Questa mattina, in occasione della Giornata Internazionale dei Musei, i ministri del Turismo e delle Antichità, Khaled el-Enany, e dell’Aviazione Civile, Mohammed Manar, hanno inaugurato due nuovi musei all’Aeroporto Internazionale del Cairo.
Se il primo piccolo museo esisteva già dal 2016 con 38 reperti esposti nel Terminal 3, la vera novità è un secondo nucleo di antichità visitabile nel Terminal 2, in un’area di circa 100 m² (foto in alto). I 304 pezzi, databili dal predinastico ai periodi copto e islamico, arrivano dai depositi di collezioni maggiori come quelle del Museo Egizio di Piazza Tahrir, Museo Copto e Museo d’Arte Islamica del Cairo, Museo Nazionale di Suez e Museo Greco-Romano di Alessandria.
Anche il museo del Terminal 3 (qui qualche foto del vecchio allestimento che ho scattato nel 2019) è stato spostato al quarto piano, sempre dello stesso edificio, e rinnovato con l’aggiunta di ulteriori oggetti, arrivando a un totale di 59. Il prezzo del biglietto rimane sui 3 dollari statunitensi (50 lire egiziane) per i visitatori stranieri.
Torno a parlare di una collezione egizia “minore” a distanza di 2 anni e mezzo dall’ultima volta e non poteva esserci occasione migliore per occuparmi di un museo che si trova proprio in Egitto e che ho visitato all’inizio del mese.
Del Cairo tutti conoscono lo storico Museo Egizio di Piazza Tahrir e forse anche i due nuovi musei archeologici, il Grand Egyptian Museum di Giza e il Museo Nazionale della Civiltà Egiziana a Fustat, che sono ancora in fase di costruzione. Molti meno, invece, hanno sentito parlare di un vero e proprio gioiello nascosto tra i fatiscenti palazzi della parte vecchia della città, un edificio rimarchevole più per la sua bellezza architettonica che per l’importanza delle antichità che contiene: il Gayer-Anderson-Museum.
Probabilmente il nome non sarà nuovo agli amanti dell’Egitto antico perché è legato a uno dei reperti più famosi del British Museum, il “gatto Gayer-Anderson“. La statuetta di bronzo fu donata al museo londinese nel 1939 dal maggiore, medico dell’esercito britannico e collezionista Robert Grenville Gayer-Anderson (1881-1945) che era arrivato in Egitto nel 1907. Qui, dopo una prestigiosa carriera che lo portò a ricoprire importanti cariche militari e amministrative, fino ad ottenere addirittura il titolo onorifico di Pascià, Gayer-Anderson si ritirò a vita privata nel 1923 per didicarsi a tempo pieno alle sue vere passioni. Cominciò infatti a raccogliere, studiare e vendere antichità egizie, mobili orientali e altri oggetti da Turchia, Siria, India, Iran, Cina e Italia. Scriveva articoli per riviste egittologiche, organizzava mostre al Cairo e intratteneva rapporti con musei di tutto il mondo, come il già citato British Museum o il Fitzwilliam Museum di Cambridge a cui donò oltre 7500 pezzi. Non è un caso che, in due quadri nella sua abitazione, sia rappresentato mentre maneggia un ushabti o caricaturizzato con le fattezze della sfinge (foto in basso)
Tra il 1932 e il 1943, il Maggiore ebbe il permesso di risiededere nelle confinanti Beit Amna bint Salim (1540) e Beit el-Kretilya (1632), due dei pochissimi esempi di edilizia privata ottomana sopravvissuti alle demolizioni nelle adiacenze della monumentale moschea di Ibn Tulun. La bellezza del luogo, con tendaggi, mobili d’epoca ed elegantissimi intarsi in legno, è sottolineata anche dalla scelta di utilizzare i due palazzi come location per il film “007 – La Spia che mi amava“. Alla sua morte nel 1945, Gayer-Anderson lasciò in eredità la sua abitazione, insieme a tutto il contenuto, al governo egiziano che poi ne ha fatto una casa-museo.
