Oltre 2000 teste d’ariete, mummificate e deposte dai fedeli in onore di Khnum in epoca tolemaica: è l’impressionante ritrovamento effettuato dalla missione dell’Institute for the Study of the Ancient World della New York University ad Abido. I crani degli animali, consacrati al dio vasaio modellatore della vita, si trovavano, alcuni ancora coperti dal lino (foto in basso), in uno dei magazzini a nord del tempio che Ramesse II (1279-1212 a.C.) fece costruire per la triade Osiride-Iside-Horus, nei pressi del più celebre santuario iniziato dal padre Seti I. Le prime tracce di questa grande forma di devozione popolare, inedita per il sito, erano state individuate dal team diretto da Sameh Iskander e da Ogden Goelet già nel 2020, quando erano emerse ossa di toro lasciate più di 20 secoli fa (332-30 a.C.), a testimonianza di un utilizzo millenario del luogo di culto. Insieme alle teste di montoni, sono stati trovati resti di pecore, cani, capre selvatiche, buoi, gazzelle e manguste.
Source: Ministry of Tourism and Antiquities
Lo scavo dell’area settentrionale del tempio ha permesso inoltre di definire meglio lo spazio occupato dal santuario e ha portato al ritrovamento di centinaia di reperti, tra statue, frammenti di papiri, resti di antichi alberi, sandali in cuoio. A quanto pare, però, l’area non fu attiva solo tra Nuovo Regno e periodo tolemaico, ma da ben prima, come testimonia un’imponente struttura in mattoni crudi risalente alla fine della VI dinastia (2200 a.C. circa) e caratterizzata da muri spessi 5 metri dall’inusuale forma (foto in basso a destra).
Durante il mese di agosto, il Ministero del Turismo e delle Antichità ha annunciato il completamento di tre importanti interventi di restauro tra Luxor e Abido. Ieri, ad esempio, è stata ufficializzata la ricostruzione del colosso di Thutmosi II, sulla facciata sud dell’ottavo pilone del tempio di Amon-Ra a Karnak. La gigantesca scultura in quarzite raggiunge i 10,5 metri d’altezza e raffigura il faraone seduto in trono (a destra nella foto in alto). Fu posizionata lì dal figlio Thutmosi III che la fece prelevare dalle cave di Gebel el-Ahmar dove era rimasta. Il lavoro rientra nel progetto di anastilosi di statue e strutture del santuario che è stato portato avanti negli ultimi anni.
Source: Ministry of Turism and Antiquities
Restando a Luxor, ma passando sulla sponda occidentale, è stata completata la pulizia di una delle stanze del Tesoro reale a sud della prima sala ipostila del tempio funerario di Ramesse III a Medinet Habu. Nello specifico, i restauratori del Ministero hanno rimosso lo sporco accumulatosi nei secoli e strati di vecchi interventi di ripristino sui muri della stanza nord-est. Sono così emersi i colori originari di scene che mostrano il faraone offrire oro e argento ad Amon-Ra e Mut (parete nord; sulla sinistra nella foto in alto e particolari sottostanti), oli e unguenti ad Amon-Ra (parete est; al centro) e mirra e olio ad Amon-Ra e Amonet (parete sud; a destra).
Un intervento simile è stato effettuato anche nel Tempio di Seti I ad Abido, più precisamente nella Cappella di Amon-Ra, la stanza centrale delle sette che si affacciano sulla seconda sala ipostila, in fondo alla struttura. Anche qui sono stati puliti pareti e soffitto, rimuovendo gli strati di polvere e fuliggine che coprivano scene del percorso della barca solare e di offerte al dio (foto in alto). Nell’ambito del progetto che prevede il restauro di tutte le cappelle, nel frattempo è iniziato il lavoro in quella di Ra-Horakhti.
La missione egiziano-americana diretta da Matthew Adams (New York University) e Deborah Fishak (Princeton University) ad Abido Nord ha individuato uno dei più antichi centri di produzione di birra su vasta scala in Egitto. In realtà, la struttura era stata scoperta già all’inizio del XX secolo, ma poi se ne sono perse le tracce a causa di una documentazione poco precisa. Ritrovata di nuovo nel 2018, nella scorsa stagione si è proceduto con lo scavo estensivo.
