Saqqara continua a riservare sorprese. La missione diretta da Ola el-Aguizy (Università del Cairo), che scava a sud della rampa processionale della piramide di Unas, ha individuato la tomba di Ptahemuia, “Scriba reale delle divine offerte a tutti gli dèi del Basso e dell’Alto Egitto”, “Grande Sovrintendente al bestiame” e “Sovrintendente al tesoro del Ramesseo” sotto Ramesse II (1279-1212 a.C.).
Al momento sono stati liberati dalla sabbia la porta d’ingresso in calcare e un primo ambiente con i muri in mattoni crudi decorati da intonaco dipinto. Qui si conservano scene di portatori di offerta e di macellazione di bovini (foto in alto). Ptahemuia dovrebbe aver ricoperto le cariche sopraccitate dopo il più noto Tia, cognato e precettore di Ramesse II, la cui sepoltura si trova proprio nella stessa necropoli. Si possono leggere i titoli e il nome (che ho evidenziato in nero) del defunto, rappresentato seduto di fronte a una tavola d’offerta, in uno dei pilastri (immagine in basso a destra). Sono poi stati scoperti anche blocchi fuori contesto e le basi di alcuni pilastri in pietra (foto in basso a sinistra). Negli scorsi anni, sempre la stessa missione aveva scavato le tombe dei funzionari di Nuovo Regno Paser e Ptah-Mes, scoperte nel XIX secolo e poi dimenticate.
In effetti, facendo qualche ricerca, mi sono accorto che anche quella annunciata oggi è in realtà una riscoperta. La struttura era stata già largamente visitata dai cercatori di antichità e poi parzialmente documentata dal celebre egittologo francese Auguste Mariette intorno al 1858-59. Da allora, si persero le tracce dell’ubicazione della tomba. Si conserva addirittura una precocissima foto dell’assistente Théodule Devéria in cui si nota proprio l’ingresso (si veda: Staring N., The Tomb of Ptahemwia, ‘Great Overseer of Cattle’ and ‘Overseer of the Treasury of the Ramesseum’, at Saqqara, JEA 102, 2016, pp. 145-170). Potete controllare voi stessi la corrispondenza con l’architrave di sinistra (immagine in basso a destra) sul sito del Musée d’Orsay, museo parigino che conserva l’originale stampa all’albume.
Probabilmente avrete già visto questa foto. D’altronde, lo scatto è diventato virale per la presenza di una delle influencer più famose del mondo e per l’evidente accostamento cromatico tra il suo abito e il reperto egizio in vetrina. I più attenti frequentatori del blog non si saranno fermati alla sola Kim Kardashian, ma avranno riconosciuto anche il sarcofago di cui avevo già parlato in precedenza.
La foto era stata scattata durante il Met Gala del 7 maggio 2018, esclusiva raccolta di fondi del Metropolitan Museum, durante la quale le celebrity di tutto il globo ogni anno fanno a gare per sfoggiare l’outfit giusto più appariscente. Il museo newyorkese aveva da poco acquistato, per la cifra monstre di 4 milioni di dollari, il sarcofago dorato di Nedjemankh, sommo sacerdote del dio Herishef vissuto a Eracleopoli nel I sec. a.C. Fra l’altro, era proprio in procinto di lanciare una mostra temporanea dedicata al pezzo, dal titolo “Nedjemankh and His Gilded Coffin”, che è stata interrotta in anticipo il 12 febbraio 2019. A quanto pare, soprattutto a causa di questa foto.
Il Met era infatti venuto a conoscenza che il sarcofago era stato rubato in Egitto nel 2011, nonostante la documentazione – risultata falsa – fornita dalla casa d’aste parigina da cui lo aveva comprato. Il presidente e amministratore delegato del Metropolitan Museum, Daniel Weiss, si era subito scusato con il ministro delle Antichità Khaled El-Enany e con tutto il popolo egiziano, promettendo la restituzione del reperto che effettivamente è avvenuta il 1 ottobre 2019.