I reperti egizi sono sparsi un po’ ovunque, tra stampe d’inzio ‘900, vasi cinesi e tappeti persiani. Vediamo capitelli hathorici da Dendera in giardino e porzioni di rilievi da Luxor o modellini di Medio Regno inseriti nelle pareti. Ma il principale luogo deputato all’antico Egitto, almeno fino a non molto tempo fa, è la “Stanza del Museo”, dove Gayer-Anderson esponeva gli oggetti che collezionava. Qui, tra ceramiche e vassoi metallici di epoca islamica, spicca la riproduzione del celebre gatto donato al British, mentre alle sue spalle c’è un’altra copia, quella del busto di Nefertiti oggi a Berlino; pochi altri reperti egizi sono esposti nella sala, come un sarcofago in cartonnage di XXI dinastia messo in un angolo (foto in basso a destra).
Il grosso della collezione egizia è stato disposto meno di 20 anni fa in due vetrine nella piccola “Sala dell’Antico Egitto” o “Sala faraonica”. Appare subito evidente l’interesse di Gayer-Anderson per gli oggetti di piccole dimensioni di ogni epoca: canopi, porzioni di rilievi, stele, frammenti di sarcofagi, maschere funerarie, scarabei, statuette e diverse figurine in terracotta di Arpocrate e Bes risalenti al periodo greco-romano. Decine di braccia, orecchie, piedi, corna, urei e barbe, invece, potrebbero essere i “pezzi di ricambio” che il collezionista usava per restaurare e rendere più appetibili le statuette in legno.
Per approfondire
Ikram S., “A Pasha’s Pleasures: R.G. Gayer-Anderson And His Pharaonic Collection In Cairo”, in D’Auria S. (ed.), Offerings to the Discerning Eye. An Egyptological Medley in Honor of Jack A. Josephson, Leiden-Boston 2010, pp. 177-186.
Warner N., Guide to the Gayer-Anderson Museum, Cairo 2003.
Nell’immaginario comune, Piazza Tahrir è il luogo simbolo della rivoluzione egiziana del 2011, dove centinaia di migliaia di persone si sono raggruppate per protestare contro l’allora presidente Hosni Mubarak. L’importanza politica della piazza è rimasta forte almeno fino al 2013, quando è stato vietato ogni tipo di manifestazione pubblica non autorizzata.
In realtà, il suo ruolo centrale risale alla risistemazione urbanistica del Cairo voluta da Ismail Pascià (1863-1879), dalla quale emerse un enorme spazio aperto che nel tempo è stato circondato da alti palazzi (e dal Museo Egizio) e attraversato da strade trafficatissime. L’attuale nome, che significa “Liberazione”, è stato invece adottato ufficialmente solo nel 1952 per commemorare la rivoluzione del 1919.
Negli ultimi anni è partito un piano di riqualificazione della piazza che punta a trasformarla da congestionato snodo viario a luogo d’interesse per i turisti, anche se l’operazione sembra nascondere secondi fini politici che vorrebbero il luogo ‘ripulito’ del suo recente passato. In ogni caso, oltre al rifacimento delle strade e al restauro delle facciate dei palazzi, è stata risistemata la grande rotonda con scelte che hanno provocato non poche polemiche.
Già da mesi era stato trasportato un obelisco di Ramesse II proveniente da Tanis (San el-Hagar, Delta orientale), più precisamente dal Grande tempio di Amon (Petrie, Tanis I, London 1889, tav. VII, 46). Il monolite in granito, distrutto in antichità a causa di un terremoto, era diviso in 8 blocchi, ma in origine doveva raggiungere i 19 metri d’altezza e le 90 tonnellate di peso. Le parti sono state restaurate e riassemblate al centro della rotonda.