Il birrificio risalirebbe alla I dinastia, in partcolare al regno di Narmer a cui convenzionalmente si attribuisce l’unificazione dell’Egitto intorno al 3100 a.C. L’edificio è composto da 8 strutture seminterrate, lunghe 20 metri e larghe 2,5, ognuna delle quali è occupata da 40 vasche circolari in terracotta, disposte su due file. I contenitori hanno un diametro di 65-70 cm e una profondità di 70 cm e sono sostenuti da perni verticali in argilla disposti ad anelli. Qui la miscela di acqua e cereali veniva scaldata e fatta fermentare.
Gli archeologi americani hanno stimato che si potessero produrre fino a 22.400 litri di birra alla volta e hanno ipotizzato che una simile quantità di alcol sia da collegare in qualche modo a riti compiuti nella vicina necropoli reale, la più antica d’Egitto.
Stavano indagando un’area desertica a sud del cimitero reale di Umm el-Qa’ab, ad Abido, alla ricerca di antica attività umana, quando i membri del team egiziano diretto da Mohammed Abd el-Badi ha scorto una strana fila di buchi sulla falesia. Si tratta di una serie di aperture, tutte alla stessa altezza, che conducono a camere scavate nella roccia. Queste stanze, alte al massimo 1,20 m, sono singole o unite in gruppi di due, tre o cinque tramite finestre sulle pareti interne.
La datazione dell’insolita struttura, forse risalente al Periodo Tardo e tolemaico, è fornita dalla ceramica presente e da un unico graffito che cita il nome di un certo Khonsuenhorus, di sua madre Amenirdis e della nonna Neshorus. Per il resto, a esclusione di qualche nicchia e panca ricavate dalla roccia, non c’è nessun tipo di decorazione.
Anche la funzione è alquanto incerta. Le camere non dovrebbero essere sepolture; al contrario, secondo Matthew Adams, co-direttore della vicina North Abydos Expedition, la posizione nella Valle Sacra e la connessione a pozzi e a vene d’acqua naturali potrebbero suggerire un ruolo religioso.
Ad Abido, la missione dell’Institute for the Study of the Ancient World della New York University ha scoperto uno dei depositi di fondazione del tempio che Ramesse II (1279-1212 a.C.) realizzò per la triade Osiride-Iside-Horus dopo aver completato quello più celebre di Seti I.
I depositi di fondazione erano sepolture di oggetti rituali effettuate per consacrare un terreno prima della costruzione di un tempio o di una tomba. In questo caso, posizionato nell’angolo nord-occidentale, comprendeva offerte di cibo, vasi in ceramica – alcuni dei quali con iscrizioni in ieratico -, modellini di utensili in rame, un pestello in alabastro egiziano e targhe dipinte in verde e blu con il cartiglio del faraone. Questo ritrovamento conferma quindi l’ipotesi secondo la quale il tempio sia stato inaugurato da Ramesse II e non iniziato già dal padre.
Indagando sul lato meridionale del tempio, attorno al nuovo ambiente reale, sempre riconducibile a Ramesse II, scoperto lo scorso anno, il team diretto da Sameh Iskander e da Ogden Goelet ha individuato anche 10 magazzini in mattoni crudi che servivano alla conservazione del grano, delle offerte e degli arredi del santuario (foto in basso).
Nei muri dei magazzini erano state scavate, come testimonianza di una devozione molto più tarda, nicchie con 12 crani di tori e altre ossa sacrificali deposte nel periodo tolemaico, più un intero scheletro dello stesso animale posizionato sotto il pavimento del palazzo templare (la struttura quadrata in calcare bianco che spicca tra le mura più scure).
