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L’inusuale (e indiretta) mummificazione di un feto

Credits: M. Ożarek-Szilka / Affidea

Di Flavia Bonaccorsi Micoevich

Il 2021 è stato un anno molto proficuo per la ricerca egittologica con numerose e importanti scoperte. Tra le più emozionanti dobbiamo considerare quella che, ad oggi, risulta un unicum: la prima mummia di una donna incinta.

Come abbiamo già visto per l’analisi del corpo di Amenofi I, la tomografia computerizzata risulta un mezzo fondamentale di indagine diagnostica per le mummie egizie, offrendo informazioni che non ledono in alcun modo la loro integrità o quella dei loro sarcofagi, e realizzando vere e proprie autopsie virtuali. Ma tali informazioni possono sorprendentemente ribaltare situazioni date per certe e questo è proprio il particolare caso della nostra mummia.

Il sarcofago del sacerdote Hor-Djehuty – il cui nome è riportato anche nel cartonnage interno – arrivò nel Museo Nazionale di Varsavia (dove tutt’oggi si trova) nel 1917, presumibilmente dalla necropoli tebana. Ma sarà solo ben 99 anni dopo, nel 2016, che la mummia al suo interno verrà analizzata, lasciando i ricercatori assolutamente stupiti.

Lo studio successivo (i cui risultati sono stati pubblicati lo scorso aprile), svolto dal Warsaw Mummy Project e dalla Polish Academy of Sciences, non solo ha rivelato che il sesso del defunto è femminile, ma che ha anche attestato che la donna era al settimo mese di gravidanza, diventando il primo esempio di mummia incinta finora noto.

Le analisi hanno fatto emergere che la mummificazione riservatale è di alta qualità e le uniche deturpazioni che riporta il bendaggio possono essere collegate a tentativi di furto degli amuleti di cui era corredata oppure al trasferimento nel sarcofago di Hor-Djehuty (del quale corpo si sono perse le tracce). Non abbiamo, quindi, alcuna informazione identitaria della donna ad eccezione dell’età approssimativa di circa 20-30 anni, che visse durante il I sec. a.C. e che non riporta alcun segno di morte violenta.

Saranno necessarie ulteriori analisi, ma è molto probabile che il suo decesso sia stato provocato proprio dalla gravidanza che stava portando avanti, fattore non anomalo considerando il tasso di mortalità dell’epoca per insofferenza fetale o infezioni contratte dalle gestanti.

A garantire la conservazione del feto è stato il suo sviluppo raggiunto durante il primo mese del terzo trimestre e la mummificazione al natron – carbonato decaidrato di sodio – che ha alterato notevolmente il pH dell’utero della donna rendendolo molto più acido; ciò ha permesso una mineralizzazione delle piccole ossa (si vede abbastanza chiaramente il cranio di circa 25cm), l’essiccamento di parte dei tessuti (come per mani e piedi) e la produzione, tra i vari prodotti chimici, di acido formico il quale potrebbe aver svolto un ruolo importante, considerando le sue proprietà antibatteriche e di agente conservante.

Restano aperti gli interrogativi sulla decisione presa dagli addetti alla mummificazione di lasciare il futuro nascituro all’interno del corpo di sua madre. Purtroppo, i papiri medici ginecologici non forniscono informazioni dettagliate sul parto né tanto meno sugli interventi da eseguire a seguito di complicazioni. Una prima ipotesi proposta è che il feto non sia stato rimosso dalla madre per garantirgli un aldilà che, altrimenti, non avrebbe potuto avere perché non era di fatto nato né aveva ricevuto un nome.

Quello che sappiamo per certo è che in antico Egitto il feto veniva trattato con grande rispetto e considerazione, come ci testimoniamo i feti trovati nei loro sarcofagi nella tomba di Tutankhamon o ancora il commovente caso del piccolo sarcofago antropomorfo W1013 (Egypt Centre, Università del Galles) contenente un feto di soli quattro mesi deposto insieme alla sua placenta. Possiamo timidamente ipotizzare che al “nostro” feto non sia stato riservato lo stesso trattamento perché non fu mai partorito, ma solo ulteriori esami o futuri ritrovamenti potrebbero dissipare tali quesiti.

Resta indubbiamente affascinante l’importanza che veniva data alla formazione di una nuova vita durante le ere faraoniche e possiamo solo fantasticare su come la donna misteriosa dello studio polacco possa aver affrontato i mesi di gravidanza fino al momento del suo tragico epilogo.

Fonti:

https://www.academia.edu/42783213/PALEO_IMAGING_La_radiologia_tra_innovazione_tecnologica_e_archeologia

https://www.sciencedirect.com/science/article/abs/pii/S0305440321001746?via%3Dihub#abs0010

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TAC individua un feto nella mummia di una donna incinta del I sec. a.C.

© Muzeum Narodowe w Warszawie, CT and X-ray by the Warsaw Mummy Project

Negli anni ’90 del secolo scorso, radiografie effettuate su una mummia conservata nel Museo Nazionale di Varsavia ne avevano identificato il sesso come maschile. D’altronde, sul relativo sarcofago si legge il nome e le cariche di un sacerdote. Ma poi, in una TAC del 2015 sulla stessa mummia, è venuto fuori un feto.