Alla sua base sono poi state collocate quattro sfingi a testa di ariete da Karnak – un po’ come a Piazza del Popolo a Roma – nonostante il parere contrario di diversi egittologi e restauratori e addirittura dell’UNESCO attraverso l’Arab Regional Centre for World Heritage. Alle proteste dirette contro la decontestualizzazione indiscriminata dei reperti, infatti, si è aggiunta anche la preoccupazione sul loro stato di conservazione. In particolare le sfingi, scolpite nella più delicata arenaria, rischiano di subire lo smog della capitale e un clima più piovoso di quello di Luxor. A questo punto stridono le motivazioni che avevano portato a spostare la statua colossale di Ramesse II nel Grand Egyptian Museum per salvarla dall’inquinamento del centro della città.
Sekhemka come Persefone. La ormai famosa statua di Antico Regno, venduta all’asta per oltre 14 milioni di sterline, potrebbe fare proprio la fine della mitica sposa di Ade, divisa nell’anno tra Londra e Il Cairo. O meglio, questa è l’ultima proposta di Nasser Kamel, ambasciatore egiziano nel Regno Unito, che, per conto del suo Paese, sta facendo di tutto per annullare la consegna del capolavoro verso il suo, ahimè, legittimo acquirente. In attesa del 29 marzo, scadenza del secondo blocco all’esportazione deciso dal governo britannico, Kamel ha affermato che l’ambasciata potrebbe diventare la proprietaria della scultura per poi lasciarla esposta in alternanza, ogni sei mesi, presso il British Museum e il Museo Egizio del Cairo. Per attuare questo piano, però, l’Egitto dovrà raccogliere in breve tempo 15,8 milioni £.
Dal Qatar, aspettano senza rilasciare dichiarazioni.
Notizia che interesserà soprattutto a bibliotecari e archivisti. In un magazzino della sede del Supreme Council of Antiquities (SCA) a el-Abbassiya, Cairo, è stata ritrovata una cospicua raccolta di documenti dell’Ottocento e degli inizi del Novecento (la nota del Ministero delle Antichità indica anche carte del XVIII secolo). Tra foto, mappe, report di missioni archeologiche (ESS, UCL, IFAO) e progetti di musei (Giza, Bulaq e l’attuale Museo Egizio), figura anche la corrispondenza tra i direttori del Servizio delle Antichità egiziane, Jacques de Morgan (1892-1897), Gaston Maspero (1881-1886), Pierre Lacau (1914-1936), e i più famosi egittologi dell’epoca come Flinders Petrie, Howard Carter e Georges Legrain. Curioso è l’esempio della lettera del 1921 di Aylward Blackman (a sinistra) che scrive di dover rimandare di un anno la missione di documentazione del sito di Meir, Medio Egitto, a causa del mancato finanziamento da parte dell’Egypt Exploration Society. Il direttore Lacau (a destra) risponde in francese assicurando il britannico sulla copertura delle tombe.
Ieri, si è concluso il periodo di concessione speciale che, dal 1 dicembre, ha permesso di tornare a scattare gratuitamente fotografie nel Museo Egizio del Cairo dopo 10 anni dall’ultima volta. Dal 2005, infatti, i visitatori erano costretti a lasciare le loro macchine fotografiche in un deposito all’ingresso del museo. Ma da oggi sarà comunque possibile usufruire di questa possibilità, ovviamente senza usare il flash, pagando una licenza giornaliera di 50 lire egiziane (poco meno di 6 euro). Ad annunciarlo, sul suo profilo Facebook, è stato il Dott. Nigel Fletcher-Jones, direttore dell’ American University in Cairo Press. Sicuramente una buona iniziativa intrapresa per favorire il turismo in calo ormai da anni.
Khaled el-Enany, supervisione generale del Museo Egizio del Cairo, ha annunciato che, a partire dal 1 dicembre, saranno esposti alcuni reperti mai mostrati al pubblico. Tra i pezzi che si potranno ammirare, ci sono uno scheletro preistorico da sempre chiuso in una cassa e uno dei modellini lignei di barca risalenti al Medio Regno sequestrati lo scorso aprile dalle autorità doganali statunitensi (vedi foto), oltre a due statuette di Tutankhamon che sono state restaurate dopo i danni subiti durante l’assalto al museo del 28 gennaio 2011. L’iniziativa fa parte di un progetto che prevede l’esposizione a rotazione di oggetti mai visti, due al mese, provenienti dagli sconfinati magazzini del museo o da recuperi di opere illegalmente esportate.
