Articoli con tag: Alessandria d’Egitto

Alessandria, scoperto mosaico di epoca romana

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Source: MoA

A Kom el-Dikka, sito di Alessandria d’Egitto noto per il teatro romano, la missione egiziano-polacca diretta da Grzegorz Majcherek (Centro di Archeologia Mediterranea, Università di Varsavia) ha scoperto un nucleo di abitazioni, databili soprattutto tra il I e il III sec. d.C., di cui una con un pavimento in mosaico perfettamente conservato.

Il mosaico policromo si trovava nel triclinio, l’ambiente più importante della casa dove si consumavano i pasti e s’incontravano gli ospiti. Lo schema decorativo prevede un cerchio iscritto in un quadrato con cornici a guilloché, in cui sette esagoni con rosette e fiori di astragalo sono inquadrati da quattro fiori di loto.

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Alessandria d’Egitto, scoperte tombe di epoca tolemaica

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Source: Luxor Times Magazine

Ancora tombe casualmente scoperte ad Alessandria d’Egitto nel bel mezzo di cantieri edili. Ma, questa volta, non c’è alcuna possibilità di tirare in ballo a sproposito Alessandro Magno perché le sepolture sono piuttosto modeste e mancano sarcofagi. Il ritrovamento, come detto, è stato effettuato durante lo scavo per la realizzazione di un muro inerente agli edifici della ferrovia che passa a el-Zeytoun, nei pressi della stazione centrale della città.

Gli archeologi diretti da Fahima El Nahas hanno così identificato alcune tombe scavate nella roccia risalenti all’epoca tolemaica, ma utilizzate a lungo anche in periodi successivi. La struttura comune prevede una breve scalinata che conduce a una piccola anticamera e alla camera rettangolare su cui si affacciano i loculi, molti dei quali ancora sigillati da uno strato d’intonaco dipinto. Il corredo funebre presenta diversi contenitori ceramici, da anfore a vasi più piccoli, lucerne e ampolle di vetro. Presenti anche i resti ossei dei defunti sepolti che sono comunque stati disturbati già negli anni ’30 del secolo scorso dai lavori di costruzione della ferrovia e poi dai bombardamenti aerei della seconda guerra mondiale.

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Scoperte tombe greco-romane ad Alessandria d’Egitto

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Source: MoA

Ad Alessandria d’Egitto, archeologi locali hanno scoperto una serie di tombe rupestri risalenti all’epoca greco-romana. Il ritrovamento è stato effettuato nella necropoli di Al-Abd, nella parte orientale della città, più nota per la presenza dei resti di un teatro ellenistico e per le polemiche scaturite tre anni fa in occasione della demolizione di sepolture scavate nel 2013.

Ibrahim Metwally, direttore della missione che lavora nell’area, ha riferito che negli ipogei si trovavano diversi contenitori ceramici e lucerne figurate (vedi foto in basso). Ma il reperto più significativo è una lapide di chiusura (immagine a sinistra)  decorata con un rilievo in gesso dipinto: due lesene inquadrano una facciata di tempio composta da una scalinata d’accesso verso una porta chiusa e due colonne che reggono un architrave a gola egizia con disco solare alato.

 

 

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Ritrovamenti archeologici ad Alessandria d’Egitto

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Source: MSA

Nell’arco di pochi giorni, sono state annunciate due scoperte effettuate nella città di Alessandria. Il ministro delle Antichità oggi ha visitato la missione egiziana nel quartiere di Moharam Bek, dove è stato scavato un pavimento di età romana in opus spicatum (foto in alto), tipologia che prevede la disposizione di laterizi di taglio a spina di pesce. Queste strutture erano utilizzate per esterni o ambienti di servizio; non a caso, l’area di Hend era già nota per la presenza di centri produttivi dell’epoca con forni per ceramica e vetro.

Poche centinaia di metri più a nord, intorno ai Giardini Shallalat, una squadra greca ha individuato un tunnel scavato nella roccia a una profondità di 10 metri, dove sorgevano i Quartieri reali della corte tolemaica. Non sono stati forniti altri particolari. La missione, diretta da Calliope Papakosta, lavora qui ormai da 21 anni e fa capo a un’istituzione privata, l’Hellenic Research Institute of the Alexandrian Civilazation (H.R.I.A.C.), che si occupa della diffusione della cultura ellenistica al di fuori della Grecia.

