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“Assassinio sul Nilo”, 2022 (blooper egittologici)

Da due settimane è nelle sale italiane “Assassinio sul Nilo”, film tratto dall’omonimo romanzo (intitolato anche “Poirot sul Nilo”) di Agatha Christie e reboot di una pellicola del 1978 di cui ho già parlato sul blog. Da amante dei gialli e avendo letto il libro, aspettavo con impazienza quest’uscita, prevista per il 2020 ma rimandata a causa del Covid-19 e per strane vicende che hanno investito Armie Hammer, uno degli attori principali, accusato di molestie e addirittura di cannibalismo.

Il mio personale hype è salito anche per le buone recensioni che hanno caratterizzato il primo film della serie (“Assassinio sull’Orient Express”), sempre diretto e interpretato da Kenneth Branagh, e ovviamente per l’ambientazione egiziana. La trama infatti, senza fare troppi spoiler, gira attorno a una crociera sul Nilo del 1937, in cui sul lussuosissimo piroscafo Karnak la ricca ereditiera Linnet Ridgeway (Gal Gadot) trascorre la luna di miele con il marito Simon Doyle (Hammer). Tuttavia, durante il viaggio che, dal Cairo ad Abu Simbel, tocca alcuni tra i luoghi più iconici d’Egitto, si verificano dei delitti che il celebre investigatore belga Hercule Poirot (Branagh) dovrà risolvere indagando tra tutti i presenti, ognuno dei quali mostra possibili motivi per uccidere. Inutile mentirvi: chi ha letto il romanzo sa già come andranno più o meno le cose, seppur ci siano parecchie modifiche alla trama originaria. Il flash back introduttivo e il finale sono completamente inventati; alcuni fatti sono stati tagliati, stirati, compressi o completamente reinterpretati; il cast ha subito uno sconvolgimento figlio della recente – imposta e forse ipocrita – attenzione hollywoodiana alle minoranze. Se infatti i personaggi di Agatha Christie sono tutti bianchi e ricchi – o almeno presunti tali -, testimoniando la società colonialista europea dell’epoca, nel film alcuni importanti ruoli sono affidati ad attori di colore e viene presentata una relazione omosessuale tra due donne che nel romanzo non esiste. In tutta questa reinterpretazione è stato eliminato anche Guido Richetti, l’unico archeologo e per giunta italiano. Un’altra ‘novità’ introdotta dal regista è l’estesa esplorazione dell’animo e dei turbamenti di Poirot, a discapito dell’approfondimento degli altri personaggi e dell’ambiente circostante.

Per assurdo, infatti, proprio per questo motivo c’è pochissimo Egitto in “Assassinio sul Nilo”.

Da appassionata della storia del Vicino Oriente e avendo sposato in seconde nozze l’archeologo Max Mallowan (apprendista di Leonard Woolley nel sito di Ur), Agatha Christie frequentò diversi cantieri di scavo in Iraq e Siria e visitò più volte l’Egitto. Ne derivano una grande attenzione nella narrazione delle ambientazioni archeologiche orientali che si ripetono spesso nelle sue opere (“Non c’è più scampo”, un’altro romanzo su Poirot intitolato nell’originale “Murder in Mesopotamia”; sempre su Poirot, la storia breve “La maledizione della tomba egizia”; il giallo ambientato nella Tebe del 2000 a.C. “C’era una volta”; l’opera teatrale “Akhnaton”) e una minuzia di particolari nella descrizione di luoghi che la scrittrice visse in prima persona.

Questa atmosfera si respira nel film di Guillermin del 1978, dove gli attori si muovono effettivamente tra piramidi e templi; nella versione di Branagh, invece, non ci sono scene girate in Egitto e ci si deve accontentare di una brutta computer grafica o al massimo di ricostruzioni in teatri di posa. Inizialmente la produzione aveva pensato di andare in Egitto, per poi virare, visto le difficoltà riscontrate, verso gli Atlas Studios in Marocco (dove sono state girate alcune pellicole di cui mi sono occupato, come “La Mummia“, “Asterix & Obelix – Missione Cleopatra“, “Exodus – Dei e re“); ma alla fine si è deciso di restare in Inghilterra.

