Articoli con tag: Nilo

Il ramo prosciugato del Nilo che aiutò la costruzione delle piramidi

Credits: Alex Boersma/Proceedings of the National Academy of Sciences (2022)

È ormai assodato, grazie a fonti scritte e passate ricerche archeologiche, che gli oltre 2 milioni di pesanti blocchi di calcare e granito utilizzati per la costruzione delle piramidi di Cheope, Chefren e Micerino furono trasportati dalle cave attraverso rampe e poi per via fluviale. Tuttavia, l’attuale corso del Nilo, lontano 7 km da Giza, faceva presupporre l’esistenza di canali ormai asciutti che si avvicinassero al sito. Un recente studio, diretto da Hader Sheisha (CEREGE, Université Aix-Marseille), ha tracciato la storia paleoambientale del cosiddetto “ramo di Khufu” che collegava l’alveo principale del Nilo a un porto fluviale a ridosso dell’area funeraria.

I ricercatori hanno tracciato le variazioni del livello dell’acqua negli ultimi 8000 anni raccogliendo campioni di antichi pollini e analizzando dati di studi precenti. L’aumento dell’altezza sarebbe coinciso con il Periodo Umido Africano (Ahp), tra 14.800 e 5.500 anni fa, quando, per via di variazione dell’orbita della Terra attorno al Sole, gran parte del deserto del Sahara fu coperto da graminacee, alberi e laghi. Tuttavia, anche intorno a 4700-4200 anni fa, periodo in cui rientra la costruzione delle piramidi, il bacino restò comunque navigabile, trattenendo il 40% della capienza d’acqua, senza il pericolo di inondazioni.

Tale conclusione è derivata dalla presenza, in zone ormai desertiche, di pollini di 61 specie di vegetazione che di solito costeggiano il fiume, come piante erbacee e palustri quali la tifa e il papiro. Successivamente, però, una lunga fase d’inaridimento portò alla graduale cancellazione del ramo di Khufu e al conseguente ‘allontanamento’ del Nilo, fino a renderlo completamente secco in periodo tolemaico (IV-I sec.).

L’articolo originale su Proceedings of the National Academy of Sciences: https://www.pnas.org/doi/10.1073/pnas.2202530119

Credits: Proceedings of the National Academy of Sciences (2022)
Categorie: ricerche | Tag: , , , , , | 2 commenti

Vulci, scoperto un unguentario “egizio” in una tomba etrusca

Source: ilmessaggero.it

Mi era già capitato di parlare di reperti egizi o egittizzanti scoperti in contesti italiani. Nel 2016, ad esempio, avevo riportato la notizia di due scarabei trovati in una tomba a Vulci (Montalto di Castro, VT), una delle antiche città più importanti dell’Etruria meridionale. Il fenomeno si spiega con il cosiddetto periodo “Orientalizzante” (VIII-VI sec. a.C.), durante il quale ci fu una grande diffusione in tutto il Mediterraneo di materiale proveniente da Egitto, Siria, Cipro, Anatolia e Mesopotamia.

È di pochi giorni fa, invece, l’annuncio del ritrovamento di un unguentario in faience di possibile origine egiziana sempre a Vulci, ma nella vicina Necropoli dell’Osteria, da dove venne fuori un altro scarabeo nel 2013. L’oggetto faceva parte del corredo funebre di una tomba femminile inviolata di inizio VI sec. a.C. (è possibile vedere l’apertura nell’edizione del TGR Lazio del 18 giugno al minuto 9:05). I resti ossei di una giovane donna di 20 anni erano accompagnati da vaghi di collana in ambra, una grande olla chiusa da una coppa greca in stile ionico, e tre buccheri, tra cui un kyathos (attingitoio) e un’oinochoe (brocca da vino).

L’unguentario è invece fatto in faience azzurra e rappresenta una figura androgina accovacciata con una corta parrucca riccioluta, una pelle di leopardo – gialla con puntini neri – legata al collo e un grande contenitore ceramico tra le braccia. Sul vaso si nota il coperchio a forma di rana, di cui però non si è conservata la testa.