In un recente episodio di “Art Bust: Scandalous Stories of the Art World”, podcast del giornalista Ben Lewis, sono emersi i retroscena che hanno portato l’assistente procuratore distrettuale di Manhattan Matthew Bogdanos, specializzato nel traffico di opere d’arte, a far partire l’indagine. L’intervista è piena di particolari curiosi che permettono di ricostruire l’intricato viaggio del sarcofago, dal deserto egiziano alla Grande Mela. L’inizio, in particolare, ricollega la vicenda alla foto della dorata Kardashian. Bodganos è stato infatti contattato via mail da un’anonima gola profonda che si sarebbe irritata vedendo lo scatto ovunque sul web e soprattutto leggendo l’enorme cifra spesa per l’acquisto del pezzo.
L’informatore avrebbe ammesso di essere uno dei ladri che, 7 anni prima, avevano trafugato il reperto nell’area di Minya, 250 km a sud del Cairo, senza però ricevere la ricompensa pattuita. A prova di tale affermazione, in allegato c’era, oltre alla foto di Kim, altre 6 immagini in cui si vedeva il sarcofago appena dissotterrato e ancora sporco di fango. Complice lo scarso controllo dopo la rivoluzione del 2011, i tombaroli avrebbero gettato ignobilmente nel Nilo la mummia di Nedjemankh (di cui resta solo un dito rimasto attaccato al fondo della bara) e trasportato al sicuro il “bottino”, prima sul dorso di un asino e poi con un fuoristrada. Nel 2013 sarebbe stato spedito via nave negli Emirati Arabi Uniti ad Hassan Fazeli, un mercante di antichità della città di Sharjah, e poi – incredibilmente tramite FedEx – ad Amburgo in Germania, presso la Dionysos Gallery. Qui Roben Dib, curatore della galleria, avrebbe creato una licenza di esportazione falsa del 1971, data precedente alla promulgazione della legge 117 del 1983. Infine, il sarcofago sarebbe stato acquistato da Christophe Kunicki, esperto d’archeologia del Mediterraneo e membro del comitato della Société Française d’Égyptologie, che lo ha personalmente proposto al Met.
L’inchiesta di Bodganos ha avuto strascichi anche in Francia dove proprio Kunicki è stato arrestato insieme al marito e socio Richard Sampaire e ad altri altisonanti nomi del settore, come un ex curatore del dipartimento del Vicino Oriente del Louvre, il presidente della celebre casa d’aste Pierre Bergé & Associés e un altro banditore parigino. Tutti quanti sono risultati coinvolti nel traffico di reperti provenienti da paesi in guerra o sconvolti dalla primavera araba, come Egitto, Libia, Siria e Yemen, venduti illegalmente a privati e a inconsapevoli musei, tra cui spiccano il Louvre di Abu Dhabi e, per l’appunto, il Metropolitan di New York.
Roben Dib, curatore di una gallerie dove il sarcofago è passato, è stato arrestato ad Amburgo ed estradato in Francia dove sarà processato per traffico illegale di antichità. I reati imputati dal giudice parigino Jean-Michel Gentil sono quelli di associazione a delinquere, frode e riciclaggio di denaro. Gli investigatori francesi e statunitensi coinvolti nell’inchiesta sospettano che l’uomo abbia piazzato anche altri reperti, come i 5 venduti al Louvre Abu Dhabi per 50 milioni di dollari
Tempio di Iside a Pompei, illustrazione a “Viaggio pittoresco di Napoli e Sicilia”, Edouard Gautier-Dagoty, ca. 1781, Metropolitan Museum
Come è noto, alcuni culti nilotici travalicarono i confini egiziani e arrivarono a diffondersi, nel corso dei secoli, in tutto il bacino del Mediterraneo. Tra le divinità egizie “esportate”, la più fortunata (visto il soggetto, definizione non casuale) è senza dubbio Iside che, grazie al sincretismo delle religioni politeistiche del passato, fu spesso accolta negli altri pantheon e identificata con dee locali. Testimonianze di culti isiaci si trovano anche in Italia, praticamente dappertutto, ma il luogo in cui è individuabile il loro primo arrivo è la Campania. I mercanti stranieri che approdavano nelle floride città della costa campana, infatti, trasportavano, insieme alle merci da vendere, una religione egizia ormai filtrata dal mondo ellenistico. Le testimonianze nella regione sono quindi tante così ho chiesto a Chiara Lombardi di fare una panoramica generale, conscio della vastità dell’argomento che, qualora vogliate, si può sempre approfondire. Chiara è laureata all’Università degli Studi di Napoli “L’ Orientale” con una tesi in archeologia egiziana sul ruolo di Iside nel mondo funerario del Nuovo Regno, ha collaborato con la Princeton University per un progetto sulla collezione dei manoscritti etiopici, eritrei ed egiziani dei Miracoli di Maria (tesi triennale) e attualmente è research assistant per il prof. Emeritus M. D. Donalson (Alabama School of Mathematics and Science) e research professor in Storia delle Religioni alla Mellen University. Ha scritto diversi contributi su Iside, nonché una monografia sulla dea di prossima pubblicazione.