Uno scorcio impossibile a Giza

Se nel 1978 Peter Ustinov & Co. sono stati filmati sulla vera nave PS Sudan, a cui la Christie si ispirò per la Karnak, e nello storico Old Cataract Hotel (Sofitel Legend) di Assuan, nella versione del 2022 abbiamo monumenti e paesaggi in palese CGI o attrazioni da parco dei divertimenti. Il sito di Giza sembra lo sfondo di un videogame con evidenti licenze sulla posizione della sfinge – troppo vicina alle piramidi – e simmetrie forzate (basti guardare la piramide di Micerino che è un duplicato speculare di quella di Cheope; immagine in alto). Gli edifici dell’isola di File appaiono troppo piccoli. Ma i principali errori si trovano nella resa del Tempio Maggiore di Ramesse II ad Abu Simbel che, come dicevo, in alcune inquadrature sembra più “Ramses il risveglio” di Gardaland. La struttura interna è completamente inventata, con giganteschi mascheroni del faraone e piani superiori che fanno gioco alla sceneggiatura. Segnalo soprattutto una specie di terrazzo panoramico tra i due colossi di destra, che non esiste nella realtà, dove i due sposini salgono grazie a una scalinata nascosta per trovare un po’ di intimità… se non fosse per… (immagine in basso).

Da non considerare invece le castronerie che i vari personaggi dicono visitando i siti archeologici: la mastaba di Nefertari, le 8 spose di Ramesse II o le regine che sarebbero state sepolte vive insieme ai faraoni non sono errori storici da imputare agli sceneggiatori ma le classiche chiacchiere che i turisti si scambiano quando conoscono poco la materia egittologica. Ho sentito di peggio.

Infine, anche se capisco il facile riferimento, trovo leggermente ridicola la scena conclusiva con i cadaveri delle vittime portati giù dal battello bendati come mummie, perfino con le braccia incrociate.

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“Assassinio sul Nilo”, 1978 (blooper egittologici)

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Prima di presentare il film, questa volta voglio farvi notare la splendida locandina di Richard Amsel, illustratore che ha realizzato, tra le altre, anche quelle di “Apocalypse Now”, “La Stangata”, “Superman” e “Indiana Jones e i Predatori dell’Arca Perduta“; un vero artista le cui opere pop sono esposte anche presso la National Portrait Gallery di Londra.

10491989_663977223689799_6741668747749051745_nTorniamo a noi. “Assassinio sul Nilo” è un classico del cinema giallo del 1978, diretto da John Guillermin (diventato famoso per il remake di “King Kong”) e ispirato al romanzo di Agatha Christie“Poirot sul Nilo” (il titolo originale è “Death on the Nile”). La scrittrice britannica ambientò molti dei casi del celeberrimo investigatore belga in luoghi esotici orientali; non a caso. Infatti, aveva sposato in seconde nozze un archeologo, Max Mallowan (apprendista di Leonard Woolley nel sito di Ur), che accompagnò nelle campagne in Siria e Iraq (a sinistra, i due si trovano proprio in Egitto). A lei stessa viene attribuita la celebre frase «un archeologo è il marito migliore che una donna possa avere: più lei invecchia, più lui la troverà interessante». In questo caso, le indagini di Poirot hanno come sfondo le affascinanti terre che si affacciano sul Nilo, dal Cairo fino al Sudan. La scenografia è, di fatto, la cosa più bella del film con scorci di deserto e di siti archeologici che s’inseriscono tra un delitto e l’altro. Per il resto, la pellicola non è memorabile, nonostante abbia ricevuto un premio oscar per i costumi e si possa fregiare delle musiche di Nino Rota (compositore del “Padrino” e di “Amarcord”) e di un cast stellare con grandissimi attori come Peter Ustinov (Hercule Poirot), David Niven, Mia Farrow, Bette Davis e, rimanendo in tema, la “Signora in giallo” Angela Lansbury.