Carlo Casi, direttore scientifico dello scavo e della Fondazione Vulci, ha riportato al Messaggero un’ipotesi da lui stesso definita “ardita”. La defunta sarebbe stata un’addetta alla mescita del vino, per la presenza del set da vino e per l’iconografia dell’unguentario che, come vedremo, tuttavia è stata mal interpretata: “Non è un oggetto unico, ma molto raro. È un balsamario in faience, probabilmente egiziano, e rappresenta una figura femminile con la tipica acconciatura e un mantello di pelle maculata, forse di leopardo, allacciato sotto il collo. La donna è accosciata e regge con le gambe un grande vaso, che parrebbe chiuso con un lembo di pelle. Siamo di fronte a un pezzo di grande rarità […] Anche il balsamario, con la chiusura in pelle del vaso rimanda al processo della fermentazione di liquidi (forse la birra) […] Nell’Antico Egitto la birra era molto consumata e per essere prodotta deve subire un lento processo di fermentazione. La chiusura (del balsamario) in pelle serviva a facilitare la fermentazione”.

Questi vasetti plastici antopomorfi, del tipo detto “Nilo“, si diffusero in tutto il Mediterraneo alla fine del VII sec. e nel VI sec. a.C. Ne troviamo esemplari in Egitto ma soprattutto fuori dal paese, come a Rodi, Efeso, Cipro, Samo, Tebe, Cartagine, Campania, Sicilia, Sardegna, Puglia e, per l’appunto, Etruria. L’iconografia prevede uomini dai caratteri androgini e parrucca hathorica, donne con bambini sulla schiena, uomini barbuti dai tratti asiatici, personaggi con corte parrucche (come nel caso di Vulci) e babbuini che, accovacciati, tengono tra le mani una giara. Il vaso di solito è chiuso da un coperchio a forma di rana. Il liquido veniva inserito da un’apertura sulla testa, in genere a forma di fiore, e zampillava dalla bocca dell’anfibio solo se il vasetto veniva scosso o allentando leggermente il tappo. L’ipotesi sulla natura della sostanza contenuta dà il nome stesso alla categoria. Si pensa infatti che questi oggetti servissero in origine a conservare l’acqua sacra del Nilo, proprio come le cosiddette “fiaschette del nuovo anno”, regalate come buon augurio in occasione del capodanno che, in Egitto, coincideva con la piena del fiume. In realtà, analisi scientifiche dei residui al loro interno hanno rilevato la presenza di latte e sostanze oleose; quindi, almeno in una seconda fase, i vasetti divennero unguentari per oli e profumi, a conferma di un contesto di sepoltura femminile. Da qui si capisce come la giara tenuta dalla figurina non abbia niente a che fare con birra o vino e che almeno questo oggetto non può dare alcun indizio per l’identificazione della defunta della necropoli dell’Osteria.

Verrebbe da pensare che i vasetti fossero prodotti nell’area del Delta in epoca saitica e trasportati in Europa dai mercanti. In realtà, molti studiosi credono che questa categoria di oggetti sia originaria dell’isola di Rodi nella metà del VII secolo, come reinterpretazione greca di elementi egizi, ma anche fenici. La parrucca hathorica, infatti, è legata anche alla dea cananea Astarte. Poi c’è la pelle di leopardo che è un attributo di Bes, dio rappresentato in recipienti per trucco di Nuovo Regno che sarebbero alla base di questo modello. Fra l’altro, la postura arcuata delle gambe e i piedi animaleschi della figurina appena trovata a Vulci si adattano più a Bes o a una scimmia che a un umano e per me sono un ulteriore esempio del mescolone greco d’iconografie egizie.

Source: ilgazzettino.it

Per approfondire:

Categorie: scoperte | Tag: , , , , , | 1 commento

Erodoto aveva ragione nel descrivere i battelli del Nilo?

