traffico di antichità

Assuan, sventato il tentativo di furto di una statua colossale di Ramesse II

Source: facebook.com/MoiEgy

Notizie di scavi illegali e vendita di antichità al mercato nero sono purtroppo comuni in Egitto, ma stavolta i tombaroli si sono superati per audacia o, meglio, imprudenza. La polizia del Turismo e delle Antichità ha infatti colto in flagrante tre uomini che, armati di pala, piccone e addirittura un piccolo escavatore, carcavano di tirare fuori dalla sabbia la statua di Ramesse II nelle cave di granito di Assuan. A renderlo noto è stato il Ministero egiziano dell’Interno sui suoi social.

Il colosso, alto 3 metri e largo 1 e pesante ben 10 tonnellate, è forse il reperto più celebre dell’area archeologica dopo l’Obelisco incompiuto. Attribuita a Ramesse II, anche questa statua non fu mai completata e giace da millenni nell’area meridionale delle cave insieme ad altri oggetti appena sbozzati e abbandonati dai cavatori e artigiani. Tra questi, anche vasche di epoca greco-romana erano cadute sotto il mirino dei ladri. Il rischio del colpo, tentato in una zona turistica, e le dimensioni di un pezzo di certo non facile da piazzare fanno pensare a un furto su commissione.


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Sarcofago di Epoca Tarda restituito all’Egitto dagli USA

Source:  bbc.com

Inauguriamo il 2023 con una notizia riguardante la restituzione all’Egitto di un sarcofago illegalmente esportato negli USA. Il mercato nero di antichità, che è cresciuto esponenzialmente subito dopo la rivoluzione del 2011, ha spinto le autorità egiziane a istituire un dipartimento apposito che negli ultimi 10 anni è riuscito a recuperare circa 29.300 oggetti.

Questa volta il successo è dovuto alla collaborazione con gli Stati Uniti e in particolare al lavoro della Procura distrettuale di Manhattan, già coinvolta nelle indagini sul sarcofago dorato di Nedjemankh, finito al Metropolitan Museum, e su altri reperti egizi. Il canale attraverso cui tutti questi pezzi sono arrivati in America è infatti lo stesso e passava per la Germania. Nel caso specifico, secondo quanto riferito dal procuratore distrettuale Alvin Bragg, il sarcofago sarebbe stato trafugato nell’area di Abusir, necropoli a sud del Cairo, e contrabbandato nel 2008. Successivamente è stato prestato da un collezionista privato prima al Michael C. Carlos Museum della Emory University e dal 2013 al Museo di Scienze Naturali di Houston, Texas, che ovviamente non si è opposto al rimpatrio dopo aver appurato l’origine illegale dell’oggetto.

Il sarcofago antropoide in legno, lungo 294 e largo 90 cm, apparteneva a un sacerdote di nome Ankhenmaat, vissuto a Eracleopoli in Epoca Tarda (664-332 a.C.). Il “Green Giant”, così ribattezzato per il caratteristico colore verde del volto e per le dimensioni (il coperchio pesa circa 500 kg), in realtà era stato già restituito a settembre, ma la cerimonia ufficiale di consegna si è tenuta solo ieri al Cairo, alla presenza del ministro degli Esteri egiziano, Sameh Shukry, il ministro del Turismo e delle Antichità, Ahmed Eissa, il segretario generale del Supremo Consiglio delle Antichità, Mostafa Waziry, e di Daniel Rubinstein, l’incaricato d’affari americano in Egitto.

https://eg.usembassy.gov/u-s-embassy-egyptian-government-celebrate-the-return-of-historic-sarcophagus-to-the-egyptian-people/

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Sequestrati 5 reperti egizi venduti al Metropolitan

Ricorderete la rocambolesca vicenda dell’esportazione illegale dall’Egitto del sarcofago di Nedjemankh, scoperta per via di una foto di Kim Kardashian al Met Gala del 2018. D’allora, le indagini dell’assistente procuratore distrettuale di Manhattan, Matthew Bogdanos, specializzato nel traffico di opere d’arte, sono andate avanti e hanno investito importanti nomi del mondo del collezionismo e dei musei.

Tre anni dopo il sequestro del sarcofago dorato, le autorità hanno bloccato altri 5 reperti egizi del Metropolitan Museum di New York che, tramite un portavoce interpellato dal The Art Newspaper, si è dichiarato estraneo ai fatti, ingannato dagli indagati e pronto a collaborare con gli inquirenti.

