa) e consistono in buche rettangolari dagli angoli arrotondati, con una profondità di 20-85 cm. In questo caso, i corpi sono supini con la testa orientata ad Ovest. A confermare la datazione, ci sono i simboli sulla base degli scarabei e la tipica “ceramica Tell el-Yahudiya” (foto in basso, al centro), riconoscibile non solo per la forma ma anche per le decorazioni geometriche puntinate. Particolari però sono le sepolture di alcuni bambini, tra cui uno posto in un sarcofago di ceramica, due in tombe rettangolari costruite con mattoni di fango e accompagnati da oggetti più ricchi, come orecchini d’argento e scarabei in pietre semipreziose, e un altro feto che, insieme a un piccolo vaso di ceramica nera, era posto in un contenitore più grande.

Inoltre, come si vede nella foto in alto, tra le tombe gli archeologi hanno trovato anche forni e strutture in mattoni crudi.

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Il frammento perduto dell’Obelisco di Montecitorio recuperato dai Carabinieri

Mercoledì scorso, in occasione del Natale di Roma, la puntata di “Ulisse – Il piacere della scoperta” di Alberto Angela è stata dedicata ad alcune meraviglie dell’Urbe di epoca imperiale. Tuttavia, c’è stato spazio anche per l’antico Egitto e in particolare per uno degli obelischi che ormai da secoli sono parte integrante del paesaggio della capitale. D’altronde Roma con i suoi 13 monoliti in granito – originali faraonici o fatti realizzare dagli imperatori romani – è la città con più obelischi egizi al mondo.

Nello specifico, dopo aver parlato dell’Ara Pacis, il famoso divulgatore si è recato presso la caserma “La Marmora” di Trastevere, una delle sedi del Comando Carabinieri per la Tutela del Patrimonio Culturale, e ha mostrato un recente “ritrovamento” (dal min. 17.20). Il generale Roberto Riccardi ha infatti presentato in esclusiva il recupero di uno dei frammenti dell’Obelisco di Montecitorio, “perduto dal ‘700” e restituito spontaneamente alle forze dell’ordine da un antiquario romano.

Se stupisce che di una porzione di un monumento attualmente eretto si siano perse le tracce per così tanto tempo, conviene raccontarne in breve la storia. L’obelisco ha ovviamente origine in Egitto ed è stato realizzato con granito rosa d’Assuan per volere del faraone Psammetico II (595-589 a.C.) per Eliopoli. Quasi sei secoli più tardi, però, Augusto, dopo aver conquistato l’Egitto, fu colpito dall’imponenza di questo genere di opere e inaugurò la ‘tradizione’ del trasloco dei monoliti a Roma. Così nel 10 a.C., l’imperatore fece trasportare via nave l’obelisco di Psammetico II e quello Flaminio, oggi a piazza del Popolo.

Il primo divenne lo gnomone del Solarium Augusti, la gigantesca meridiana situata nel Campo Marzio, a circa 200 metri dall’attuale ubicazione dell’obelisco che, per questo, è chiamato anche Campense. Non è chiaro quando, nel Medioevo, sia caduto. Quel che si legge nelle fonti è che nell’VIII secolo l’obelisco era ancora in piedi, per poi crollare a causa di un terremoto nel IX secolo o per il sacco dei Normanni del 1084. I suoi frammenti gradualmente furono interrati e sparirono dalla memoria collettiva fino a ricomparire all’inizio del Cinquecento nella cantina di un palazzo di Largo dell’Impresa, l’odierna Piazza di Monte Citorio.

Papa Sisto V (1585-1590) cercò invano di rinnalzare l’obelisco come aveva fatto già con quelli Vaticano (in realtà solo spostato perché è l’unico ad essere rimasto sempre in piedi), Esquilino, Lateranense e Flaminio. Ma a questo periodo risalgono le prime copie delle iscrizioni che successivamente furono studiate di persona anche dal celebre gesuita Athanasius Kircher (Obelisci Aegyptiaci: nuper inter Isaei romani rudera effossi interpretatio hieroglyphica, Roma 1666, p. 132), uno dei primi studiosi a tentare la decifrazione dei geroglifici.