7113

Ph: Christoph Gerigk/Franck Goddio/Hilti Foundation

Le fonti storiche letterarie – si sa – non possono essere prese come oro colato a causa del loro contenuto contaminato da luoghi comuni, intenti propagandistici o semplicemente da una diversa visione del mondo rispetto a quella nostra attuale. Un chiaro esempio è la descrizione, spesso fantasiosa, che Erodoto fa nelle sue “Storie” dell’Egitto, paese che visitò intorno al 450 a.C. ma che rimase comunque estraneo – o meglio, strano – per la sua formazione culturale. Molte sono le cose raccontate dallo storico di Alicarnasso che non hanno avuto una conferma dall’archeologia, come le “baris”, particolari imbarcazioni fluviali mai ritrovate. Almeno fino a qualche anno fa.

1520

Ph: Christoph Gerigk/Franck Goddio/Hilti Foundation

Nel 2003, infatti, il team dell’Institut Européen d’Archéologie Sous-Marine diretto da Franck Goddio ha individuato nella baia di Abukir, dove una volta sorgeva la città di Heracleion, un relitto che confermerebbe quanto scritto da Erodoto nel Libro II, 96 1-5:

96 1) I loro battelli mercantili sono costruiti in legno di acacia; un albero somiglia molto al loto di Cirene, eccetto per la gomma che ne sgocciola. Tagliano da questa acacia tavole di circa due cubiti, che mettono insieme come mattoni, costruendo il battello come segue: 2) Collegano le tavole, di due cubiti, con lunghe e fitte costole; e quando hanno costruito in questo modo vi tendono sopra delle traverse. Nessun uso di tavole laterali. Turano le giunture con papiro; 3) apprestano un solo timone, che passa attraverso la carena. Per l’albero adoperano l’acacia e per le vele il papiro. Questi battelli non possono risalire il fiume se non soffia un forte vento, e vengono tirati da terra. Invece quando seguono la corrente, ecco come vanno: 4) c’è un graticcio costruito di tamerici, tenuto insieme da una stuoia di canne, e una pietra forata del peso di circa due talenti. Il graticcio viene gettato, legato a una fune, avanti al battello, così che il fiume lo porti in superficie, e dietro, con un’altra fune, la pietra. 5) La tavola, sotto la spinta della corrente, avanza veloce trascinando la “baris” – tale è il nome che hanno appunto questi battelli -, e la pietra, trascinata dietro e stando sul fondo del fiume, mantiene dritto il corso della navigazione. Gli egiziani hanno una grande quantità di questi battelli, di cui alcuni trasportano molte migliaia di talenti”.

csm_Ship_17_Cover_c6d2a7486dCome detto, la scoperta non è recente e le prime pubblicazioni sulla cosiddetta “Ship 17” risalgono al 2014, ma la notizia è tornata alla ribalta grazie all’uscita del volume (immagine a sinistra) di Alexander Belov, direttore dell’Oxford Centre for Maritime Archaeology e già autore di uno studio sul battello per il suo dottorato.

Quella che, secondo Belov, è proprio una baris risale alla metà del V-metà del IV sec. a.C. ed ha ancora il 70% della chiglia integro, un eccezionale stato di conservazione che ha permesso una comparazione con i dati forniti da Erodoto. La nave presenta un vasto scafo, in origine lungo 27-28 metri, a forma di mezza luna che non ha precedenti archeologici. La tipologia con timone assiale, seppur nota fin dalla VI dinastia in rilievi e modellini, non era mai stata documentata in un vero esemplare. Come nel testo sopra riportato, il fasciame è assemblato trasversalmente da “lunghe e fitte costole” in acacia che raggiungono i 2 metri, simili nel loro incastro a “mattoni”. Lungo l’asse centrale, invece, due fori a poppa servivano per il timone e un gradino sopraelevato per l’albero. Tuttavia, ci sono due differenze tra il relitto e la baris delle Storie: le dimensioni quasi doppie (2 cubiti corrispondono a 1,04 m) e la presenza di travi laterali atte a rinforzare punti particolarmente delicati della chiglia.

