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Un raro involucro di fango per una mummia “australiana” di Nuovo Regno

Uno studio multidisciplinare, recentemente pubblicato su PlosOne, ha rivelato una curiosa pratica funeraria finora sconosciuta su una mummia conservata in Australia: un involucro di fango a ricoprire il corpo.

Fino a poco tempo fa, si riteneva che i resti – acquistati insieme al sarcofago e donati all’Università di Sidney nel 1860 dal politico e collezionista anglo-australiano Charles Nicholson – appartenessero a una donna di nome Meru(t)ah, vissuta intorno al 1000 a.C. In realtà, le datazioni al C14 hanno indicato come la mummia – oggi conservata presso il Chau Chak Wing Museum – fosse più antica di circa 200 anni, datandola tra la fine della XIX e l’inizio della XX dinastia. Il sarcofago di III Periodo Intermedio è quindi con molta probabilità un’aggiunta dei moderni venditori per rendere più appetibile il corpo mummificato.

La ricerca diretta da Karin Sowada (Macquarie University) ha portato altri interessanti risultati, in parte confermando vecchie analisi. Già nel 1999, infatti, una TAC aveva mostrato la presenza di uno strano involucro fangoso nascosto sotto le bende di lino. Con nuove tecnologie ed esami chimico-fisici si è visto che si tratta di una serie di impacchi di lino e un composto di fango, sabbia e paglia, applicati quando erano ancora freschi, un po’ come si fa con la cartapesta. Grazie alla spettrofotometria XRF e alla spettroscopia Raman, inoltre, sono stati individuati un pigmento bianco a base di calcite su tutta la superficie e una colorazione con ocra rossa in corrispondenza del volto.

L’inedita crosta – che forse ha un solo parallelo – sarebbe servita a stabilizzare e “riparare” il corpo di una donna di 26-35 anni, probabilmente per preservarne l’integrità, fondamentale per la vita dopo la morte. La mummia, infatti, mostra diversi traumi post-mortem. A distanza di una o due generazioni, qualcuno ha cercato di risolvere così un danno all’altezza del ginocchio e della parte inferiore della gamba sinistra, forse provocato da tombaroli. Molto più recente, invece, è il restauro con perni metallici nella parte destra del collo e della testa dove ad essere intaccato è anche l’involucro di fango e lino.

Oltre allo scopo appena descritto, potrebbe esserci stata anche la volontà di replicare in maniera più economica la pratica funeraria di rivestire le mummie degli appartententi all’élite di Nuovo Regno con bende imbevute di costose resine importate.

https://journals.plos.org/plosone/article?id=10.1371/journal.pone.0245247

Source: Chau Chak Wing Museum and Macquarie Medical Imaging

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Sorpresa a Sidney: una mummia nel sarcofago che doveva essere vuoto

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Source: Nicholson Museum

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Source: Nicholson Museum

Sarà la vicinanza con la Pasqua, ma in questi giorni i giornali di tutto il mondo stanno rilanciando notizie su ‘sorprese scartate’ in varie collezioni egizie. In particolare, dall’Australia ne arriva una veramente inaspettata. Gli studiosi della University of Sidney, infatti, di certo non pensavano di trovare qualcosa in uno dei sarcofagi egizi conservati nei magazzini del Nicholson Museum. Dopo oltre 150 anni, in occasione dell’allestimento del nuovo museo universitario, la cassa antropoide è stata studiata per la prima volta e il team diretto da Jamie Fraser si è accorto che non era vuota come preventivato: al suo interno, terra e resti umani fortemente disturbati (immagine in alto), forse per l’intervento di un ladro in cerca di amuleti.

I frammenti di mummia appartengono con tutta probabilità a Mer-Neith-it-es, sacerdotessa di Sekhmet durante la XXVI din. (664-525 a.C.) il cui nome compare sul coperchio del sarcofago (foto a sinistra). Lo scavo microstratigrafico del contenuto al momento ha portato solo all’individuazione dei piedi della defunta, ma la TAC ha fornito molte informazioni in più (immagine in basso). Infatti, John Magnussen, radiologo della Macquarie University che ha scansionato il reperto, ha affermato che le ossa indicano un individuo di oltre 30 anni e che è visibile anche il riempimento della calotta cranica con della resina a sostituzione del cervello estratto.

http://sydney.edu.au/museums/publications/muse/Muse-March2018.pdf

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Source: Macquarie University

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Bufale eGGizie*: i geroglifici egizi di Gosford, Australia

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Source: abc.net.au

(*A scanso di equivoci, il nome della rubrica contiene volutamente un errore ortografico per sottolineare il carattere a dir poco ridicolo di alcune notizie riguardanti l’Egitto che circolano nel web e non solo)

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Source: karionghieroglyphs.blogspot.it

