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Individuata una nuova costellazione grazie ai colori originali del Tempio di Esna

Source: uni-tuebingen.de (ph. Ahmed Amin)

Dopo 2000 anni tornano a risplendere i colori originali del Tempio di Esna, con qualche sorpresa.

Ricordo quando nel 2006 visitai il tempio e vidi che le pareti erano completamente annerite da secoli di polvere, fuliggine e guano; per questo mi colpiscono ancora di più le foto pubblicate in questi giorni dal team egiziano-tedesco diretto da Christian Leitz (Università di Tübingen), in collaborazione con Daniel von Recklinghausen e Hisham El-Leithy e Mustafa Ahmed (Ministero del Turismo e delle Antichità). Il progetto di restauro dei rilievi ha visto dal 2018 quattro interventi di pulizia – ma non di ricolorazione – dei rilievi che hanno permesso di documentare al meglio le scene e i testi religiosi che ricoprono ogni superficie.

Il Tempio di Esna è un santuario che si trova 60 km a sud di Luxor. Dedicato al dio Khnum, alle sue consorti Menhit e Nebtu, al loro figlio Heka, e alla dea Neith, fu costruito nella sua forma definitiva in epoca tolemaica e decorato soprattutto nel periodo romano (I-III sec. d.C.). Tuttavia, ne rimane solo la parte frontale, il pronao, perché nel XIX secolo fu utilizzata come deposito per il cotone. Il resto è stato espoliato per ricavarne pietra da costruzione o è ancora 9 metri sotto il livello della moderna città che ha completamente inglobato la struttura.

Source: uni-tuebingen.de (ph. Ahmed Amin)

La documentazione fotografica delle pareti così ripulite servirà anche a completare e aggiornare il lavoro di pubblicazione dei testi del tempio, portato avanti per anni dall’egittologo francese Serge Sauneron (Esna, vol. II-IV, VI, VII) che ha potuto vedere solo la forma in rilievo dei geroglifici ma non i particolari dipinti.

Così, dal famoso soffitto astronomico sono emersi nomi di costellazioni che erano disegnati e non incisi, come quelle dell’Orsa Maggiore (msxtyw; a forma di coscia di toro, nella foto in cima all’articolo) o di Orione (sAH). Finora sconosciuta era invece una nuova costellazione chiamata “Oche di Ra” (Apdw n Ra) che, purtroppo, non essendo accompagnata da una raffigurazione grafica, è per il momento impossibile da identificare.

https://uni-tuebingen.de/en/fakultaeten/philosophische-fakultaet/fachbereiche/altertums-und-kunstwissenschaften/institut-fuer-die-kulturen-des-alten-orients-ianes/forschung/aegyptologie/projekte/the-temple-of-esna/

Source: uni-tuebingen.de (ph. Ahmed Amin)
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In un papiro ramesside la prima osservazione dell’eclisse di Algol

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Source: journals.plos.org

(Premetto subito che mi sto avventurando in un campo molto tecnico che esula dalle mie competenze quindi mi scuso per eventuali inesattezze).

Che gli antichi Egizi fossero ottimi osservatori degli eventi celesti era cosa assodata, ma un recente studio sposta l’asticella un po’ più in là. In realtà, Lauri Jetsu e Sebastian Porceddu (Dip. di Fisica della University of Helsinki) avevano già espresso questa teoria nel 2013, ma una loro nuova pubblicazione sembrerebbe confermarla: in un papiro ramesside scoperto a Deir el-Medina (Cairo 86637, vedi immagine), ci sarebbe la prima documentazione relativa a una stella binaria a eclisse. Il testo in ieratico è tra i Calendari egizi meglio conservati e suddivide i giorni dell’anno (classica ripartizione in tre stagioni, 12 mesi di tre settimane di 10 giorni, più 5 “epagomeni”) in “buoni” e “cattivi”. Praticamente, tenendo in considerazione la concezione ciclica del tempo, un modo per capire in anticipo se fosse o no il caso di uscire di casa! Queste previsioni, fatte tre volte per ogni giorno (quindi, nel corso delle 24 ore, si potevano incontrare momenti positivi o negativi), erano influenzate da credenze religiose ed eventi astronomici. Lo scopo della ricerca finlandese è proprio verificare se le azioni delle varie divinità potessero coincidere con fenomeni realmente esistenti.

Grazie a calcoli statistici, si è visto che periodi particolarmente fausti si ripetono spesso ogni 29,6 e 2,85 giorni, rispettivamente in connessione con Seth e Horus. Se il primo intervallo di tempo è facilmente identificabile con il mese lunare, il secondo ha richiesto maggiori approfondimenti fino all’identificazione con la variabilità di Algol, detta anche β Persei. Il sistema appartiene alla costellazione di Perseo ed è composto da due stelle tra cui quella principale, Algol A, viene eclissata ogni 2,867 giorni da quella secondaria, Algol B (in realtà, attorno al comune centro di massa, ruota anche una terza stella, Algol C). Il conseguente calo di luminosità dura circa 10 ore ed è visibile a occhio nudo. Il papiro, quindi, descriverebbe il fenomeno quasi 3000 anni prima della sua scoperta ufficiale attribuita a Geminiano Montanari (1667) e del calcolo del periodo di John Goodricke (1783). La discordanza di misurazione di 0,017 giorni è stata spiegata con un trasferimento di massa negli ultimi millenni tra i due componenti del sistema stellare.

Una conoscenza più antica della variabilità, però, potrebbe essere suggerita dall’etimologia del nome stesso di Algol che deriva dall’arabo “al-Ghul”, un demone della tradizione islamica, e che ne indicherebbe la natura “irrequieta”.

http://journals.plos.org/plosone/article?id=10.1371/journal.pone.0144140

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