(*A scanso di equivoci, il nome della rubrica contiene volutamente un errore ortografico per sottolineare il carattere a dir poco ridicolo di alcune notizie riguardanti l’Egitto che circolano nel web e non solo)
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Di questa persona, forse l’ultima figura romantica nel mondo dell’egittologia, mi avete chiesto in tanti di parlare, praticamente da quando ho cominciato a scrivere sul blog. Una donna in cui coesistevano in egual misura indiscusse capacità professionali e bizzarre stravaganze new age che incuriosivano colleghi, turisti e giornalisti che la incontravano. Un personaggio che ovviamente non poteva sfuggire ai radar della trasmissione “Freedom” di Giacobbo che le sta dedicando ben due puntate (la scorsa, 11/06/2019, e quella di stasera, 18/06). Così, visto il rinnovato interesse, colgo l’occasione per far luce su alcuni degli aspetti più misteriosi della vita di Dorothy Eady,Bulbul Abdel Meguid, Bentreshyt o, come è più comunemente nota, Omm Sety (anche se potete trovare altre grafie come Omm Seti o Umm Sety), la reincarnazione di una sacerdotessa egizia.
Mummia di Seti I (Source: wikipedia.org)
Dorothy Louise Eady nacque il 16 gennaio 1904 in un sobborgo a sud-est di Londra e probabilmente avrebbe avuto un’anonima vita medio-borghese se all’età di 3 anni non fosse caduta dalle scale. Il medico chiamato a salvarla non potè far altro che appurarne la morte, ma, tornato dopo mezz’ora per preparare la salma, trovò la bambina beatamente seduta sul letto mentre mangiava cioccolata. Da questo momento in poi, la piccola Dorothy cominciò a fare sogni strani in cui vedeva palazzi con grandi colonne e un giardino con una vasca al centro. La situazione divenne preoccupante quando l’anno dopo, durante una visita al British Museum, la bambina entrò nella galleria egizia e cominciò ad abbracciare e baciare i piedi delle statue dicendo di voler “rimanere tra la sua gente”. L’ossessione verso l’antico Egitto crebbe esponenzialmente, tanto da spingere spesso Dorothy a saltare la scuola per recarsi nel museo londinese dove conobbe addirittura il celebre egittologo Ernest Alfred Thompson Wallis Budge, curatore del Dip. di Antichità Egizie e Assire, che le insegnò i rudimenti della scrittura geroglifica. Le “visioni” aumentarono sempre di più, fino ai 15 anni, quando le venne in sogno l’uomo più importante della sua vita, il faraone Seti I, che riconobbe per aver visto alcune foto della sua mummia (immagine a sinistra).
Dopo aver visitato tutte le collezioni egizie del Regno Unito e cominciato a raccogliere personalmente le antichità meno costose disponibili sul mercato antiquario, a 27 anni si trasferì a Londra per lavorare in una rivista egiziana e qui incontrò Iman Abdel Meguid, uno studente che diventerà suo marito. Così, per sposare Iman, riuscì finalmente a coronare il sogno di tornare a “casa”, nel 1933, arrivando al Cairo e assumendo il nome arabo di Bulbul Abdel Meguid. Ma il matrimonio, nonostante un figlio chiamato non a caso Sety, durò poco a causa delle stranezze della donna mal viste dai suoceri e da una proposta di lavoro che portò il marito in Iraq. Infatti, strani fenomeni di trance, scrittura automatica ed esperienze di uscita dal corpo erano ormai all’ordine del giorno, soprattutto dopo che Hor-Ra, un antico spirito egizio, le avrebbe occupato i sonni per 12 mesi consecutivi, raccontandole la sua vita passata.
Tempio di Seti I, Abido
Omm Sety sarebbe stata la reincarnazione di Bentreshyt (“Arpa della Gioia”), una giovane nata da un soldato e da una venditrice di frutta. Il padre l’abbandonò sui gradini del Tempio di Seti I ad Abido (immagine in alto), dove il sacerdote Antef la raccolse e la crebbe a sua volta come sacerdotessa di Iside. Un giorno, mentre cantava nel giardino del santuario, colpì con la sua incantevole voce il faraone che se ne innamorò. Così i due divennero amanti e Bentreshit rimase incinta nonostante il voto di castità. Il finale della storia, come spesso succede nei ricordi di vite passate, è tragico perché Antef si accorse del pancione e la spinse al suicidio dopo non essere riuscito ad estorcerle il nome del suo illustre compagno.