Nel complesso, i pezzi, acquistati dal Met tra 2013 e 2015, superano il valore di 3 milioni di euro. Spiccano in particolare un ritratto del Fayyum dell’epoca di Nerone che mostra un’elegante donna con gioielli d’oro e un mantello blu (1,3 milioni €; in alto a destra) e cinque rarissimi frammenti di lino dipinto del IV-V secolo con scene dall’Esodo (1,5 milioni €) che recano la più antica raffigurazione dell’attraversamento del Mar Rosso (foto in cima all’articolo). Questi, insieme a una stele-cappella in calcare dedicata a Kemes, della XIII dinastia (250.000 €; immagine in alto a sinistra), e un’altra stele in calcare, questa volta della XXVI dinastia, (80.000 €; in alto al centro), erano stati venduti dalla Pierre Bergé & Associés, dove uno dei principali sospettati dell’indagine, Christophe Kunicki, lavorava come esperto d’arte antica. Ma come nel caso del sarcofago di Nedjemankh, la figura chiave dell’affare sarebbe stato il commerciante tedesco-libanese Roben Dib, arrestato a Parigi proprio nell’ambito dell’operazione. Dib avrebbe ceduto a nome della madre i 4 oggetti alla celebre casa d’aste parigina e, tramite una società olandese, avrebbe venduto al Metropolitan il quinto reperto sequestrato, una maschera funeraria ricavata da un sarcofago dipinto del III Periodo Intermedio (6000 €; foto in basso).

https://www.theartnewspaper.com/2022/06/01/egyptian-antiquities-connected-to-international-trafficking-ring-seized-at-metropolitan-museum-in-new-york?

Maschera di sarcofago, ph. New York District Attorney’s Office
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Nel 2021 recupertati dall’Egitto oltre 5300 reperti archeologici trafugati

Source: reuters.com

Fine anno, periodo di bilanci.

Shaaban Abdel-Gawad, coordinatore generale del Dipartimento Rimpatrio delle Antichità, ha riferito in un’intervista al canale satellitare Al-Hayat che dal 2011, dopo lo scoppio della primavera araba, sono stati recuperati circa 30.000 reperti illegalmente esportati dall’Egitto. In particolare, nel 2021 sono state oltre 5300 le antichità restituite da paesi stranieri. Gran parte dei pezzi, 5000 tra papiri, ostraka, maschere funerarie e altri frammenti di sarcofago, provengono dal Museo della Bibbia di Washington. Poi se ne contano 114 dalla Francia, 95 da Israele, 3 da Londra, 2 dall’Italia, 2 dal Belgio, 1 dal Canada e, più recentemente, 36, tra cui la testa di una statua di Sekhemet, dalla Spagna (foto in alto). A questi si aggiungono altri oggetti trafugati e finiti in Olanda, Germania, Cipro, Giordania e Libano. Ben 813 reperti, invece, sono stati sequestrati nel solo mese di novembre nei porti e aeroporti egiziani prima che lasciassero il paese.

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Come una foto di Kim Kardashian ha smascherato il traffico illegale di un sarcofago egizio

ph. LANDON NORDEMAN/NEW YORK TIMES

Probabilmente avrete già visto questa foto. D’altronde, lo scatto è diventato virale per la presenza di una delle influencer più famose del mondo e per l’evidente accostamento cromatico tra il suo abito e il reperto egizio in vetrina. I più attenti frequentatori del blog non si saranno fermati alla sola Kim Kardashian, ma avranno riconosciuto anche il sarcofago di cui avevo già parlato in precedenza.

La foto era stata scattata durante il Met Gala del 7 maggio 2018, esclusiva raccolta di fondi del Metropolitan Museum, durante la quale le celebrity di tutto il globo ogni anno fanno a gare per sfoggiare l’outfit giusto più appariscente. Il museo newyorkese aveva da poco acquistato, per la cifra monstre di 4 milioni di dollari, il sarcofago dorato di Nedjemankh, sommo sacerdote del dio Herishef vissuto a Eracleopoli nel I sec. a.C. Fra l’altro, era proprio in procinto di lanciare una mostra temporanea dedicata al pezzo, dal titolo “Nedjemankh and His Gilded Coffin”, che è stata interrotta in anticipo il 12 febbraio 2019. A quanto pare, soprattutto a causa di questa foto.