Più che a un reboot di un film con Schwarzenegger (o, per i veri cinefili, di quello con Mastroianni), si tratta semplicemente dell’ennesimo esempio dell’avanzamento delle tecnologie che aiutano sempre di più il lavoro dei ricercatori.

Il team polacco del Warsaw Mummy Project ha infatti recentemente pubblicato i risultati degli esami non invasivi (raggi-X e TAC) sulla mummia – a questo punto si più dire – di una donna tebana morta tra i 20 e i 30 anni nel I secolo a.C. Il corpo, insieme alla copertura in cartonnage e il sarcofago in legno, era stato acquistato in Egitto dal pittore e collezionista Jan Wężyk–Rudzki, che donò tutto il set al museo della capitale nel 1826. I documenti sulla provenienza non sono chiari, visto che si parla di “tombe reali a Tebe” o “piramide di Cheope a Giza”, ma i testi scritti sul sarcofago e sul cartonnage confermano l’origine tebana. Si legge infatti che il proprietario originario era Hor-Djehuty, scriba, sacerdote di Horus-Thot a Djeme, governatore reale del villaggio di Petmiten, cantante del dio Montu. I toponimi indicano l’area a sud di Medinet Habu, mentre tipologia e stile datano i reperti al I sec. a.C. Quindi è probabile che Hor-Djehuty fosse un importante funzionario del distretto amministrativo di Memnoneia (riva occidentale di Luxor) alla fine dell’epoca tolemaica. Quel che è certo è lo scambio di corpi, forse imputabile agli stessi venditori ottocenteschi.

La ricerca ha evidenziato un buon stato di conservazione dovuto anche a un’ottima tecnica d’imbalsamazione che si adatta di più a periodi precedenti. La perizia nel bendaggio, le braccia incrociate sul petto, i 4 organi interni (fegato, polmoni, stomaco e intestini) estratti, imbalsamati a parte e riposti di nuovo nell’addome sono infatti caratteristiche tipiche del III Periodo Intermedio. Tuttavia i ricercatori sono più propensi nel considerare la mummia coeva del sarcofago, soprattutto per la presenza di un rarissimo oggetto discoidale trovato in corrispondenza dell’ombellico e noto finora solo per esemplari del I sec. a.C.

Il disco non è l’unico oggetto individuato tra le bende; nonostante la mummia sia stata chiaramente depredata da ladri, ci sono almeno 15 amuleti, tra cui i classici 4 geni chiamati “Figli di Horus” sull’addome e due dischi di metallo a imitazione dei capezzoli sulle bende modellate sul seno (immagini in basso a sinistra).

Ma venendo finalmente al risultato più importante dello studio, le immagini digitali della TAC (immagini in basso a destra) mostrano un feto compatibile con una gestazione di 26-30 settimane. La testa del piccolo ha infatti una circonferenza di 25 cm ed è stata l’unica parte misurabile a causa della fragilità delle ossa. Si tratta -almeno così si legge nell’articolo – del primo caso documentato di una mummia di una donna incinta, ma non è ancora chiaro perché il feto sia stato lasciato nell’utero e non sia stato mummificato a parte come di solito accadeva. Più che a una motivazione ideologica, però, si potrebbe pensare alle difficoltà pratiche oggettive nell’estrarre un corpo ancora troppo piccolo senza danneggiare i suoi tessuti e quelli della madre.

https://www.sciencedirect.com/science/article/abs/pii/S0305440321000418


Alcuni amuleti tra le bende (Marcin Jaworski)

Raggi-X e TAC sul feto (Marcin Jaworski and Marzena Ożarek-Szilke)
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Kom Ombo, scoperta tomba di una donna incinta con il suo feto

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Souce: MoA

A volte, le scoperte archeologiche provocano nei lettori –  ma anche in chi materialmente le realizza – forti reazioni umane di curiosità, stupore e commozione. È proprio questo il caso dell’ultimo ritrovamento effettuato a Kom Ombo dalla missione italo-americana diretta da Antonio Curci (Università di Bologna) e Maria Carmela Gatto (Yale University). In un piccolo cimitero risalente al II Periodo Intermedio (1750-1550 a.C. circa), una semplice tomba a fossa ha custodito per 3500 anni il corpo di una madre e del suo bambino non ancora nato.

Infatti, lo scheletro della giovane donna di 25 anni presentava nella regione pubica i resti di un feto con la testa rivolta verso il basso. Per questo, è probabile che la madre sia morta insieme al figlio/a (la determinazione del sesso dalle ossa dei neonati è molto difficile) proprio durante il parto. Le cause del decesso, secondo uno studio preliminare, potrebbero dipendere da un disallineamento del bacino della donna, dovuto a sua volta da una frattura guarita male.