Labib Habachi, Omm Sety e Hānī al-Zaynī (Source: calisphere.org)
Una volta libera dagli impedimenti coniugali, Bulbul (letteralmente “Usignolo”) si trasferì a Nazlat es-Simman, villaggio a due passi dalla piana di Giza, e riuscì perfino a ottenenere un impiego, prima donna in assoluto, come disegnatrice e ispettrice per il Dipartimento delle Antichità egiziane. Essendo dipendente del dipartimento, era libera di entrare nel sito archeologico anche dopo la chiusura, effettuare i suoi riti giornalieri nei templi dell’area (ormai era diventata politeista convinta), fare offerte alla Grande Sfinge e passare notti all’interno della Piramide di Cheope. Quando perse l’affidamento del figlio, potè anche partecipare attivamente a diverse missioni archeologiche, collaborando con alcuni tra i più importanti egittologi locali: Selim Hassan, lo scopritore della tomba intatta della regina Khentkaus (Omm Sety compare nei ringraziamenti nei suoi volumi “Excavations at Gîza”), Ahmed Fakhry, direttore degli scavi nella necropoli di Dahshur e della piramide di Djedkara a Saqqara, e Labib Habachi (a sinistra nella foto in alto). In generale, si occupava di disegno tecnico dei reperti e di editing delle pubblicazioni scientifiche in inglese, di cui probabilmente era spesso la ghost writer.
Source: abydosarchive.org
La sua prima visita nell’amata Abido risale al 1952, quando passò tutta la prima notte a bruciare incenso nel tempio di Seti I. Tuttavia, è solo il 3 marzo 1956 che si trasferì definitivamente per disegnare i rilievi, catalogare i blocchi in magazzino e copiare le iscrizioni tra le rovine. Qui lavorò ufficialmente fino al 1964, per poi, dopo un breve periodo nella sede centrale del Dipartimento al Cairo, tornare come consulente e guida (a destra, il suo report mensile delle attività svolte nell’agosto 1968). Ormai anziana, Omm Sety si ritirò a vita privata solo nel 1972 a causa di un attacco cardiaco, ma continuò comunque ad accompagnare i visitatori del sito fino alla morte, il 21 aprile 1981.
Ad Abido, Omm Sety divenne molto popolare intrattenendo con i suoi curiosi aneddoti turisti e colleghi e mescolandosi, grazie a un tenore di vita molto spartano, con gli abitanti del luogo che la temevano e rispettavano. Lo stesso nome che la contraddistingue maggiormente le venne dato proprio ad Abito per sottolineare – come spesso si fa nel mondo islamico – la sua maternità (= “Madre di Sety”). Inoltre, la vicinanza con gli abitanti del villaggio le permise di condurre valide ricerche etnografiche per l’American Research Center in Egypt che mettevano in relazione gli antichi culti egizi con le tradizioni musulmane e copte contemporanee.
Omm Sety e la sua gatta (che ovviamente si chiamava Bastet)
La fama mondiale crebbe grazie a diversi articoli di giornali e a due documentari girati nel 1980, poco prima della morte: “Omm Sety and Her Egypt” per la BBC ed “Egypt: Quest for Eternity” per National Geographic (in basso). Ma la sua aurea mistica si deve soprattutto alle pubblicazioni dell’amico Hanny El Zeini che, in particolare nel libro “Omm Sety’s Egypt”, riporta diversi racconti incredibili e tutte le scoperte archeologiche che sarebbero state effettuate grazie ai suoi ‘ricordi’ della vita passata. El Zeini afferma di aver chiesto al capo ispettore di Abido se fossero vere tutte le storie che circolavano attorno a Omm Sety ricevendo come risposta che la donna era stata la protagonista materiale del ritrovamento dei giardini del tempio, nell’area del “Palazzo”, e che aveva dato un valido aiuto anche nell’individuazione della galleria del settore settentrionale del santuario (l’ingresso all’Osireion).