Le attestazioni più antiche di Egitto in Campania provengono dagli Aegyptiaca rinvenuti all’interno delle sepolture alla fine dell’VIII sec. a.C. (periodo Orientalizzante), e da una moneta di Tolemeo III Evergete rinvenuta in una tomba sannita di Casamarciano a Nola. Per i culti egiziani ufficiali bisogna attendere il pieno II sec. a.C. Di questi fa senz’altro parte il culto del dio dinastico lagide Serapide a Pozzuoli, il cui tempio è menzionato dalla Lex Parieti Faciendo (CIL X, 1781, 105 a.C.), ed è raffigurato su una fiaschetta in vetro, ora conservata a Praga, che rappresenta in modo schematico i monumenti di Puteoli (fine III/inizi IV sec. d.C.). A Cuma, il riempimento del bacino lustrale del tempio dedicato ad Iside Pelagia e/o Iside Pharia (II sec. a.C.-III/IV sec. d.C.) ha restituito, tra i vari reperti, tre statue egiziane acefale rappresentanti Iside, un sacerdote naoforo, una sfinge e una statua tenente una cornucopia o una torcia da identificarsi con Hecate, Persefone o Iside-Tyche. A Napoli è attestata una comunità alessandrina nella Regio Nilensis, di cui oggi resta la statua del dio Nilo a Largo Corpo di Napoli. Dalla capitale partenopea provengono due statue in stile ellenistico di Iside in lutto (MANN e Kunsthistorisches Museum, Vienna), una statua di Faustina come Iside (MANN) e una Iside Pelagia (Museum of Fine Arts, Budapest). A Ercolano, il rinvenimento di reperti egiziani ed egittizzanti nel vestibolo della cosiddetta Palestra (Insula Orientalis II), la grande quantità di acqua in questa zona e l’ampiezza dell’area, hanno fatto ipotizzare la presenza di un luogo di culto dedicato a Iside a monte del vestibolo, ancora sepolto dall’eruzione. Da Ercolano provengono anche una serie di affreschi raffiguranti cerimonie isiache e l’Inventio Osiridis, dei quali purtroppo si è persa l’originale collocazione. Affreschi di cerimonie isiache provengono anche dall’Iseo pompeiano, l’unico tempio dedicato ad Iside ancora esistente al di fuori dell’Egitto. A Pompei la più antica testimonianza di un Iseo è da ascriversi alla seconda metà del II sec. a.C., come ci testimoniano gli scavi ivi condotti nonché la tipologia di materiali rivenuti. La scoperta negli scavi del 1765-1766 di una coppetta a vernice nera del tipo Lamboglia 16 (I sec. a.C.) con un’iscrizione in greco potrebbe rappresentare la prima e più antica dedica ad Iside a Pompei, qualora De Caro (Novità Isiache dalla Campania, in La parola del passato. Rivista di Studi Antichi XLIX, 1994, p. 8) avesse ragione nell’integrare l’iscrizione con la parola “Εἴσιδος”, Iside. A Benevento, l’ipotesi più recente di Pirelli (Il culto di Iside a Beneventum, in De Caro S. (ed.), Il culto di Iside a Beneventum, Milano 2007, p. 12) identifica un primo tempio dedicato ad Iside “Signora di Benevento” come estensione di una cappella privata forse dedicata ad Iside Pelagia (I sec. a.C.). Il santuario voluto da Domiziano, che mescola gli stili egiziano ed ellenistico tipici dei templi dedicati a divinità egiziane fuori dall’Egitto, possedeva anche un Canopo. La collocazione del tempio è ancora dibattuta.