Il Met era infatti venuto a conoscenza che il sarcofago era stato rubato in Egitto nel 2011, nonostante la documentazione – risultata falsa – fornita dalla casa d’aste parigina da cui lo aveva comprato. Il presidente e amministratore delegato del Metropolitan Museum, Daniel Weiss, si era subito scusato con il ministro delle Antichità Khaled El-Enany e con tutto il popolo egiziano, promettendo la restituzione del reperto che effettivamente è avvenuta il 1 ottobre 2019.

In un recente episodio di “Art Bust: Scandalous Stories of the Art World”, podcast del giornalista Ben Lewis, sono emersi i retroscena che hanno portato l’assistente procuratore distrettuale di Manhattan Matthew Bogdanos, specializzato nel traffico di opere d’arte, a far partire l’indagine. L’intervista è piena di particolari curiosi che permettono di ricostruire l’intricato viaggio del sarcofago, dal deserto egiziano alla Grande Mela. L’inizio, in particolare, ricollega la vicenda alla foto della dorata Kardashian. Bodganos è stato infatti contattato via mail da un’anonima gola profonda che si sarebbe irritata vedendo lo scatto ovunque sul web e soprattutto leggendo l’enorme cifra spesa per l’acquisto del pezzo.

L’informatore avrebbe ammesso di essere uno dei ladri che, 7 anni prima, avevano trafugato il reperto nell’area di Minya, 250 km a sud del Cairo, senza però ricevere la ricompensa pattuita. A prova di tale affermazione, in allegato c’era, oltre alla foto di Kim, altre 6 immagini in cui si vedeva il sarcofago appena dissotterrato e ancora sporco di fango. Complice lo scarso controllo dopo la rivoluzione del 2011, i tombaroli avrebbero gettato ignobilmente nel Nilo la mummia di Nedjemankh (di cui resta solo un dito rimasto attaccato al fondo della bara) e trasportato al sicuro il “bottino”, prima sul dorso di un asino e poi con un fuoristrada. Nel 2013 sarebbe stato spedito via nave negli Emirati Arabi Uniti ad Hassan Fazeli, un mercante di antichità della città di Sharjah, e poi – incredibilmente tramite FedEx – ad Amburgo in Germania, presso la Dionysos Gallery. Qui Roben Dib, curatore della galleria, avrebbe creato una licenza di esportazione falsa del 1971, data precedente alla promulgazione della legge 117 del 1983. Infine, il sarcofago sarebbe stato acquistato da Christophe Kunicki, esperto d’archeologia del Mediterraneo e membro del comitato della Société Française d’Égyptologie, che lo ha personalmente proposto al Met.

L’inchiesta di Bodganos ha avuto strascichi anche in Francia dove proprio Kunicki è stato arrestato insieme al marito e socio Richard Sampaire e ad altri altisonanti nomi del settore, come un ex curatore del dipartimento del Vicino Oriente del Louvre, il presidente della celebre casa d’aste Pierre Bergé & Associés e un altro banditore parigino. Tutti quanti sono risultati coinvolti nel traffico di reperti provenienti da paesi in guerra o sconvolti dalla primavera araba, come Egitto, Libia, Siria e Yemen, venduti illegalmente a privati e a inconsapevoli musei, tra cui spiccano il Louvre di Abu Dhabi e, per l’appunto, il Metropolitan di New York.


Il podcast con l’intervista a Bogdanos: https://podcasts.apple.com/ca/podcast/the-golden-coffin/id1576264945?i=1000529556353


Aggiornamento (28/03/2022):

Roben Dib, curatore di una gallerie dove il sarcofago è passato, è stato arrestato ad Amburgo ed estradato in Francia dove sarà processato per traffico illegale di antichità. I reati imputati dal giudice parigino Jean-Michel Gentil sono quelli di associazione a delinquere, frode e riciclaggio di denaro. Gli investigatori francesi e statunitensi coinvolti nell’inchiesta sospettano che l’uomo abbia piazzato anche altri reperti, come i 5 venduti al Louvre Abu Dhabi per 50 milioni di dollari

https://www.theartnewspaper.com/2022/03/25/dealer-suspected-of-selling-looted-antiquities-to-the-metropolitan-museum-of-art-and-louvre-abu-dhabi-detained-in-paris

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In un appartamento di Zamalek la polizia scopre quasi 2000 reperti archeologici e oggetti della famiglia di Muhammad Ali

Source: youm7.com

Da una settimana sui media egiziani è scoppiato un dibattito su quello che è stato ribattezzato il caso della “Caverna di Ali Babà”. In un appartamento a Zamalek, il ricco quartiere centrale del Cairo, le autorità locali hanno trovato e – per il momento – sequestrato un vero e proprio tesoro composto da migliaia di gioielli, opere d’arte e antichità.