Ma è possibile che Omm Sety abbia veramente indicato dove scavare perché aveva vissuto in prima persona quei luoghi? O che fosse a conoscenza dell’ubicazione di importanti siti non ancora scoperti grazie ai suggerimenti di antichi personaggi apparsi in sogno? In effetti, Omm Sety diceva di avere spesso visite da Seti (tornato dall’Amduat grazie – ironia della sorte – proprio a “un permesso speciale”) che in un primo momento, nonostante i trascorsi amorosi, si sarebbe rivelato rispettoso del suo status di donna sposata ma che poi, dopo il divorzio, le avrebbe proposto un matrimonio nell’aldilà. Così come erano frequenti i colloqui con il grande Ramesse II, ricordato invece come un ragazzino irrequieto e rumoroso.
In realtà, la quasi totalità delle previsioni di Omm Sety non è mai stata verificata. In “Abydos: Holy City of Ancient Egypt” (pp. 176-178), scrisse che nel 1958 sarebbe caduta dal soffitto della Camera delle barche solari del tempio di Seti e che si sarebbe ritrovata in un ambiente colmo di casse, tavole d’offerta, teli di lino, statue d’oro con cartigli della XXVI dinastia; tuttavia, non riuscì più a ritrovare l’accesso a questa fantomatica stanza del tesoro. Era convinta anche che sotto l’edificio ci fosse una biblioteca con papiri dall’inestimabile valore storico e religioso: anche in questo caso, zero riscontri. Disse la sua perfino sulla tomba di Nefertiti che collocava nella Valle dei Re, vicino la tomba di Tutankhamon, grazie a una dritta di Seti I, nonostante questi non volesse che si trovasse perché odiava Akhenaton in quanto iconoclasta e deportatore di masse. Lo stesso Nicholas Reeves la cita nell’articolo in cui presenta l’ormai celebre teoria sulle camere nascoste nella KV62 (ma sappiamo benissimo come sia finita la questione). Altre rivelazioni, invece, sconfinano nella pura fantarcheologia, come la netta retrodatazione dell’Osireion di Abido – non più quindi cenotafio di Seti I – e della Grande Sfinge di Giza, che sarebbe stata l’effigie del dio Horus e non di Chefren.
Se poi andiamo nel particolare, la presunta scoperta del tunnel nord imputata ai ricordi di Omm Sety (e segnalata da Freedom come indizio della veridicità delle parole della donna) non è altro che la risultante dell’intuizione del celebre archeologo britannico Flinders Petrie che nel 1902 notò una depressione scavando con Caufeild il muro di recinzione del tempio di Seti I. Nel 1903, Margaret Murray, individuò l’anticamera dell’Osireion e la fine del corridoio d’accesso di cui comunque tracciò l’ipotetico andamento nella sua pubblicazione del 1904, ricongiungendosi a ciò che era stato indagato l’anno prima (immagini in basso). L’Osireion vero e proprio, invece, fu scavato da Edouard Naville tra 1912 e 1914 e poi da Henri Frankfort nel 1925.
Murray M., “The Osireion at Abydos”, 1904, tv. XV
Murray M., “The Osireion at Abydos”, 1904, tv. XVI
Un’altra grave svista della trasmissione è stata datare al 3000 a.C. i geroglifici presenti nel corridoio e considerarli tra i primi della storia egizia. Le prime attestazioni di scrittura geroglifica sono state trovate effettivamente ad Abido, ma più ad ovest, nella necropoli di Umm el-Qaab e in particolare nella tomba U-j del re Scorpione I (3200 a.C. circa). I testi che si trovano nell’Osireion, invece, corrispondono al Libro delle Porte, gruppo di formule funerarie che comparvero solo alla fine della XVIII dinastia (1300 a.C. circa), e al Libro delle Caverne, testo di età ramesside che qui ha il suo primo esempio; nello specifico – e sarebbe bastato leggere i cartigli inquadrati – ciò che è scritto alle pareti del corridoio è da collocare sotto il faraone Merenptah (1213-1203 a.C.).