In tutta la Campania vi sono attestazioni di culti egiziani testimoniati da resti di sacelli privati, santuari, statuine, sistra, amuleti, ushabty, lampade ad olio, nonché un cospicuo numero di affreschi ed epigrafi, provenienti da Acerra, Avella, Boscoreale, Campi Flegrei, Capua, Carinola, Cuma, Ercolano, Napoli, Pompei, Pozzuoli, Sessa Aurunca, Sorrento, Teano. Da Miseno vi sono dediche ad Iside come protettrice dei mari da parte dei marinai della flotta; dall’area del Forum Popilii nell’Ager Falernus proviene un’iscrizione ad Iside Augusta da Caio Novio Prisco (I-II sec. d.C., CIL X, 4717), mentre da Capua il senatore Arrio Balbino dedica ad Iside definendola una quae es omnia (CIL X, 3800, I-II/ III sec. d.C.). Da Eclano una iscrizione della sacerdotessa del culto di Giulia Pia Augusta, figlia di Tito, Cantria Longina pone in forte relazione Iside e Cibele durante l’epoca Flavia (CIL IX, 1153).
Accanto a questi bisogna elencare le numerose attestazioni di quella che viene definita Egittomania, ovvero la “mania” dei Campani di utilizzare motivi egiziani/egittizzanti per decorare le ville vesuviane, tra cui si menzionano la Casa del Fauno, quella del Centenario e quella di Sallustio a Pompei e Villa Arianna a Stabiae. Riprendono invece uno stile egiziano di stampo “imperiale” le Terme Imperiali di Baia e la Villa di Agrippa Postumo a Boscoreale che ricorda la decorazione della Villa di Augusto sul Palatino.
Per concludere, potremmo identificare delle aree di culto ufficiali di tipo egiziano-ellenistico, probabilmente da riconnettersi in origine alla presenza in loco e/o legami con i Lagidi, nella zona flegrea e a Napoli, e dei culti di tipo ellenistico-romano nel resto della Campania, con le opportune modifiche dovute non sono al gusto e alla moda dell’epoca, ma anche al loro valore rituale. Anche gli Aegyptiaca rinvenuti nelle tombe del periodo Orientalizzante vanno collegati alla protezione magica usuale per questa tipologia di reperti funebri.
Due mesi fa, durante la discussa demolizionedel palazzo storico di Tawfiq Pasha Andros, edificio pericolante della fine dell'Ottocento che si trovava a due passi dal Tempio di Luxor, erano stati individuati i resti di quello che in un primo momento era stato definito un tempio di epoca romana (qui il relativo articolo).
Ora, sgomberate le macerie, gli archeologi egiziani hanno cominciato a definire con maggior precisione la pianta delle strutture, seppur i lavori non siano conclusi. Lo scavo ha rivelato la presenza di testimonianze di diverse epoche, come monete in bronzo risalenti al periodo romano e un magazzino con anfore e lucerne bizantine (V-prima metà VII sec.).
Lo scorso mese vi avevo segnalato che probabilmente a novembre potrebbe tenersi l’inaugurazione ufficiale del Viale delle Sfingi. Infatti, secondo Mostafa Waziry (in foto), segretario generale del Supremo Consiglio delle Antichità, i lavori di sistemazione della “Kebash Road” sarebbero al 98%, ma continuano a riservare scoperte archeologiche.
L’ultima risale a poche settimane fa e consiste nel ritrovamento di tre teste di ariete, scolpite nell’arenaria, appartenenti ad alcune delle sfingi che si trovano nei pressi del portale di accesso al Tempio di Khonsu, sul lato sud del recinto di Amon a Karnak. Si tratta di parti delle originarie sfingi criocefale (per l’appunto, “a testa di ariete”) posizionate da Amenofi III (1386-1349 a.C.) ai lati della via processionale che collegava il Tempio di Luxor al complesso di Karnak. A queste si aggiunsero poi quelle a testa umana volute da Nectanebo I (380-363), che portarono il numero complessivo di statue a 1350.
Durante gli scavi sono stati individuati anche altri frammenti, come un ureo sormontato da disco solare e corna, già riposizionato sulla testa di una delle sfingi (foto in basso).