La scoperta casuale è stata effettuata quando la polizia ha fatto irruzione nella casa per un’altra operazione giudiziaria, imbattendosi in 1204 reperti archeologici – databili dal predinastico all’epoca islamica – e 787 pezzi appartenenenti alla dinastia di Muhammad Ali (1805-1952), oltre a 3707 oggetti preziosi in oro, argento, bronzo, platino, diamanti e pietre dure.

Il proprietario dell’immobile, Ahmed Abdel Fattah Hassan, è un ex vicepresidente del Consiglio di Stato e ha ricoperto incarichi giudiziari in Egitto e in Kuwait, dove attualmente risiede. Intervistato in diverse programmi televisivi, il suo avvocato ha affermato che il possesso di tale patrimonio sarebbe perfettamente legale, derivando dall’eredità dei suoi illustri parenti e dall’acquisto in diverse aste. La famiglia di Assan, infatti, comprende alcuni importanti personaggi che si fregiano del titolo onorifico di Pascià e che hanno ricoperto cariche governative durante la monarchia: il padre, Abdel Fattah Hassan Pascià, è stato ministro degli Affari Sociali sotto re Faruq, mentre il nonno, Ahmed Ali Pascià, ministro della Giustizia sotto Fuad I.

Proprio per questo, media e opione pubblica si sono spaccati tra chi vorrebbe che i reperti e le opere d’arte fossero a disposizione della collettività in un museo e chi crede che il collezionismo di antiquariato sia perfettamente legittimo se supportato dalla giusta documentazione. Ed è proprio qui, in attesa della fine delle indagini, che ci sarebbero i problemi per il proprietario dell’appartamento. Intervistato da un’emittente satellitare Sada El Balad (video in fondo), il segretario generale del Supremo Consiglio delle Antichità, Mostafa Waziry, ha sottolineato come il possesso di questi oggetti non sia stato correttamente segnalato entro i termini di legge, scaduti in questo caso alla fine del 2010. Inoltre, ci sarebbe anche un’accusa di scarsa attenzione alla conservazione dei pezzi più delicati come quelli in legno. Waziry ha poi fatto l’elenco di alcuni dei reperti archeologici della collezione, tutti valutati come autentici dagli archeologi del Ministero del Turismo e delle Antichità: oggetti predinastici di oltre 5000 anni, 24 scarabei tra cui uno di Hatshepsut e uno di Thutmosi III, due maschere funerarie della XXVI dinastia, collane del periodo faraonico, vasi in ceramica e alabastro di diverse epoche, monete, lucerne e figurine in terracotta di età greco-romana, icone copte, un raro dirham del califfo omayyade Abdel Malik ibn Marwan (685-705), ecc.

Ringrazio Phil Essam per avermi segnalato la notizia e per la traduzione degli articoli in arabo.

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Sudan, sito meroitico completamente distrutto dai cercatori d’oro

Source: Ebrahim Hamid /AFP

La Nubia è sempre stata per gli Egizi la principale fonte di approviggionamento dell’oro, tanto che il suo nome deriva da “nwb“, termine che designava in antico egiziano il prezioso metallo. Ancora oggi il Sudan è il terzo paese produttore d’oro in Africa, con un fatturato stimato per il 2019 di 1,22 miliardi di dollari.

Purtroppo, accanto alla normale estrazione aurifera, spesso si verificano azioni illegali di cercatori non autorizzati che, come in questo caso, non guardano in faccia nemmeno alle vestigia archeologiche. È di ieri, infatti, la notizia di un sito di età meroitica (IV sec. a.C. – IV sec. d.C.) completamente distrutto da escavatori meccanici. Di Jabal Maragha – un piccolo insediamento o checkpoint carovaniero nel deserto di Bayuda, 270 km a nord della capitale Khartum – rimane solo una voragine profonda 17 metri e lunga 20.