Frame tratto dalla puntata di Freedom del 18/06/2019, rielaborato da M. Mancini con cartiglio di Merenptah dal Tempio di Luxor
A detta di chi l’ha conosciuta, Omm Sety non fingeva ed era fermamente convinta di quello che diceva. Molti psicologi e altri esperti hanno provato a spiegare le sue visioni con la “sindrome della falsa memoria”, estraneazione dalla realtà, danni cerebrali subiti per la caduta a 3 anni, ma credo che a posteriori, senza una vera visita medica, sia inutile parlarne. Più importante è invece sottolineare professionalità e preparazione della donna che erano confermate da altri eminenti egittologi, ma che rischiano di passare in secondo piano a causa del folklore della sua vita. Nonostante non abbia seguito una normale carriera accademica, infatti, Omm Sety comiciò a studiare storia e lingua egizia fin da piccola e poi si formò sul campo grazie a decenni di missioni archeologiche, proprio come aveva fatto Howard Carter.
È vero che – come dice l’egittologo Kenneth Kitchen – Omm Sety potrebbe essere arrivata ad alcune conclusioni esatte perché passava tutto il suo tempo nell’area archeologica di Abido, osservando, disegnando, copiando e studiando, cosa che il 99% degli altri ricercatori non potrebbe mai fare. Ma in generale, non c’è comunque alcun documento, articolo o appunto scritto che provi che lei sapesse in anticipo dove scavare. Abbiamo solo i suoi racconti a posteriori, oltre a dicerie, voci di persone a lei vicine e anonime citazioni che non hanno alcun valore scientifico. Non ci sono nemmeno conferme da parte dei suoi familiari di tutto ciò che Omm Sety raccontò sulla sua infanzia.
Resta quindi uno dei tanti esempi di persone che, forse per fuggire dalle insoddisfazioni della vita reale, immaginano di avere avuto un trascorso illustre. Quasi mai, infatti, si sente parlare di reincarnazioni di gente comune e Omm Sety non fa eccezione perché, nonostante nella scorsa puntata di Freedom si sia provato a sottolineare le umili origini di Bentreshyt, questa sarebbe stata comunque l’amante dell’uomo più potente del suo tempo. Inoltre, va aggiunto che l’antico Egitto, per il suo fascino esotico, è sempre stato terreno fertile per correnti filosofiche esoteriche e per società segrete iniziatiche che della reincarnazione hanno fatto l’elemento fondante. Curiosamente ci fu anche una concittadina e quasi coetanea di Omm Sety, la scrittrice Joan Grant, che assicurava di ricordare almeno 40 vite passate tra cui quella di Sekhet-a-Ra, sacedotessa e regina vissuta durante la I dinastia e sepolta, anch’essa, ad Abido. Questa storia, a parer suo non inventata, le servì da spunto per realizzare il suo romanzo più famoso, “Il Faraone alato” (1937).
Il tempio di Seti I con i luoghi delle “scoperte” di Omm Sety
Ad Abido, a pochi metri dal più celebre tempio di Osiride di Seti I, il santuario del figlio si ‘allarga’. A ridisegnarne la planimetria è stato il team della New York University Epigraphical Expedition che ha scoperto un nuovo ambiente reale sul lato meridionale.
Il tempio, realizzato da Ramesse II (1279-1212 a.C.) per la triade Osiride-Iside-Horus dopo aver completato quello del padre, è più piccolo e decisamente peggio conservato, ma presenta comunque interessanti rilievi e iscrizioni (come la rappresentazione della onnipresente battaglia di Qadesh o una lista di re oggi al British Museum) che sono studiati dal 2007-8 dalla missione diSameh Iskander e Ogden Goelet. La documentazione di testi e iconografie che ha portato alla pubblicazione di due volumi (I – II) si è affiancata anche a un lavoro di scavo quando, di fronte all’ingresso S-O, è stato individuato un palazzo collegato da una passerella in pietra al tempio (nell’immagine a sinistra ho segnalato in rosso l’area).
La struttura è composta da pareti in mattoni crudi e lastre di calcare, stesso materiale del rivestimento del pavimento. Inoltre, sono stati ritrovati blocchi del soffitto dipinti con stelle, la base di una colonna in arenaria e gradini che recano iscritto il nome del faraone.
La titolatura di Ramesse II è presente anche sulle pietre di fondazione che venivano posizionate ai 4 angoli dell’edificio e che sono state scoperte per la prima volta dalla missione americana.
