Articoli con tag: oro

Damietta, scoperte 20 tombe di Epoca Tarda

Source: Ministry of Tourism and Antiquities

A Tell el-Deir, sito archeologico della città costiera di Damietta, la missione del Supremo Consiglio delle Antichità egiziane ha individuato 20 tombe di Epoca Tarda, risalenti soprattutto alla XXVI dinastia (672-525 a.C.). Le sepolture consistono in deposizioni all’interno di strutture in mattoni crudi o in pozzi funerari.

Tra gli oggetti del corredo scoperti spiccano alcuni amuleti in lamina d’oro rappresentanti divinità come Horus sotto forma di falco, Iside, Nefti, Bastet come gatto e altri simboli divini come l’occhio udjat, il pilastro djed, il nodo d’Iside, l’orizzonte Akhet ecc. Sono stati ritrovati anche diversi scarabei, statuette dei quattro Figli di Horus e modelli miniaturistici di vasi canopi (immagine in basso), tutto materiale coerente con quello rinvenuto nelle missioni degli anni scorsi.

Source: Ministry of Tourism and Antiquities
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Scoperte nel Delta mummie dalla lingua d’oro

Source: Ministry of Tourism and Antiquities

A Quesna (o Quweisna), località nel Delta 60 km a nord del Cairo, nota soprattutto per la necropoli dei falchi consacrati ad Horus, gli archeologi egiziani hanno scoperto una serie di sepolture risalenti a diverse epoche, tra cui spiccano tombe con mummie dalla lingua d’oro.

I corpi, seppur in cattivo stato di conservazione, hanno infatti rivelato la presenza di lamine auree all’interno della bocca, pratica che, durante l’epoca tolemaica, serviva ai defunti di parlare con Osiride. L’oro era usato anche per coprire direttamenti i cadaveri secondo una tradizione tipica soprattutto dell’epoca romana, mentre altre lamine del prezioso metallo erano in forma di scarabei e fiore di loto. Sono stati ritrovati anche numerosi amuleti funerari e scarabei in pietra, vasi di ceramica e strumenti per la mummificazione, mentre dei sarcofagi si sono preservati solo frammenti di legno e chiodi in bronzo.

La necropoli mostra diverse fasi di utilizzo, dall’epoca tarda a quella romana, passando per il periodo tolemaico. La peculiare struttura architettonica consiste in una stanza esterna con copertura a volta in mattoni crudi, un pozzo funerario e due camere sotterranee.

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Gioiello egizio in oro scoperto in una tomba a Cipro

ph. Peter Fischer, Teresa Bürge

I rapporti tra Egitto e Cipro, fondati soprattutto sul commercio del rame cipriota, sono ben documentati sia dalle fonti scritte – in cui l’isola, come nelle “Lettere di Amarna, era chiamata Alashiya – sia dalla presenza di oggetti rispettivamente importati in entrambi i paesi. La missione svedese della Söderberg Expedition, diretta da Peter M. Fischer (Università di Gothenburg), a Hala Sultan Tekke ha da poco fornito un ulteriore traccia di questi contatti.

Il sito di Hala Sultan Tekke, città portuale fiorita tra 1650 e 1150 a.C. lungo la costa sud-orientale di Cipro, nei pressi dell’odierna Larnaca, con i suoi 25-50 ettari di estensione era probabilmente uno dei centri più grandi del Mediterraneo durante l’Età del Bronzo. Tale importanza era dovuta ai traffici che l’emporio intratteneva non solo con la Valle del Nilo ma anche con Creta, la Grecia continentale, il Levante, l’Anatolia e la Sardegna, a cui inviava rame e tessuti tinti di porpora.

A est del nucleo abitato si trova la ricca necropoli, dalle cui tombe e pozzi d’offerta sono emersi reperti che testimoniano l’opulenza delle classi elitarie della città e i contatti con paesi stranieri. In particolare, nel 2018 il team di Fischer ha scoperto due sepolture familiari a camere ipogee, risalenti a 3400 anni fa, che contenevano ben 155 corpi e oltre 500 oggetti del corredo funebre. Tuttavia, la fragilità delle ossa ha imposto una lenta fase d’indagine che si è conclusa solo recentemente, rivelando vasi micenei e nuragici, sigilli a cilindro dalla Mesopotamia, corniola dall’India, lapislazzuli dall’Afghanistan, ambra dal Baltico e altri oggetti di lusso in oro, argento, bronzo, avorio e gemme preziose.