Questa volta mi vergogno un po’ a scrivere l’articolo perché basterebbe guardare l’immagine (Anubi che assomiglia a Wile Coyote!?) per capire che siamo di fronte all’ennesima bufala; ma, viste le tante persone che credono ancora a questa storia, mi tocca: geroglifici scoperti in Australia attesterebbero l’arrivo degli antichi Egizi sull’isola già 5000 anni fa! La notizia, seppur rimbalzata negli ultimi anni su diversi siti, risale al 1983 quando un giornale locale (immagine a sinistra) riportò la testimonianza di Alan Dash, un appassionato di storia antica, che affermava di aver visto nel 1975 geroglifici egizi a Gosford, nei pressi di Kariong, 60 km a nord di Sidney. L’area, nel cuore del Brisbane Water National Park, era nota per petroglifi aborigeni di 200/250 anni o anche più antichi, ma, tra le rappresentazioni di cacciatori, canguri e altri animali, spuntarono circa 300 segni ‘egizi’ incisi su due pareti parallele di arenaria. Già all’epoca, la cosa creò molto clamore tanto da costringere i ranger del National Parks and Wildlife Service a indagare: la situazione, infatti, metteva a repentaglio l’integrità della riserva naturale e del vero sito archeologico. Furono arrestati diversi tombaroli in cerca di tesori nella ormai ribattezzata “Kariong Egyptoid” ed emulatori, come un anziano cittadino jugoslavo sorpreso nel 1984 mentre era intento ad armeggiare sulla pietra con uno scalpello.

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Foto scattata nel 1983 dal NPWS

Fu subito evidente il fake. David Lambert, studioso di arte rupestre inviato dal NPWS, osservando i bordi netti delle incisioni e la mancanza di muschi e licheni, parlò di una realizzazione non più vecchia di 12 mesi. Fu perfino interpellato un egittologo, il prof. Naguib Kanawati della Macquarie Univesity di Sidney – come, più recentemente, il collega Boyo Ockinga -, che ovviamente rilevò solo simboli sparsi senza senso, a eccezione di un paio di nomi di faraoni, Cheope e Snefru, inscritti in cartigli quadrati (foto a sinistra). Che poi, a voler fare i pignoli, il verso delle titolature non coincide con quello dei nomi e, inoltre, il nomen “figlio di Ra” (sul cartiglio di destra) non era ancora in uso.

Si tratta, quindi, di un insieme di segni, alcuni dei quali anche inventati, posizionati senza nemmeno rispettarne la scala di grandezza. L’origine dovrebbe attestarsi alla prima metà degli anni ’70, ma alcuni geroglifici furono aggiunti successivamente. Tuttavia, non si conosce l’autore/gli autori: si è parlato di disegni fatti da reduci della I guerra mondiale, di uno scherzo di una radio locale o di studenti in gita, ma è probabile che sia stato proprio l’anziano, con problemi mentali, fermato nel 1984. Purtroppo, sul web continuano a circolare false traduzioni di presunti esperti, come un certo Ray Johnson confuso con Raymond W. Johnson, lui sì vero egittologo – direttore dell’Epigraphic Survey dell’Oriental Institute di Chicago – che, per questa omonimia, è stato costretto a smentire il suo coinvolgimento nella vicenda.

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Australia, Inghilterra e USA restituiscono all’Egitto reperti rubati

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Source: abc.net.au

In una cerimonia ufficiale a Canberra, il ministro australiano delle Arti, George Brandis, ha consegnato all’ambasciatore egiziano Hassan El-Laithy una serie di reperti illegalmente esportati dall’Egitto. Gli oggetti, che vanno dal Nuovo Regno al periodo copto, erano stati sequestrati da case d’asta e abitazione private di Sidney grazie all’intervento, dopo segnalazione dell’Interpol, degli agenti del Federal Arts Department che poi hanno affidato l’autenticazione al Prof. Naguib Kanawati della Macquarie University. Torneranno in patria, così, alcuni pezzi di rilievo su calcare, una mano lignea appartenente a un sarcofago antropomorfe, una lucerna, una statuetta maschile, un ushabti, un frammento tessile copto e amuleti vari.

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Source: MSA

Intanto, a 17.000 km di distanza, l’ambasciatore egiziano a Londra ha preso in consegna un altro reperto rubato. Si tratta, in questo caso, di un frammento di un rilievo in cui è rappresentato Amon-Ra, appartenente al tempio di Thutmosi IV nel complesso di Karnak. Il proprietario ha spontaneamente deciso la restituzione dopo aver affermato che non era a conoscenza né dell’autenticità né della provenienza illegale del pezzo.

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Source: Luxor Times Magazine

Infine, segnalo anche la restituzione di 123 reperti sequestrati dalla dogana di New York, tra cui spiccano un sarcofago femminile di XXVI dinastia, quattro statuette lignee dell’uccello Ba, una collezione di statue del III Periodo Intermedio, alcuni modellini di barca funeraria di Medio Regno (vedi foto in alto), stele di Nuovo Regno e monete del periodo romano.

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Annullata vendita di 10 reperti egizi in asta australiana

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Source: MSA

Il Ministero delle Antichità, in cooperazione con l’ambasciata egiziana a Sidney, ha bloccato la vendita di 10 reperti che sarebbero stati messi all’asta in Australia la scorsa domenica. Qualche settimana prima, funzionari del Restored Artifacts Department, diretto da Ahmed Ali, si erano accorti della presenza di antichità egizie sul sito della casa d’asta e hanno cominciato a indagare sulla loro provenienza. Sulle prime, infatti, c’era qualche dubbio sull’autenticità dei lotti, ma ora, invece, sembrerebbe si tratti di pezzi, di diversi periodi, esportati illegalmente dall’Egitto. Così, dopo la richiesta ufficiale, la vendita è stata bloccata e i reperti sono stati sequestrati dalle autorità australiane, in attesa che tornino in patria.

 

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