Categorie: pubblicazioni | Tag: , , , , , | 1 commento

Scoperto arsenale greco-romano nei pressi del Canale di Suez

Source: MoA

A Tell Abu Sefeh, località situata nel nord-ovest del Sinai, 3 km a est del Canale di Suez, gli archeologi egiziani hanno individuato un piccolo arsenale di epoca greco-romana. Nel sito si costruivano e riparavano imbarcazioni che venivano trasportate a secco in almeno due bacini di careneggio. Le due vasche in questione erano rettangolari e realizzate con muri in blocchi di calcare che, tuttavia, sono stati quasi tutti asportati e riutilizzati in epoche successive quando, a causa dell’insabbiamento del ramo pelusiaco del Nilo, la struttura perse la sua utilità. Il bacino più grande, quello est, è largo 6 metri e lungo 25.

La funzione del centro è stata confermata anche dai reperti ritrovati che, oltre a ceramica locale e importata e a resti di pesci, comprendono materiali e attrezzi tipici di un’officina navale come tavole di legno e chiodi in bronzo e ferro.

Categorie: scoperte | Tag: , , , , , | Lascia un commento

Scoperto nilometro a Tell Timai

01-nilometer-cairo-nile-river.adapt.590.1

Source: nationalgeographic.com

Questa notizia mi era sfuggita, ma, nonostante risalga ormai a due settimane fa, merita di essere segnalata. Gli archeologi diretti da Robert Littman e Jay Silverstein (University of Hawai’i, Manoa) hanno individuato un nilometro di età tolemaica a Tell el-Timai, a sud-est di Mansura nel Delta orientale. Il sito corrisponde all’antica Thmuis, città che, nel IV sec. a.C., divenne il capoluogo del 16° nomo del Basso Egitto al posto della vicina Mendes – distante solo mezzo chilometro – che fu abbandonata dopo lo spostamento del ramo mendesiano del Nilo. Proprio a questo braccio del delta era collegato il nilometro scoperto per caso durante scavi fognari. La struttura è composta da un pozzo del diametro di 2,4 metri in blocchi di calcare e da una scalinata che ne raggiunge il fondo. Lungo le pareti interne, sono incisi nomi in greco – forse dei finanziatori dell’opera – seguiti da numeri.

Il nilometro è datato al III sec. a.C. e, probabilmente, era connesso al vicino tempio tolemaico. L’importanza della scoperta sta nella rarità di queste costruzioni di cui conosciamo solo una ventina di esemplari in tutto l’Egitto (quello meglio conservato si trova a Elefantina). La loro funzione consisteva nel misurare l’altezza della piena che, prima della realizzazione della Grande Diga di Assuan, arrivava ogni anno con la stagione di akhet. In questo modo, era possibile prevedere l’andamento futuro del raccolto e, quindi, decidere la tassazione da applicare ai contadini: il livello ideale si aggirava intorno ai 3 metri; una piena troppo bassa avrebbe portato a un periodo di carestia, una troppo alta, invece, avrebbe creato danni ai campi. La presenza del nilometro, inoltre, conferma che qui passava un ramo del Delta ormai insabbiato.

Il sito della missione: www.telltimai.org

Categorie: scoperte | Tag: , , , , , | Lascia un commento

MOSTRA: “Il Nilo a Pompei. Visioni d’Egitto nel mondo romano” (Museo Egizio di Torino)