A riuscire nell’impresa furono papa Benedetto XIV, che nel 1748 affidò il recupero di 5 grandi frammenti a mastro Nicola Zabaglia (illustrazione in basso), e soprattutto Pio VI che, tra 1789 e 1792, chiamò Giovanni Antinori per l’anastilosi del monolito. L’architetto, che si era già occupato degli obelischi del Quirinale e di quello Sallustiano, eresse il monumento alto 21,79 metri di fronte al palazzo della Camera dei Deputati che, in quel periodo, era la sede della Curia Pontificia e di altri istituti giuridici papali. Ma per farlo dovette colmare le vaste lacune con il granito preso dalla Colonna di Antonino Pio. Basta infatti dare un’occhiata alla foto in alto per capire quante porzioni manchino; in particolare, la base e la faccia nord – quella che dà sul Parlamento – sono completamente mancanti. È possibile quindi che alcuni pezzi siano ancora nel sottosuolo e che altri, invece, siano stati reimpiegati già dal XVI secolo.

L’estrazione dell’Obelisco Montecitorio (source: aboutartonline.com)

Almeno da come è apparso nella puntata di Ulisse, sembra che il frammento sia sparito proprio nel XVIII secolo, in occasione delle operazioni di scavo e restauro. D’altronde, è nota un’altra porzione consistente, ma in cattivo stato di conservazione, della parte inferiore dell’obelisco (215 x 63 x 12 cm), appartenuta al cardinale Stefano Borgia (1731-1804) e confluita nel 1817 nel Real Museo Borbonico (oggi Museo Archeologico Nazionale di Napoli; inv. n. 2326).

Guardando più da vicino il reperto recuperato dai Carabinieri e concentrandosi sulla dimensione minore dei geroglifici e sulla presenza di linee divisorie, che invece mancano sulle colonne superiori, si può ipotizzare che anche questo frammento, come quello di Napoli, provenga dalla base. L’attribuzione all’obelisco di Montecitorio è invece certa grazie al cartiglio con il nome “sa-Ra” di Psammetico II, accompagnato da altri geroglifici scarsamente leggibili che ho cercato di ricostruire nell’immagine qui a destra:

  • mri PsmTk anx mi ra
  • “Amato, Psammetico, che vive come Ra”

Questo brevissimo stralcio di testo mi ha permesso di accorgermi che il pezzo in realtà non è inedito. L’egittologo Sergio Bosticco, infatti, lo pubblicò nel 1957 (“Frammento inedito dell’obelisco campense“, Aegyptus 37/1, pp. 63-64), quando fu contattato dal proprietario in persona per farglielo studiare. Il frammento (24 x 44 x 20 cm) appartenenva alla collezione privata dell’avvocato conte Camillo Orlando-Castellano, figlio del più noto Emanuele, tra le altre cose Presidente del Consiglio dal 1917 al 1919.

Orlando-Castellano aveva acquistato sul mercato antiquario all’inizio del ‘900 il reperto che pare sia stato ritrovato nel XIX secolo nei pressi del luogo di caduta dell’obelisco. Lui stesso ne parla nel 1964 in un articolo su una rivista romana (“Frammento dell’Obelisco di Montecitorio”, L’Urbe 27/5, pp. 13-15), in occasione di esami effettuati per verificare la stabilità del monumento. Quindi non si tratta di una vera e propira sparizione secolare, anche se non ho idea di dove sia finito il pezzo negli ultimi 50 anni. Ma l’importante è che il frammento sia finalmente tornato alla collettività e che ora tutti possano ammirarlo.

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Presentata alla stampa la città dell’Aton abbagliante

Source: Cairo Scene

Questa mattina alle 9.00 circa, è stata presentata ufficialmente la scoperta effettuata dal team di Zahi Hawass a nord del tempio di Medinet Habu. In realtà, la notizia era stata già anticipata due giorni fa insieme alla gran parte delle informazioni, quindi vi rimando all’articolo precedente.

Tuttavia, durante la conferenza stampa sono stati comunque mostrati numerosi oggetti ritrovati in quella che è stata definita dagli archeologi egiziani la città di Tjehen-Aten (THn-Itn), “Aton abbagliante”. Questo era uno degli epiteti di Amenofi III (1388-1350 a.C.), faraone sotto il quale si sviluppò l’insediamento e il cui palazzo nel vicino sito di Malqata era chiamato proprio “Casa dell’Aton abbagliante”.

Oltre a una gran quantità di vasi, tra cui spicca la bella ceramica con decorazioni dipinte in blu tipiche della XVIII dinastia, nelle teche sono stati esposti reperti provenienti sia nella zona residenziale sia nelle tombe della necropoli più a nord: amuleti in faience e i relativi stampi in terracotta, anelli con il cartiglio di Amenofi III (Neb-Maat-Ra) e della sua regina Tiye, tavole d’offerta in calcare, oggetti di vita quotidiana, ushabti e un gigantesco persico del Nilo mummificato.