I fatti, però, risalgono allo scorso luglio quando Habab Idriss Ahmed, archeologo che scavò il sito nel 1999, e alcuni suoi colleghi si erano recati sul luogo per una visita di controllo scortati dalla polizia. Al loro arrivo avevano trovato cinque uomini che sono stati fermati ma rilasciati subito dopo. Alcuni antichi blocchi erano stati addirittura accatastati per creare un punto d’ombra.

Ma all’enorme danno si è aggiunta un’ulteriore beffa. Come affermato da Hatem al-Nour, Direttore delle antichità e dei musei del Sudan, i cercatori sarebbero stati ingannati dalla pirite presente tra l’arenaria del terreno e avrebbero scavato, seguendo i segnali del metal detector, in un punto dove di oro non c’è traccia.

https://www.msn.com/en-us/news/world/gold-hunting-diggers-destroy-sudans-priceless-past/ar-BB18hYiy

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Tombaroli scoprono muro tolemaico a Nag Hammadi

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Source: Ministry of Tourism and Antiquities

La polizia egiziana ha arrestato 4 uomini intenti a scavare illegalmente resti archeologici a Nag Hammadi, località della provincia di Qena subito a nord dell’ansa del Nilo. I fermati avevano scoperto un muro di arenaria completamente coperto da geroglifici dal chiaro stile tolemaico. La datazione della struttura, che sarà scavata da una missione archeologica del Ministero delle Antichità, è stata confermata dai cartigli di Tolomeo IV (222/221-204 a.C.).

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Source: Ministry of Tourism and Antiquities

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Inasprite le pene per chi si arrampica sulle piramidi e per chi vende/compra antichità

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ph. Mattia Mancini

Negli ultimi anni, complice anche la caccia alla viralità sul web, sempre più persone hanno provato a scalare la Piramide di Cheope per scattare spettacolari foto e girare emozionanti video. Peccato, però, che ciò sia vietato ormai dagli anni ’80, sia per la tutela del monumento sia per la sicurezza delle persone.

Per cercare di dare un freno a questa nuova tendenza, lo scorso novembre il Governo egiziano ha proposto emendamenti per inasprire le pene relative e, nel particolare, per modificare la Legge sulla protezione delle antichità n. 117 del 1983. Così ieri la Camera dei Deputati ha approvato in sessione plenaria la creazione di due nuovi articoli. Il primo dice che, per l’arrampicamento sui monumenti o l’accesso a siti e musei senza autorizzazione/biglietto, sia prevista la reclusione per un periodo non inferiore a un mese e/o una multa che va da 10.000 a 100.000 lire egiziane (584-5840 euro; cambio all’11/02/2020). La sanzione è raddoppiata in caso di violazione della pubblica morale (e qui il riferimento va dritto a uno scatto porno del 2018 sulla cima della Grande Piramide).

Il secondo articolo si riferisce alla vera piaga che affligge il patrimonio archeologico egiziano, cioè il mercato nero di antichità. Chiunque venga sorpreso a vendere, comprare o a detenere un reperto senza documenti ufficiali che ne attestino il legale possesso sarà punito con una multa che va da 1 a 10 milioni di LE (58.435-584.351 €), oltre ovviamente alla confisca del bene a alla prigione.

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Mit Rahina, scoperti blocchi del Grande tempio di Ptah

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Source: MoA

Questa mattina sono iniziati gli scavi di emergenza portati avanti dal Ministero delle Antichità in un terreno privato nei pressi dell’area archeologica di Mit Rahina, l’antica capitale di Menfi. Proprio ieri, infatti, la Polizia del Turismo e delle Antichità aveva arrestato il proprietario mentre cercava di estrarre dal fango blocchi iscritti.

In totale, sono stati recuperati 19 blocchi, in granito rosa e calcare, coperti da testi geroglifici e scene religiose che mostrano Ramesse II (1279-1213 a.C.) e in particolare il dio Ptah, protettore della città.

La presenza di questa divinità e la posizione stessa dell’area fa ipotizzare che i resti appena ritrovati appartengano a un’estensione del vicino Grande tempio di Ptah, il santuario anticamente chiamato Hut-ka-Ptah (= “Casa del ka di Ptah”) che ha dato origine con la sua forma grecizzata (Αἴγυπτος) alla parola Egitto.

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