Il corpo era avvolto in posizione fetale in un sudario in pelle ed era accompagnato da un corredo povero che comprendeva solo due vasi ceramici – una giara di origine egiziana e una classica ciotola di produzione locale sullo stile nubiano dalla superficie rossa lucida e l’interno nero (dovuto dalla mancanza di ossigeno durante la cottura; foto in basso a sinistra) – e frammenti di guscio di uovo di struzzo, alcuni dei quali semilavorati per la realizzazione di perline. Non è chiaro il significato di questa offerta, ma si ipotizza che il materiale non finito sia stato il frutto dell’ultimo lavoro della donna.

La coesistenza nel corredo di elementi egiziani e nubiani è spiegata dalla zona di confine in cui si trova la necropoli, utilizzata da popolazioni nomadiche che arrivarono nella Valle del Nilo dal deserto orientale nell’attuale Sudan. Non a caso l’obiettivo dell’Aswan – Kom Ombo Archaeological Project – nato nel 2005 e portato avanti dal 2010 dalla missione congiunta Yale-Bologna – è quello di studiare dal punto di vista storico-economico le interazioni tra Nord e Sud grazie a scavi, ricognizioni e studi epigrafici.

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TAC su una mummia di falco rivela il feto di un bambino

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Source: kentonline.co.uk

Le TAC effettuate su mummie riservano spesso sorprese. Può capitare di trovare attrezzi per l’imbalsamazione dimenticati nel cadavere, di invertire il sesso del defunto o di scoprire veri e propri falsi. Ma immaginate la sorpresa di chi, convinto di analizzare i resti di un falco, si è ritrovato con un feto umano di sole 20 settimane! È successo ai medici del Kent Institute of Medicine and Surgery incaricati di scansionare le mummie conservate presso il Maidstone Museum, museo dell’Inghilterra meridionale che possiede anche una collezione egizia di circa 600 reperti. Tra i “pazienti” presi in carico dal KIMS Hospital, infatti, risultava anche un piccolo corpo coperto da cartonnage di età tolemaica (323-30 a.C.) che, per le ridotte dimensioni, si pensava appartenesse a un rapace. Invece, le immagini computerizzate hanno identificato le ossa di uno tra i più giovani bambini mummificati mai ritrovati (insieme ai casi di 16 settimane dello Swansea University’s Egypt Centre e del Fitzwilliam Museum di Cambridge).

http://museum.maidstone.gov.uk/findings-maidstone-museums-mummy-scan/

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La TAC rivela la mummia del più giovane feto mai scoperto

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Source: independent.co.uk

Prima della radiografia e della TAC, gli egittologi del Fitzwilliam Museum di Cambridge si aspettavano che, nel piccolo sarcofago di 44 cm, ci fosse solo un organo asportato dal corpo di un defunto durante il processo d’imbalsamazione. Invece, nel pacchetto di lino ricoperto di resina scura, si trova un’intera mummia, anche se in miniatura, dell’individuo più giovane scoperto finora. Si tratta, infatti, di un feto di 16-18 settimane, risalente al Periodo Tardo (664-525 a.C.), in cui sono ancora evidenti le braccia incrociate sul petto. Il sarcofago fu scoperto nel 1907 a Giza dalla missione della British School of Archaeology.

Questa scoperta conferma l’importanza che gli Egizi davano ai bambini nati morti che, come tutti gli altri, avevano il diritto alla mummificazione e, quindi, alla rinascita nell’Aldilà. Esemplare è il caso dei due feti di 25 e 37 settimane trovati nella tomba di Tutankhamon. Il primato della mummia di Cambridge, però, è da condividere con una conservata presso lo Swansea University’s Egypt Centre e di cui, curiosamente, avevo parlato proprio lo stesso giorno di due anni fa.

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TAC individua feto mummificato di 16 settimane

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Source: dailymail.co.uk

Nel giorno della Festa della Mamma, riporto una notizia che testimonia il forte legame verso i figli che supera anche le tristi barriere della morte.

Ritenuto per oltre 40 anni un falso, un piccolo reperto egizio risalente alla XXVI dinastia (oggi allo Swansea University’s Egypt Centre) si è rivelato più sorprendente del previsto. L’involucro di mummia in cartonnage ha destato sospetti fin dall’acquisizione nel 1971 sia per le dimensioni contenute (solo 52 cm) che per la decorazione dipinta con geroglifici senza significato. Si pensava, infatti, che fosse una riproduzione ottocentesca e per questo il mini-sarcofago era stato analizzato nel 1998 ai raggi X, senza però ottenere risultati. Pochi giorni fa, invece, Paola Griffiths, ricercatrice dell’università gallese, ha definitivamente appurato la sua autenticità con l’uso della TAC. Le immagini mostrano un groviglio di bende di lino che circondano il feto di 10 cm. Il bambino (la corona a bande blu e gialle fa pensare che fosse un maschio) doveva avere tra le 12 e le 16 settimane quando è stato mummificato in posizione fetale con la placenta. Due macchie più scure sono state interpretate come un femore e un amuleto.

http://www.dailymail.co.uk/sciencetech/article-2624136/The-mummified-FOETUS-Scans-reveal-tiny-ancient-Egyptian-sarcophagus-contains-remains-16-week-old-baby.html

 

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