Source: Cairo Scene


Source: Cairo Scene

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Source: @MeretsegerWaset

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Source: youm7.com

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Zahi Hawass scopre* a Tebe Ovest un centro amministrativo e produttivo dell’epoca di Amenofi III

Source: see.news

Cercare un tempio e trovare un’intera “città”.

Nei mesi scorsi Zahi Hawass ha fomentato l’hype tra gli amanti dell’antico Egitto parlando di un’importantissima scoperta a Luxor. Ma se la concomitanza con un recente documentario di discovery+ avrebbe potuto far pensare a un’illustre tomba, il ritrovamento si è rivelato molto più grande, almeno dal punto di vista metrico.

La missione del celebre archeologo egiziano, infatti, da Settembre 2020 sta scavando nei pressi di Medinet Habu, il tempio funerario di Ramesse III, per trovare l’omologo santuario di Tutankhamon, ma alla fine ha individuato fortuitamente i resti di un vasto agglomerato tra Medinet Habu e la biglietteria, forse il centro amministrativo più importante di Tebe Ovest.

Il villaggio, che si estenderebbe a ovest verso Deir el-Medina e a nord fino al tempio di Amenofi III a Kom el-Hettan, risale proprio al regno di Nebmaatra (1388-1350 a.C.), come testimoniano ceramica, anelli, scarabei e il cartiglio del faraone impresso sui mattoni crudi. Lo stato di conservazione degli edifici in fango è ottimo, con mura che raggiungono i 3 metri d’altezza e diversi oggetti di vita quotidiana che sembrano essere stati lasciati piuttosto repentinamente con l’abbandono delle case (foto in basso). Infatti, dopo una fase di occupazione che copre anche la co-reggenza e i primi anni di regno di Amenofi IV (un’impronta di sigillo reca il nome del Gempaaton di Karnak), ci sarebbe stato lo spostamento verso Amarna. Tuttavia, si riscontra un ritorno nel sito con Tutankhamon e Ay alla fine della XVIII dinastia.

Questo raro contesto abitativo si divide, almeno per ora, in tre aree con un fulcro centrale che doveva avere una funzione amministrativa oltre che residenziale. Tutta la zona è recintata da un muro sinusoidale (foto in cima all’articolo) che proteggeva unità più ampie accessibili da un solo ingresso, evidentemente per controllare gli ingressi e le uscite dal quartiere.

Nella parte meridionale c’è un settore adibito alla preparazione del cibo per un ingente numero di persone. Qui, infatti, ci sono diversi forni, una panetteria, una zona cottura e un grande deposito per le stoviglie. Eccezionale è poi un ritrovamento che fornisce un preciso riferimento cronologico: un vaso contenente circa 10 kg di carne lavorata, destinata “alla terza festa Sed, nell’anno 37° di regno, dal macello del recinto del bestiame di Kha, preparata dal macellaio Iuwy”. L’iscrizione in ieratico, oltre a menzionare due abitanti della città, parla infatti del terzo Giubileo di Amenofi III, tenutosi intorno al 1351 a.C.

Source: english.ahram.com

La terza area è un centro artigianale multifunzionale. In un settore si producevano mattoni crudi usati per la costruzione di templi e annessi di Amenofi III; in un’altro si creavano amuleti ed elementi decorativi in faience. Ulteriori scorie e arnesi testimoniano attività di filatura, tessitura e lavorazione di metallo e vetro, seppur i relativi edifici non siano stati ancora individuati.

Ulteriore approfondimento necessitano anche due strane sepolture di cui non si conosce ancora la funzione. In una stanza era deposto un bovino, in un’altra un uomo con le braccia distese lungo i fianchi e soprattutto con una corda avvolta alle ginocchia (foto in basso).

Infine, a nord della città si trova un vasto cimitero la cui estensione totale è ancora da determinare poiché sono state indagate solo alcune tombe scavate nella roccia (oggetti di corredo nelle foto in basso).

Come anticipato, l’esistenza di questo centro è sicuramente da collegare ad Amenofi III e ai villaggi degli artigiani impiegati per la costruzione dei suoi templi e palazzi. Per questo potrebbe coincidere con lo sviluppo settentrionale della città-palazzo di Malqata che ebbe l’espansione architettonica definitiva proprio in occasione della terza Festa Sed del faraone. Mi viene in mente poi un’altra ipotesi sulla città di Maiunehes che, seppur citata in uno dei cosiddetti “Papiri dei ladri di tombe” (BM 10068, pubblicato in Peet, Great Tomb-Robberies of the Twentieth Egyptian Dynasty I, 1930, pp. 79-102) che è di epoca ramesside, sarebbe stata un importante centro amministrativo proprio in quella zona.