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Source: newsbeast.gr

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MOSTRA: “Il Nilo a Pompei. Visioni d’Egitto nel mondo romano” (Museo Egizio di Torino)

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La scorsa settimana sono tornato al Museo Egizio di Torino e, con l’occasione, ho visitato la tanto attesa mostra “Il Nilo a Pompei. Visioni d’Egitto nel mondo romano”. Non a caso, come prima tappa del progetto “Egitto-Pompei”, l’esposizione, in poco più di due mesi dall’inaugurazione (5 marzo), ha raggiunto le 80.000 presenze per merito di un’intelligente campagna pubblicitaria e un argomento molto in voga negli ultimi anni: l’influenza dell’Egitto sulle culture del Mediterraneo e, in particolare, sul mondo romano. Come è chiaro dal titolo, l’attenzione è focalizzata sui siti campani che, come vedremo, sono stati i primi in Italia ad accogliere culti nilotici. Il visitatore si trova a compiere un viaggio dall’Egitto faraonico alla Roma imperiale, passando dall’Alessandria tolemaica e dalla Grecia arcaica e classica, attraverso più di 300 reperti provenienti da 20 musei italiani e stranieri (tra cui, 40 dal Museo Archeologico Nazionale di Napoli e 10 dal Museo del Sannio) esposti nei nuovi spazi al terzo piano (circa 600 m²) intitolati alla memoria di Khaled al-Asaad. Appare ovvio che un percorso del genere non sia sempre così facile da comprendere; d’altronde, nemmeno i Romani capirono a pieno l’essenza dei culti che avevano recepito dall’Oriente. Per questo, conviene prepararsi alla visita, leggere bene le didascalie e le citazioni riportare sui muri e concentrarsi più sul complesso che sul singolo reperto. Io ho avuto la fortuna di contare sulla presenza dei curatori della mostra, i dott.ri Federico Poole e Alessia Fassone, che hanno gentilmente fornito interessanti informazioni sull’organizzazione e sulle scelte a monte dell’esposizione.

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Sala 1: L’Egitto e il mondo greco

Il percorso inizia con una sala piuttosto eterogenea per temi trattati e reperti esposti. Si tratta di un’introduzione che spiega i primi contatti, commerciali e culturali, tra l’Egitto e l’area dell’Egeo e il resto del Mediterraneo a partire dalle influenze minoiche riscontrate in una giara scoperta a Deir el-Medina fino agli aegyptiaca ritrovati nelle tombe italiche durante il “periodo orientalizzante” (VIII-VI sec.). Ciò che salta subito all’occhio è l’accostamento del cosiddetto Apollo Milani e una statua di faraone/dio di età tolemaica che da un lato evidenzia le somiglianze formali tra la statuaria egiziana e quella greca arcaica, dall’altro ne sottolinea le profonde differenze ideologiche. Il resto delle sculture presenti serve a sfatare un luogo comune che persiste dai tempi di Platone secondo cui l’arte egizia è sempre stata uguale per millenni.

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Sala 2: Osiride, Iside e la leggenda osiriaca

La principale causa della presenza di oggetti egiziani o egittizzanti in contesti romani è l’adozione nel pantheon classico di Iside e altre divinità nilotiche. Così, nella seconda sala, la più prettamente egittologica, vengono presentati i miti religiosi originali prima che fossero modificati dall’interpretatio graeca e romana. Troverete quindi statue della triade Iside-Osiride-Horus e papiri che illustrano il loro ruolo nell’immaginario egiziano (nella foto, il Libro dei Morti di Hor, XXVI din.), oltre a un sarcofago di XXI dinastia decorato con scene cosmogoniche. Presente anche uno dei capolavori del Museo Egizio, la statua di Iside-Hathor da Coptos che, di solito, dà il benvenuto ai visitatori al piano interrato, ma che è stata temporaneamente sostituita dall’Iside Pelagia da Pozzuoli, troppo pesante per il pavimento soppalcato del 3° piano.

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Sala 3: Serapide e Iside

Come anticipato, l’Egitto conosciuto dai Romani era quello tolemaico di Alessandria e gli oggetti che arrivarono nella penisola italica risultano spesso decontestualizzati e mal interpretati. Gli stessi dèi subirono una trasformazione che li adattò alla cultura d’adozione e li identificò con figure olimpiche. Abbiamo così gli accostamenti di Iside con Afrodite o con Fortuna, di Anubi o Thot con Hermes, di Amon con Giove, di Arpocrate con Eros ecc. Il simbolo di questo sincretismo, che testimonia un’apertura mentale maggiore rispetto ai moderni monoteismi, è Serapide, dio creato ‘a tavolino’ da Tolomeo I per fondere la tradizione egiziana con la nuova componente greca e che, non a caso, ebbe templi consacrati in tutto l’impero. La quarta sala -la più interessante secondo me- illustra proprio l’evoluzione di questi culti che, diventati misterici, arrivarono intorno alla fine del II sec. a.C. nei siti costieri campani come Pozzuoli e Cuma.