Tra questi, molti provenivano dall’Egitto, come resti di pesci nilotici (offerte di cibo?), scarabei, amuleti in faience e soprattutto un ciondolo in oro e intarsi di pietre dure in forma di bocciolo di loto (foto in alto), che gli archeologi svedesi hanno datato intorno al 1350 a.C. La tomba in questione è stata scavata nel 2020.

https://www.gu.se/en/news/gold-jewellery-from-the-time-of-nefertiti-found-in-bronze-age-tombs-in-cyprus

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Scoperte 30 monete d’oro di oltre 1000 anni nel Fayyum

Source: Ministry of Tourism and Antiquities

Per una volta, l’utilizzo della parola “tesoro” – o meglio, “tesoretto” – riferita a una scoperta non è improprio. Nel gergo archeologico, infatti, un tesoretto è un gruppo di monete nascosto in antichità, ma mai più recuperato.

In questo caso, il gruzzolo è davvero consistente perché la missione egiziano-russa a Deir el-Banat, sul bordo sud-orientale del Fayyum, ha ritrovato un sacchetto di lino, ancora chiuso con un sigillo in argilla, che contenevale 33 monete risalenti alla dinastia abbasside.

Tra queste ci sono 28 dinar d’oro coniati durante i califfati di Al-Mu’tasim Bi’llah (833-842), Al-Muqtadir Bi’llah (908-932) e Al-Radi Bi’llah (934-940). Si tratta sicuramente di una delle più importanti scoperte effettuate nel sito da quando, nel 2003, è partita la prima campagna di scavo, all’inizio solo russa. Nell’area, negli anni scorsi sono state individuate anche mummie di epoca greco-romana e altre testimonianze di età copta e islamica.

http://www.cesras.ru/deyatelnost/arheologiya/fajjum-dejr-al-banat

Source: Ministry of Tourism and Antiquities
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Sudan, sito meroitico completamente distrutto dai cercatori d’oro

Source: Ebrahim Hamid /AFP

La Nubia è sempre stata per gli Egizi la principale fonte di approviggionamento dell’oro, tanto che il suo nome deriva da “nwb“, termine che designava in antico egiziano il prezioso metallo. Ancora oggi il Sudan è il terzo paese produttore d’oro in Africa, con un fatturato stimato per il 2019 di 1,22 miliardi di dollari.

Purtroppo, accanto alla normale estrazione aurifera, spesso si verificano azioni illegali di cercatori non autorizzati che, come in questo caso, non guardano in faccia nemmeno alle vestigia archeologiche. È di ieri, infatti, la notizia di un sito di età meroitica (IV sec. a.C. – IV sec. d.C.) completamente distrutto da escavatori meccanici. Di Jabal Maragha – un piccolo insediamento o checkpoint carovaniero nel deserto di Bayuda, 270 km a nord della capitale Khartum – rimane solo una voragine profonda 17 metri e lunga 20.

I fatti, però, risalgono allo scorso luglio quando Habab Idriss Ahmed, archeologo che scavò il sito nel 1999, e alcuni suoi colleghi si erano recati sul luogo per una visita di controllo scortati dalla polizia. Al loro arrivo avevano trovato cinque uomini che sono stati fermati ma rilasciati subito dopo. Alcuni antichi blocchi erano stati addirittura accatastati per creare un punto d’ombra.

Ma all’enorme danno si è aggiunta un’ulteriore beffa. Come affermato da Hatem al-Nour, Direttore delle antichità e dei musei del Sudan, i cercatori sarebbero stati ingannati dalla pirite presente tra l’arenaria del terreno e avrebbero scavato, seguendo i segnali del metal detector, in un punto dove di oro non c’è traccia.

https://www.msn.com/en-us/news/world/gold-hunting-diggers-destroy-sudans-priceless-past/ar-BB18hYiy

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Scoperte 83 tombe nel Delta orientale

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Source: Ministry of Tourism and Antiquities

A Kom el-Khilgan, sito predinastico della provincia di Daqahlliya nel Delta orientale, gli archeologi egiziani hanno scoperto 83 tombe, per lo più antiche di oltre 5000 anni. La necropoli era stata individuata e scavata già nei primi anni 2000 dall’IFAO, mettendo in luce un’importante fase di transizione verso l’unificazione, almeno culturale, dell’Egitto grazie alla presenza di ceramica della cultura Buto-Maadi, tipica del Nord, e quella meridionale di Naqada III.