*Non nello stesso punto, ma a qualche decina di metri di distanza, già negli anni ’30 del XX secolo strutture simili con muri sinusoidali erano state individuate e attribuite da archeologi francesi a un villaggio dei tempi di Amenofi III che, probabilmente, appartiene al medesimo insediamento appena annunciato (Robichon C., Varille A., Le temple du scribe royal Amenhotep, fils de Hapou, FIFAO 11, Le Caire 1936, pl. V, XXV, XXVI) e dall’Oriental Institute di Chicago (Hölscher U., The Excavation of Medinet Habu, Volume 2: The Temples of the Eighteenth Dynasty, Chicago 1939, p. 71).

In ogni caso, la presentazione ufficiale della “scoperta” ci sarà sabato 10 aprile; si aspettano quindi ulteriori dettagli.

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I faraoni hanno una nuova casa: lo spettacolo di luci e musica della parata delle mummie reali

Si è da poco conclusa la “Pharaohs’ Golden Parade”, la spettacolare parata ufficiale che ha visto il trasferimento di 22 mummie reali dal Museo Egizio del Cairo al Museo Nazionale della Civiltà Egiziana (NMEC). Dopo che lo scorso luglio si era già proceduto a spostare 17 dei sarcofagi che li accompagnavano nelle cachette reali di Deir el-Bahari (TT320) e della tomba di Amenofi II (KV35), i corpi imbalsamati di faraoni e regine delle dinastie 17, 18, 19 e 20 hanno lasciato il luogo dove hanno riposato per oltre un secolo. In realtà l’evento era previsto per la fine del 2020 (e in effetti a dicembre avevo già trovato preparativi avviati), ma la pandemia globale ha costretto le autorità locali a rimandarlo.

Dopo una lunga fase promozionale in cui sono state mostrate le bellezze turistiche egiziane e i nuovi progetti museali in corso, il lungo corteo è partito dal Museo Egizio, ha attraversato il giardino oltrepassando i pesanti cancelli in ferro temporaneamente rimossi, ha girato intorno alla nuova istallazione di Piazza Tahrir, con l’obelisco di Ramesse II e le quattro sfingi di Karnak svelate per l’occasione, fiancheggiato il Nilo lungo la Corniche e si è mosso verso il quartiere Fustat attraverso 8 tappe. 22 vistosi carri motorizzati – in forma di barche che conducevano i defunti nell’aldilà – hanno trasportato sarcofagi dorati con le regali spoglie una volta esposte nelle Sale 52 e 56 del Museo Egizio. Sulle fiancate dei veicoli, il nome di ogni faraone e regina era scritto in geroglifico, arabo e inglese. Il ministro del Turismo e delle Antichità, Khaled el-Anany, aveva comunque rassicurato sulla sicurezza dell’operazione, dicendo che le unità che contengono le mummie, sarebbero state sterilizzate e a prova di vibrazione e che comunque i carri avrebbero raggiunto al massimo i 20 km/h.

Il percorso è stato caratterizzato da giochi di luci e laser, centinaia di ballerini e figuranti in abiti faronici, carri da guerra, cavalli e una scorta di poliziotti in motocicletta. A scandire ogni passo l’Orchestra Filarmonica Unita con brani di epica musica tradizionale araba e addirittura un pezzo in lingua antico-egiziana (un inno a Iside di epoca tolemaica dal Tempio di Deir el-Shelwit a Luxor).

Infine, le mummie sono state accolte al NMEC da 21 salve di cannone e dal presidente egiziano Al Sisi. Qui sono state inaugurate la Sala centrale e la nuova Sala delle Mummie reali. Quest’ultima in particolare, dove erano già stati collocati i 17 sarcofagi, è stata progettata per ricordare l’ingresso in una tomba nella valle del re, con un pendio da superare e una stanza dipinta di nero scarsamente illuminata. Le mummie, però, saranno esposte solo fra due settimane dopo un periodo d’incubazione e tutti i controlli del caso.