immagine

La scorsa settimana sono tornato al Museo Egizio di Torino e, con l’occasione, ho visitato la tanto attesa mostra “Il Nilo a Pompei. Visioni d’Egitto nel mondo romano”. Non a caso, come prima tappa del progetto “Egitto-Pompei”, l’esposizione, in poco più di due mesi dall’inaugurazione (5 marzo), ha raggiunto le 80.000 presenze per merito di un’intelligente campagna pubblicitaria e un argomento molto in voga negli ultimi anni: l’influenza dell’Egitto sulle culture del Mediterraneo e, in particolare, sul mondo romano. Come è chiaro dal titolo, l’attenzione è focalizzata sui siti campani che, come vedremo, sono stati i primi in Italia ad accogliere culti nilotici. Il visitatore si trova a compiere un viaggio dall’Egitto faraonico alla Roma imperiale, passando dall’Alessandria tolemaica e dalla Grecia arcaica e classica, attraverso più di 300 reperti provenienti da 20 musei italiani e stranieri (tra cui, 40 dal Museo Archeologico Nazionale di Napoli e 10 dal Museo del Sannio) esposti nei nuovi spazi al terzo piano (circa 600 m²) intitolati alla memoria di Khaled al-Asaad. Appare ovvio che un percorso del genere non sia sempre così facile da comprendere; d’altronde, nemmeno i Romani capirono a pieno l’essenza dei culti che avevano recepito dall’Oriente. Per questo, conviene prepararsi alla visita, leggere bene le didascalie e le citazioni riportare sui muri e concentrarsi più sul complesso che sul singolo reperto. Io ho avuto la fortuna di contare sulla presenza dei curatori della mostra, i dott.ri Federico Poole e Alessia Fassone, che hanno gentilmente fornito interessanti informazioni sull’organizzazione e sulle scelte a monte dell’esposizione.

1 (FILEminimizer)

Sala 1: L’Egitto e il mondo greco

Il percorso inizia con una sala piuttosto eterogenea per temi trattati e reperti esposti. Si tratta di un’introduzione che spiega i primi contatti, commerciali e culturali, tra l’Egitto e l’area dell’Egeo e il resto del Mediterraneo a partire dalle influenze minoiche riscontrate in una giara scoperta a Deir el-Medina fino agli aegyptiaca ritrovati nelle tombe italiche durante il “periodo orientalizzante” (VIII-VI sec.). Ciò che salta subito all’occhio è l’accostamento del cosiddetto Apollo Milani e una statua di faraone/dio di età tolemaica che da un lato evidenzia le somiglianze formali tra la statuaria egiziana e quella greca arcaica, dall’altro ne sottolinea le profonde differenze ideologiche. Il resto delle sculture presenti serve a sfatare un luogo comune che persiste dai tempi di Platone secondo cui l’arte egizia è sempre stata uguale per millenni.

2 (FILEminimizer)

Sala 2: Osiride, Iside e la leggenda osiriaca

La principale causa della presenza di oggetti egiziani o egittizzanti in contesti romani è l’adozione nel pantheon classico di Iside e altre divinità nilotiche. Così, nella seconda sala, la più prettamente egittologica, vengono presentati i miti religiosi originali prima che fossero modificati dall’interpretatio graeca e romana. Troverete quindi statue della triade Iside-Osiride-Horus e papiri che illustrano il loro ruolo nell’immaginario egiziano (nella foto, il Libro dei Morti di Hor, XXVI din.), oltre a un sarcofago di XXI dinastia decorato con scene cosmogoniche. Presente anche uno dei capolavori del Museo Egizio, la statua di Iside-Hathor da Coptos che, di solito, dà il benvenuto ai visitatori al piano interrato, ma che è stata temporaneamente sostituita dall’Iside Pelagia da Pozzuoli, troppo pesante per il pavimento soppalcato del 3° piano.

3 (FILEminimizer)

Sala 3: Serapide e Iside

Come anticipato, l’Egitto conosciuto dai Romani era quello tolemaico di Alessandria e gli oggetti che arrivarono nella penisola italica risultano spesso decontestualizzati e mal interpretati. Gli stessi dèi subirono una trasformazione che li adattò alla cultura d’adozione e li identificò con figure olimpiche. Abbiamo così gli accostamenti di Iside con Afrodite o con Fortuna, di Anubi o Thot con Hermes, di Amon con Giove, di Arpocrate con Eros ecc. Il simbolo di questo sincretismo, che testimonia un’apertura mentale maggiore rispetto ai moderni monoteismi, è Serapide, dio creato ‘a tavolino’ da Tolomeo I per fondere la tradizione egiziana con la nuova componente greca e che, non a caso, ebbe templi consacrati in tutto l’impero. La quarta sala -la più interessante secondo me- illustra proprio l’evoluzione di questi culti che, diventati misterici, arrivarono intorno alla fine del II sec. a.C. nei siti costieri campani come Pozzuoli e Cuma.