Vittoria “egiziana” alla Borsa Mediterranea del Turismo Archeologico di Paestum. Il ritrovamento dell’Edificio della barca di Sesostri III si è infatti aggiudicato la menzione speciale di Facebook dell’International Archaeological Discovery Award “Khaled al-Asaad”, premio che raggruppa le più importanti scoperte archeologiche mondiali del 2016 e che è intitolato alla memoria dello studioso siriano barbaramente ucciso dall’ISIS a Palmira. I follower della pagina ufficiale della BMTA, tra le 5 scoperte proposte, hanno scelto quella del cosiddetto “Boat Building”, scavato dalla missione del Penn Museum (University of Pennsylvania) diretta da Josef Wegner. La camera rettangolare (21 x 4 m) in mattoni crudi con copertura a volta a botte si trova nel complesso sepolcrale di Sesostri III (1878-1841) ad Abido Sud e probabilmente serviva per ospitare la barca funeraria del faraone di cui si sono conservati solo alcuni resti lignei. Non a caso, le pareti stuccate di bianco sono completamente coperte da 120 graffiti che rappresentano imbarcazioni di diverso tipo e grandezza (da 10 a 150 cm), più alcune immagini di gazzelle, bovini e fiori (per maggiori informazioni: https://goo.gl/s6Ymxb).
Il premio vero e proprio, arrivato alla sua terza edizione, è stato assegnato da 5 riviste internazionali del settore (“Antike Welt”, “Archäologie der Schweiz”, “Current Archaeology” e “Dossiers d’Archéologie”) al rinvenimento di una città dell’Età del Bronzo nelle vicinanze del villaggio curdo di Bassetki (Iraq). La premiazione si terrà venerdì 29 ottobre alle 20:30, presso la Basilica Paleocristiana di Paestum. Ci sarò anche io, invitato dall’organizzazione insieme ad altri archeoblogger per raccontare in diretta quello che è uno degli eventi più importanti in Italia per il turismo culturale e l’archeologia. Quest’anno, fra l’altro, per rimanere in tema orientale, il ventennale della Borsa sarà celebrato con l’introduzione della lingua araba per il sito web, i social network e i comunicati stampa. D’altronde, non si può pensare al Mediterraneo senza Medio Oriente e Nord Africa.
Per chi ci sarà, ci vediamo a Paestum dal 27 al 29 ottobre (ricordo che la manifestazione inizierà giovedì 26); tutti gli altri potranno seguirmi su Facebook, Twitter e Instagram cercando @DjedMedu e l’hashtag ufficiale #BMTA2017.
Ancora uno scavo abusivo in ‘cantina’. Durante un’ispezione della polizia turistica nell’area di Beni Mansour, nei pressi dell’antica Abido, un uomo è stato colto in flagranza di reato mentre realizzava una fossa sotto la propria abitazione. Qui, a 4 metri di profondità, è stato trovato un blocco di 1,40 x 0,40 m che reca i cartigli di Nectanebo II (360-343), faraone della XXX dinastia che ha avuto un’intensa politica edilizia nella zona. Accanto al nomen e al prenomen, s’intravede anche la corona bianca del re. Secondo Ashraf Okasha, direttore generale delle Antichità di Abido, il blocco potrebbe appartenere a una cappella reale o al muro di un tempio, ma, per il momento, non è possibile verificarlo a causa del livello delle acque freatiche. Per questo, la vecchia casa in mattoni crudi è stata sequestrata per le verifiche del caso.
Mahmud Afifi, direttore del Dip. di Egittologia del Ministero delle Antichità, ha annunciato una grande scoperta effettuata ad Abido dalla missione egiziana di Yasser Mahmud Hussein: una necropoli risalente alla I dinastia. Le 15 grandi tombe in mattoni crudi (la maggiore misura 14 x 5 m), insieme a un centro abitato di oltre 5000 anni, sono state individuate 400 metri a sud del tempio di Seti I. Come è noto, Abido fu una delle più importanti città nella fase di unificazione dell’Egitto e sede delle sepolture dei faraoni del periodo protodinastico. La monumentalità di queste tombe, alcune delle quali più grandi delle mastabe reali, farebbe pensare che appartenessero ad alti funzionari legati all’ambiente della corte e, così come gli abitanti del vicino villaggio, alla costruzione del cimitero dinastico.