La lista delle mummie:

  • Seqenenra Tao (1560 a.C. circa, XVII din.)
  • Ahmose-Nefertari (Grande Sposa Reale di Ahmosi I)
  • Amenofi I (1524-1503, XVIII din.)
  • Ahmose Meritamon (Grande Sposa Reale di Amenofi I)
  • Thutmosi I (1503-1493, XVIII din.)
  • Thutmosi II (1493-1479, XVIII din.)
  • Hatshepsut (1479-1458, XVIII din.)
  • Thutmosi III (1479-1425, XVIII din.)
  • Amenofi II (1427-1397, XVIII din.)
  • Thutmosi IV (1397-1388, XVIII din.)
  • Amenofi III (1388-1351, XVIII din.)
  • Tiye ? (Grande Sposa Reale di Amenofi III; la cosiddetta Elder Lady della KV35)
  • Seti I (1290-1279, XIX din.)
  • Ramesse II (1279-1213, XIX din; in foto)
  • Merenptah (1213-1203, XIX din.)
  • Seti II (1203-1197, XIX din.)
  • Siptah (1197-1191, XIX din.)
  • Ramesse III (1186-1155, XX din.)
  • Ramesse IV (1155-1149, XX din.)
  • Ramesse V (1149-1145, XX din.)
  • Ramesse VI (1145-1137, XX din.)
  • Ramesse IX (1129-1111, XX din.)

Potete riguardare l’intera parata qui: https://www.youtube.com/watch?v=bnlXW7KZl0c&ab_channel=ExperienceEgypt

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Pharaohs’ Golden Parade: quando e dove si potrà vedere la sfilata delle mummie reali

Source: Egypt Today Magazine

Domani si terrà la tanto attesa parata delle mummie reali, il trasferimento al Museo Nazionale della Civiltà Egiziana (NMEC) dei corpi imbalsamati di 22 tra re e regine che attualmente si trovano presso il Museo Egizio del Cairo. Prevista inizialmente per il 15 giugno 2020, la parata è stata poi spostata al 3 aprile 2021 a causa del covid-19. L’evento è stato pensato, più che per rendere onore alle spoglie di antichi sovrani deceduti, come una celebrazione della grandezza dell’Egitto, quindi ci si aspetta uno spettacolo sfarzoso. L’aspetto promozionale della “Pharaoh’s Golden Parade” è infatti sottolineato dal fatto che sarà ripresa e trasmessa in diretta YouTube, perciò visibile in tutto il mondo.

Le mummie partiranno su speciali carri motorizzati dal Museo Egizio e arriveranno in circa un’ora alla nuova sede espositiva attraverso 6 tappe principali: il giro attorno all’obelisco di Ramesse II in Piazza Tahrir, Piazza Simon Bolivar, la sfilata lungo la Corniche del Nilo, il quartiere di Al-Sayeda Zainab, il quartiere Fustat e infine il NMEC (immagine in basso). Ad accompagnare il corteo ci saranno soldati a cavallo, ballerini e musicisti in abiti tradizionali e figuranti in costumi faraonici. A quanto pare, poi, le facciate di tutti gli edifici raggiunti è stata dipinta d’oro e a conclusione della sfilata ci saranno fuochi d’artificio e giochi di luci.

Come detto, la parata sarà in live streaming a partire dalle 18:00 del Cairo (attualmente stesso orario dell’Italia) sui canali youtube del Ministero egiziano del Turismo e delle Antichità (https://bit.ly/3dmCpp8) e dall’Agenzia egiziana per la promozione turistica (https://bit.ly/3tUErDu).

Io commenterò l’evento in diretta sul mio gruppo Telegram (https://t.me/djed_medu) e, qualora vogliate, sarete i benvenuti. Aspetto anche i vostri commenti!

  • LA LISTA DELLE MUMMIE:
  • Seqenenra Tao (1560 a.C. circa, XVII din.)
  • Ahmose-Nefertari (Grande Sposa reale di Ahmosi I)
  • Amenofi I (1525–1504, XVIII din.)
  • Meritamon (Grande Sposa Reale di Amenofi I)
  • Thutmosi I (1504–1492, XVIII din.)
  • Thutmosi II (1492–1479, XVIII din.)
  • Hatshepsut (1479-1452, XVIII din.)
  • Thutmosi III (1479–1425, XVIII din.)
  • Amenofi II (1425-1397, XVIII din.)
  • Thutmosi IV (1397-1390, XVIII din.)
  • Amenofi III (1390–1352, XVIII din.)
  • Tiye (Grande Sposa Reale di Amenofi III)
  • Seti I (1294–1279, XIX din.)
  • Ramesse II (1279-1213, XIX din; in foto)
  • Merenptah (1213–1203, XIX din.)
  • Seti II (1200–1194, XIX din.)
  • Siptah (1194–1188, XIX din.)
  • Ramesse III (1184–1153, XX din.)
  • Ramesse IV (1153–1147, XX din.)
  • Ramesse V (1147-1143, XX din.)
  • Ramesse VI (1143–1136, XX din.)
  • Ramesse IX (1125-1107, XX din.)

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