4 (FILEminimizer).JPG

Sala 4: L’Iseo di Benevento

Più tarda, invece, è l’attestazione della venerazione di Iside a Benevento dove probabilmente si trovava uno degli isei più importanti fuori dall’Egitto. Il condizionale è d’obbligo perché l’edificio non è mai stato individuato, ma la sua presenza nel Sannio è nota già nel 1826, quando Champollion in persona tradusse i geroglifici di due obelischi ritrovati in zona. Il testo, infatti, dice che il tempio fu costruito nell’88-89 per celebrare la vittoria in Dacia di Domiziano (forse rappresentato come faraone nella statua a sinsitra). Iside era diventata la divinità tutelare della dinastia flavia e il ritrovamento in zona di diverse statue importate dall’Egitto (sfingi, sacerdoti, Thot cinocefalo, Osiride-Canopo, Iside Pelasgia, Horus, toro Api) ne attesta l’importante ruolo diventato politico. La particolarità del santuario, che lo discosta dagli altri isei/serapei, sta nell’apparato decorativo che non è tipicamente romano, ma s’ispira a quello tradizionale egiziano.

5 (FILEminimizer)

Sala 5: Il culto di Iside a Pompei

Infatti, l’iseo di Pompei, ad esempio, perse tutte le caratteristiche egiziane. Il tempio, scoperto nel 1764, sia nell’architettura che nella decorazione, può essere considerato pienamente romano, come si vede dalla scena in alto che si riferisce al mito di Io accolta da Iside a Canopo (affresco asportato dal cosiddetto ekklesiasteiron). Lo stato attuale dell’edificio risale agli interventi del liberto Numerio Popidio Ampliato che lo fece ricostruire completamente dopo il terremoto del 62 d.C., ma il nucleo originario è collocabile intorno al 100 a.C. Dal culto pubblico, si passa poi a quello privato attestato dal ritrovamento di un centinaio di statuine in bronzo o argento di Iside, Serapide, Arpocrate, Bes e Anubi che erano poste nei larari, piccoli tempietti domestici presenti in quasi tutte le case di Pompei.

6 (FILEminimizer)

Sale 6, 7, 8: La Casa del Bracciale d’Oro, la Casa di Octavius Quartius e altre domus pompeiane

Tuttavia, nella città vesuviana, l’Egitto non era legato solo alla sfera religiosa. Oggetti egittizzanti o scene nilotiche esprimevano una vera e propria egittomania scoppiata dopo la vittoria di Ottaviano ad Azio nel 31 a.C. Sfingi, coccodrilli, pigmei diventarono semplici espedienti per rendere più esotica la propria dimora (come le statue poste ai lati del lungo canale nel giardino della Casa di Octavius Quartius; a destra nella foto) ma anche un simbolo propagandistico, in età augustea, per la celebrazione della conquista di un nuovo territorio. A quest’ultimo caso si riferiscono le splendide pitture del triclinio estivo della Casa del Bracciale d’Oro (a sinistra) che, pochi giorni fa, sono state raggiunte da un altro affresco con sfingi tornato in Italia -insieme a una rara statua di Hermes-Anubi da Cuma- dopo essere stato esposto a Madrid nella mostra “Cleopatra y la fascinación de Egipto”.

800px-Pastophoroi

Sala 9: Iside in Piemonte. Il sito di Industria

Il percorso termina chiudendo idealmente un circolo con il ritorno a Torino o, per la precisione, a 30 km dal capoluogo piemontese. L’ultima sala, infatti, è dedicata al sito di Industria, nell’attuale Monteu da Po, colonia romana fondata nel 124-123 a.C. L’insediamento era dedito al commercio e alle attività artigianali, in particolare alla lavorazione del bronzo. Qui, la presenza di numerosi bronzetti a tema egittizzante è stata spiegata con la scoperta, nel 1809, di un Serapeion di età augustea-tiberiana restaurato sotto Adriano.  Il tempio è stato identificato grazie ad alcune fonti epigrafiche, come una lastra bronzea del II sec. d.C. (a sinistra il rilievo) dedicata a Lucius Pompeius Herennianus, patrono del collegio dei pastophoroi (i sacerdoti preposti al culto di Iside).