Continua l’odissea senza fine del Grand Egyptian Museum, tanto da far sembrare bazzecole i ritardi dell’Expo. Quello che diventerà il più grande museo archeologico del mondo (170.000 m² per oltre 100.000 reperti) avrebbe dovuto essere inaugurato quest’anno; ma, allo stato attuale, anche il 2017 sembra una data utopistica. Soprattutto ora che Mamdouh El-Damaty ha annunciato che c’è bisogno di altri 300 milioni di dollari per la conclusione dei lavori. Infatti, i costi preventivati di 800 milioni sarebbero lievitati fino a 1,1 miliardo a causa, secondo il ministro delle Antichità, dell’indebolimento della lira egiziana nei confronti della moneta statunitense. Così, si torna di nuovo a battere cassa al Giappone tramite la Japan International Cooperation Agency che si era impegnata a contribuire per il 45% della spesa totale e che erogherà altri 140 milioni. Il governo egiziano, invece, ha pronti solo 37 milioni, ma creerà un comitato che, in collaborazione con la JICA, ricercherà nuove risorse di finanziamento.
Tutto il mondo è paese. Purtroppo, quando capita una disgrazia, c’è sempre qualche sciacallo pronto ad approfittarsene. In questo caso, la fonte di “guadagno facile” è stato l’attacco terroristico che, il 24 gennaio 2014, ha sconvolto Il Cairo provocando anche gravi danni al Museo di Arte Islamica. Lunedì scorso, Ahmed Sharaf, capo della sezione Musei del Ministero delle Antichità, è stato arrestato proprio con l’accusa di aver intascato bustarelle da un imprenditore greco-egiziano incaricato di restaurare il museo. La concessione dell’appalto va contro un precedente accordo firmato tra il Ministero e gli Emirati Arabi Uniti che finanziano la ricostruzione dell’edificio in parte distrutto dalla bomba. Ora, il posto di Sharaf è stato momentaneamente affidato a Elham Salah, direttrice regionale della sezione Musei.
Non bastavano furti, scavi abusivi e mercato nero di antichità; ci mancavano solo i progetti di riqualificazione urbana a mettere in pericolo il patrimonio archeologico egiziano. El-Fustat, prima capitale del Paese sotto il dominio islamico, rischia di essere trasformata in un giardinetto pubblico. La città, fondata nel 641 d.C. dal comandante Amr Ibn el-As, corrisponde al nucleo originale della Vecchia Cairo e per oltre 500 anni fu il fulcro dell’ intero Egitto. Il sito, che è stato scavato fino al 2011 da una missione francese, è perfino protetto dall’UNESCO per la presenza di palazzi storici e antiche moschee, tra le quali c’è anche la prima ad essere stata costruita in Africa.
Nonostante ciò, dopo la rivoluzione, l’area è stata funestata dall’abusivismo edilizio ed è diventata un’enorme discarica a cielo aperto (come si vede nella foto a destra) tanto che, negli ultimi anni, il governo avrebbe speso circa 2 milioni di lire egiziane (circa 206.000 €) per sbarazzarsi della spazzatura. Proprio per il malcontento dei burocrati, si sarebbe pensato a istallare qui un “giardino culturale”, in barba all’articolo 20 della Legge sulla Protezione delle Antichità. Ad affermarlo è Sally Soliman, fondatrice del gruppo facebook“Save Cairo”. La decisione è stata presa con il passaggio di proprietà dal Ministero delle Antichità (che non ha mosso alcuna obiezione) al Governatorato del Cairo. In ogni caso, le autorità sono rimaste vaghe e mancano ancora dichiarazioni ufficiali, ma intanto il sito è stato recintato con alte mura ed è stato posto sotto sorveglianza della polizia.