La trama ruota intorno alle indagini di Poirot e, quindi, è sfiorata solo marginalmente da ciò che riguarda la civiltà egizia dandomi modo, per questa volta, di segnalare gli errori, pochi a dir la verità, senza fare troppi spoiler.

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Siamo negli anni ’30 e la giovane ereditiera inglese Linnet Ridgeway sposa il bello e squattrinato Simon Doyle rubando letteralmente il fidanzato all’amica Jacqueline De Bellefort.  I due decidono di fare una crociera sul Nilo come viaggio di nozze e, come sempre per i film ambientati in Egitto, le prime inquadrature riprendono la piana di Giza, la Grande Piramide e la Sfinge. I neo-sposini cavalcano tra le rovine e si arrampicano sulla piramide di Micerino (hanno scelto la più bassa, pigri…), ma vengono interrotti da Jacqueline in cerca di vendetta che fornisce alcune misure sbagliate della struttura (altezza di 68 m invece dei 65,5 originali o dei 62 attuali e la base di 118,5 al posto di 103,5). Devo essere pignolo perché non ci sono molti blooper. In ogni caso, già al Cairo cominciamo a conoscere i personaggi e futuri indiziati/vittime che, per un motivo o l’altro, sembrano tutti odiare l’antipatica Linnet.

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La compagnia, che comprende anche il detective, prende il battello a vapore Karnak che dovrebbe partire dalla capitale, ma alle spalle dell’imbarcadero si vede chiaramente il bel palazzo vittoriano dell’Old Cataract Hotel di Assuan (nell’immagine in alto a sinistra), oltre 800 km più a sud. La prima tappa del viaggio corrisponde a Luxor, dove il gruppo visita il tempio di Karnak (a destra si vede il portico di Sheshonq I nella Grande Corte e le criosfingi di Amenofi III). Durante la passeggiata, Poirot osserva attento i comportamenti di tutti e stuzzica l’avvocato Pennington, interessato al denaro della Ridgeway, raccontandogli una storia completamente inventata sull’antico Egitto: il Gran Visir Takotep sarebbe stato giustiziato sotto il peso di mille monete d’argento perché si era appropriato dei beni del faraone. Nella Grande Sala Ipostila (che il dott. Bessner, controverso medico svizzero, data erroneamente al 1788 a.C., quando, invece, la struttura venne iniziata da Hatschepsut, circa 300 anni dopo), avviene il primo tentativo di omicidio, ma il masso lanciato dalla cima di una colonna non riesce a colpire la coppia di sposi che, ripresisi dallo spavento, decidono di arrivare al tempio di Abu Simbel in serata. E’ ovvio che, senza un’aereo privato, l’intenzione sarebbe stata impossibile da realizzare negli anni ’30 perché il sito è distante 470 km in linea d’aria da Luxor, ma Linnet e Simon arrivano comunque al cospetto delle statue colossali di Ramesse II, in tempo per sentir “parlare” il colosso di destra. Evidentemente, gli sceneggiatori si erano confusi con i Colossi di Memnone, le due statue del tempio funerario di Amenofi III a Kom el-Hettan che, secondo la leggenda, all’alba (e non al tramonto) emettevano strani lamenti. Rispunta di nuovo Jacqueline con i suoi dati imprecisi: larghezza della facciata 26 m (in realtà 33 ) e altezza delle statue 22,5 (20).

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Nella notte, il battello riparte verso Wadi Halfa, città del Sudan del nord oggi sul Lago Nasser, ma Linnet viene uccisa con un colpo di pistola alla tempia. Al contrario di quello che dice il titolo italiano, non sarà l’unico omicidio, così Poirot inizia le indagini aiutato dall’amico colonnello Race. Ogni mistero è dipanato e, come da tradizione, tutti i sospettati vengono convocati in una stanza dove l’investigatore spiega gli indizi e i ragionamenti che lo hanno portato a capire che il colpevole è… beh, guardatevi il film per saperlo.

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