 

 

 

Detto questo, consiglio caldamente di visitare la mostra perché, al di là del mio interesse personale per l’argomento, illustra con chiarezza le dinamiche che hanno portato la società romana a inglobare aspetti della cultura faraonica e, di conseguenza, spiega come mai tanti musei nostrani espongano reperti egizi o egittizzanti ritrovati in Italia. Avete tempo fino al 4 settembre (prorogata fino al 2 ottobre): http://www.museoegizio.it/nilo-pompei/

(Ringrazio Liliana Coviello per le foto)

Categorie: mostre/musei | Tag: , , , , , , , , | 5 commenti

Scoperto tratto del ramo pelusiaco del Nilo

A Tell el-Dafna, sito ad est del canale di Suez, 15 km a nord della città di Qantara, la missione egiziana diretta da Mohamed Abd el-Maqsoud ha individuato un tratto di 200 metri del ramo pelusiaco del Nilo (nell’area evidenziata di rosso nella cartina). La diramazione più orientale del Delta, cominciata a insabbiarsi dal I sec. d.C., era la principale via di navigazione per il Sinai. L’importanza strategica del luogo è testimoniata non solo dai resti di fortificazioni, costruite dal Nuovo Regno in poi per proteggere il cosiddetto “Cammino di Horus”, ma anche dalle fonti classiche. Per esempio, Erodoto definiva Daphnae come punto di guarnigione di Psammetico I (664-610) contro Arabi e Assiri. E proprio alla XXVI dinastia (664-525) appartengono alcune fornaci per la fusione del ferro scoperte dagli archeologi egiziani (vedi foto in basso). Purtroppo, non si hanno altri dati perché, come sempre succede per le missioni locali, le informazioni sono poche e confuse.

Source: english.ahram.org.eg

Source: english.ahram.org.eg

Categorie: scoperte | Tag: , , , , | 1 commento

Damietta, Scoperti quattro reperti di epoca romana e bizantina nel Nilo

Sorce:MSA

Source: MSA

A Damietta, città che si affaccia sul Mediterraneo nel Delta nord-orientale, le guardie di frontiera hanno scoperto fortuitamente quattro reperti che erano sommersi nell’acqua del Nilo, nell’area del porto da pesca di Ezbet El-Burg. Si tratta di due anfore e un capitello floreale in marmo di età romana e un piatto in ceramica invetriata verde di epoca bizantina.

Categorie: scoperte | Tag: , , , , | Lascia un commento

Gli antichi Egizi potrebbero aver deviato il corso del Nilo per proteggere Karnak

The_Nile_and_Egypt_by_day

 

Il corso del Nilo sarebbe stato deviato dagli antichi Egizi che, inoltre, avrebbero creato una diga-argine per proteggere Karnak dalle piene annuali del fiume. Questo è ciò che risulta dalla tesi di dottorato di Mansour Boraik, capo dell’Amministrazione Centrale delle Antichità del Medio Egitto, che ha studiato l’area esterna del complesso templare. Una struttura in pietra recentemente scavata, lunga 40 m, alta 7 e larga 3, risale al Nuovo Regno e potrebbe essere stata utilizzata come attracco per la zona sacra. A conferma di questa ipotesi, sono state ritrovate tracce di banchine e di muri su diversi livelli dove venivano trascinate le barche per lo scarico delle merci.

Effettivamente, studi geologici e geomorfologici del 1980 della NASA hanno rivelato che il corso del Nilo subì uno spostamento verso ovest tra il XXIV e il XV secolo a.C.

Categorie: pubblicazioni | Tag: , , , , , , | Lascia un commento

Crea un sito o un blog gratuito su WordPress.com.