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Sala 4: L’Iseo di Benevento

Più tarda, invece, è l’attestazione della venerazione di Iside a Benevento dove probabilmente si trovava uno degli isei più importanti fuori dall’Egitto. Il condizionale è d’obbligo perché l’edificio non è mai stato individuato, ma la sua presenza nel Sannio è nota già nel 1826, quando Champollion in persona tradusse i geroglifici di due obelischi ritrovati in zona. Il testo, infatti, dice che il tempio fu costruito nell’88-89 per celebrare la vittoria in Dacia di Domiziano (forse rappresentato come faraone nella statua a sinsitra). Iside era diventata la divinità tutelare della dinastia flavia e il ritrovamento in zona di diverse statue importate dall’Egitto (sfingi, sacerdoti, Thot cinocefalo, Osiride-Canopo, Iside Pelasgia, Horus, toro Api) ne attesta l’importante ruolo diventato politico. La particolarità del santuario, che lo discosta dagli altri isei/serapei, sta nell’apparato decorativo che non è tipicamente romano, ma s’ispira a quello tradizionale egiziano.

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Sala 5: Il culto di Iside a Pompei

Infatti, l’iseo di Pompei, ad esempio, perse tutte le caratteristiche egiziane. Il tempio, scoperto nel 1764, sia nell’architettura che nella decorazione, può essere considerato pienamente romano, come si vede dalla scena in alto che si riferisce al mito di Io accolta da Iside a Canopo (affresco asportato dal cosiddetto ekklesiasteiron). Lo stato attuale dell’edificio risale agli interventi del liberto Numerio Popidio Ampliato che lo fece ricostruire completamente dopo il terremoto del 62 d.C., ma il nucleo originario è collocabile intorno al 100 a.C. Dal culto pubblico, si passa poi a quello privato attestato dal ritrovamento di un centinaio di statuine in bronzo o argento di Iside, Serapide, Arpocrate, Bes e Anubi che erano poste nei larari, piccoli tempietti domestici presenti in quasi tutte le case di Pompei.

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Sale 6, 7, 8: La Casa del Bracciale d’Oro, la Casa di Octavius Quartius e altre domus pompeiane

Tuttavia, nella città vesuviana, l’Egitto non era legato solo alla sfera religiosa. Oggetti egittizzanti o scene nilotiche esprimevano una vera e propria egittomania scoppiata dopo la vittoria di Ottaviano ad Azio nel 31 a.C. Sfingi, coccodrilli, pigmei diventarono semplici espedienti per rendere più esotica la propria dimora (come le statue poste ai lati del lungo canale nel giardino della Casa di Octavius Quartius; a destra nella foto) ma anche un simbolo propagandistico, in età augustea, per la celebrazione della conquista di un nuovo territorio. A quest’ultimo caso si riferiscono le splendide pitture del triclinio estivo della Casa del Bracciale d’Oro (a sinistra) che, pochi giorni fa, sono state raggiunte da un altro affresco con sfingi tornato in Italia -insieme a una rara statua di Hermes-Anubi da Cuma- dopo essere stato esposto a Madrid nella mostra “Cleopatra y la fascinación de Egipto”.

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Sala 9: Iside in Piemonte. Il sito di Industria

Il percorso termina chiudendo idealmente un circolo con il ritorno a Torino o, per la precisione, a 30 km dal capoluogo piemontese. L’ultima sala, infatti, è dedicata al sito di Industria, nell’attuale Monteu da Po, colonia romana fondata nel 124-123 a.C. L’insediamento era dedito al commercio e alle attività artigianali, in particolare alla lavorazione del bronzo. Qui, la presenza di numerosi bronzetti a tema egittizzante è stata spiegata con la scoperta, nel 1809, di un Serapeion di età augustea-tiberiana restaurato sotto Adriano.  Il tempio è stato identificato grazie ad alcune fonti epigrafiche, come una lastra bronzea del II sec. d.C. (a sinistra il rilievo) dedicata a Lucius Pompeius Herennianus, patrono del collegio dei pastophoroi (i sacerdoti preposti al culto di Iside).

 

 

 

Detto questo, consiglio caldamente di visitare la mostra perché, al di là del mio interesse personale per l’argomento, illustra con chiarezza le dinamiche che hanno portato la società romana a inglobare aspetti della cultura faraonica e, di conseguenza, spiega come mai tanti musei nostrani espongano reperti egizi o egittizzanti ritrovati in Italia. Avete tempo fino al 4 settembre (prorogata fino al 2 ottobre): http://www.museoegizio.it/nilo-pompei/

(Ringrazio Liliana Coviello per le foto)

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“L’Egitto di Provincia”*: i bronzi ellenistici di Palazzo Strozzi e del Museo Archeologico Nazionale di Firenze

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Paperofi I con la mascotte di Archeostorie alla mostra “Potere e Pathos”

* Questa volta, sfrutterò impropriamente, ma neanche tanto, la rubrica sulle collezioni egizie minori in Italia per parlare di una bella esperienza che ho vissuto lo scorso 30 aprile a Firenze. Invitato nel capoluogo toscano, ho potuto partecipare alla visita speciale, dedicata agli archeoblogger, di due mostre sulla scultura ellenistica in bronzo: “Potere e pathos” a Palazzo Strozzi e “Piccoli grandi bronzi” presso il Museo Archeologico Nazionale (entrambe aperte fino al 21 giugno). Così, non solo ho potuto ammirare alcuni capolavori provenienti da tutto il mondo, ma ho anche avuto il piacere di incontrare di persona autori di blog che seguivo già da tempo e conoscerne altri che, con passione e competenza, raccontano ogni aspetto dell’archeologia: Stefania Berutti (Memorie dal Mediterraneo), Elisabetta Giorgi e Francesco Ripanti (Archeokids), Marina Lo Blundo (Archeotoscana), Domenica Pate e Paola Romi (Professione Archeologo), Valentino Nizzo (Direzione Generale Musei MiBACT), Lidia Vignola (Liberarcheologia), più le gentilissime Giulia Sabattini e Benedetta Scarpelli di Palazzo Strozzi.

Ma, tornando all’asterisco iniziale, l’uso di questa rubrica non è poi così fuori luogo perché l’ellenismo ebbe in Alessandria uno dei principali centri propulsori della cultura, della scienza e della filosofia dell’epoca. Non a caso, il periodo viene fatto terminare convenzionalmente il 31 a.C., con la battaglia di Azio, la morte di Cleopatra VII e la caduta dell’ultimo regno ellenistico indipendente, quello d’Egitto. Dalla nuova capitale tolemaica, provengono alcuni dei capolavori presenti nelle due mostre e che fondono la tradizione di Skopas, Prassitele e Lisippo con la produzione artigianale locale. Non mancano, quindi, anche in Egitto, repertori tipici della scultura ellenistica come i ritratti e altre rappresentazioni realistiche.

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Testa-ritratto di Arsinoe III

“Potere e pathos. Bronzi del mondo ellenistico” è un vero e proprio evento internazionale che porterà 50 grandi opere, dopo la prima tappa di Palazzo Strozzi, al J. Paul Getty Museum di Los Angeles e alla National Gallery of Art di New York. Le sculture non provengono solo da Firenze (Museo Archeologico Nazionale e Uffizi), ma anche da Napoli, Roma, Madrid, Londra, Atene, Parigi, Vienna e New York. Il titolo della mostra sintetizza due delle caratteristiche principali dell’arte ellenistica: l’eccezionale drammaticità delle pose e l’utilizzo della ritrattistica nella propaganda politica.

Proprio a quest’ultimo caso appartiene l’unico esemplare tolemaico dell’esposizione: la testa di Arsinoe III. In prestito dalla collezione egizia “Giuseppe Acerbi” del Museo Civico di Palazzo Te (Mantova), raffigura il volto della regina (220-204), moglie di Tolomeo IV. In questo caso, all’accuratezza nella realizzazione dei tratti somatici, si aggiunge anche quella della resa dell’acconciatura che caratterizza Arsinoe in ogni sua rappresentazione.

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“Incognita negra”

In concomitanza con “Potere e Pathos”, si sta tenendo presso il Salone del Nicchio del Museo Archeologico Nazionale (la cui collezione egizia è la seconda in Italia) l’altra mostra che ho visitato: “Piccoli Grandi Bronzi. Capolavori greci, etruschi e romani delle collezioni mediceo-lorenesi”. Se nel primo caso le protagoniste erano grandi statue bronzee, qui sono esposti oltre 170 reperti che vanno dai 10 ai 60 cm raccolti dai Medici e dai Lorena (XV-XVIII sec.).

Appartenendo a collezioni antiche, i bronzetti sono suddivisi per tipologie. Per la ritrattistica ufficiale, ritroviamo Arsinoe III, posta accanto a un piccolo busto del padre Tolomeo III (246-222), mentre più numerose sono le statuette di divinità dell’Egitto greco-romano come Serapide, Giove-Ammone e Arpocrate. Infine, il vario repertorio è completato da soggetti esotici e/o grotteschi come nani e pigmei (qui è chiara l’influenza dell’arte faraonica che ha sempre contemplato questo tipo di iconografia) o come la bellissima “Incognita negra” (usata come immagine rappresentativa della mostra; vedi in alto), “collage” cinquecentesco che combina una brocca miniaturistica a testa di nubiana di età ellenistica con integrazioni rinascimentali.

Sarebbe vietato fare foto, ma noi archeo-raccomandati abbiamo avuto un permesso speciale:

Tolomeo III e Arsinoe III

Tolomeo III e Arsinoe III

Nani e pigmei

Nani e pigmei

Arpocrate

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Giove-Ammone e Serapide

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