84660238_2848669718511993_7513813609521086464_n79 delle nuove tombe scoperte dal team di Sayed Fathi el-Talhawi, direttore generale delle Antichità di Daqahlliya, risalgono proprio al IV millennio e sono composte da fosse ovali scavate nella sabbia con il defunto deposto in posizione fetale, spesso all’interno di casse funerarie in terracotta. Questa particolarità è un unicum per il periodo e l’area ed è solo il secondo caso noto dopo quello individuato a Tell el-Farkha dagli egittologi polacchi. Ad accompagnare i morti c’erano in genere vasi di diverse forme, ma sono stati trovati anche piccoli modellini d’imbarcazione in ceramica, due conchiglie di ostrica e due palette in pietra – una rettangolare e una tonda – con un ciottolo per macinare i minerali da trucco (foto a sinistra, angolo in basso a destra).

Molto più recenti sono invece i resti di forni ed edifici in mattoni crudi risalenti al II Periodo Intermedio (1650-1550 a.C.). Le fondazioni di una di queste strutture si istallano su quattro sepolture, tre di adulti e una di un bambino (foto in basso a sinistra), come da tradizione asiatica che comincia a vedersi in Egitto con gli Hyksos. Tra gli oggetti di corredo spiccano amuleti in oro e pietre semi-preziose come l’ametista (foto in basso a destra).

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Il Metropolitan restituisce all’Egitto il sarcofago di Nedjemankh

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Source: Daily Mail

Lo scorso febbraio, con un vero e proprio colpo di scena, il Metropolitan Museum of Art di New York chiudeva in anticipo la fortunata mostra temporanea “Nedjemankh and His Gilded Coffin” che si avviava a superare il mezzo milione di visitatori in soli sei mesi. Infatti, il pezzo principale dell’esposizione, il sarcofago dorato di Nedjemankh per l’appunto, risultava essere uscito illegalmente dall’Egitto e arrivato negli USA attraverso il mercato nero. Così, una volta appurata la falsità dei documenti ottenuti con l’acquisto, il presidente del MET, Daniel Weiss, aveva subito chiesto scusa al popolo egiziano e si era impegnato a restituire al più presto il prezioso reperto.

Ieri si è finalmente concretizzata questa promessa con una conferenza stampa e la consegna ufficiale dell’oggetto alle autorità egiziane, alla presenza del ministro degli Esteri, Sameh Hassan Shoukry, del procuratore distrettuale di Manhattan, Cyrus Vance, e dell’agente incaricato della Homeland Security Investigations, Peter C. Fitzhugh.

La novità dell’operazione sta proprio nei protagonisti che, per una volta, non si sono mossi dopo una richiesta di restituzione dall’Egitto ma attraverso una serie di indagini interne dell’Antiquities Trafficking Unit che ha scandagliato a lungo i percorsi sommersi che portano opere d’arte a gallerie, case d’asta e musei della Grande Mela.

Nedjemankh era sommo sacerdote del dio dalla testa di ariete Herishef, vissuto nel I secolo a.C. a Herakleopolis, città a sud del Fayyum. Il grande valore del suo sarcofago non è dato solo dal materiale con cui è realizzato, ma soprattutto dalla rarità del modello. L’intera superficie della bara, infatti, è coperta da testi e scene religiose incise su uno strato dorato di cartonnage che, a sua volta, decora la struttura in legno. Nella parte interna si trova, a protezione del volto del defunto, addirittura una foglia d’argento, metallo che in Egitto era ancora più prezioso dell’oro.

Il sarcofago è stato probabilmente trafugato durante il caos scaturito dopo la rivoluzione del 2011 nell’area di Minya. In quel periodo perfino il museo della città era stato assaltato da una folla senza controllo e non tutti i suoi reperti sono stati ancora recuperati. In ogni caso, il sarcofago sarebbe finito prima negli Emirati Arabi, poi in Germania e infine a Parigi, in particolare nella casa d’aste Christophe Kunicki dove è stato acquistato dal Metropolitan nel 2017, per 4 milioni di dollari.

Ad accompagnare il pezzo c’era una serie di documenti rivelatisi falsi, come una licenza di esportazione del 1971, data precedente alla promulgazione della legge 117 del 1983 sulla tutela delle antichità egiziane.

Secondo quanto detto dal ministro Shoukry, il sarcofago sarà rimpatriato nei prossimi giorni in Egitto, dove sarà esposto nel 2020

Aggiornamento (01/10/2019):

Arrivato in Egitto, stamattina il sarcofago di Nedjemankh è stato ufficialmente presentato a stampa e ambasciatori stranieri presso il National Museum of Egyptian Civilization di Fustat, museo dove sarà esposto al pubblico già nei prossimi mesi.

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Source: MoA

Aggiornamento (30/06/2020):

Le indagini sono andate avanti in Francia e hanno coinvolto nomi altisonanti, non tutti fatti trapelare: sono stati arrestati il noto esperto d’archeologia del Mediterraneo e membro del comitato della Société Française d’Égyptologie Christophe Kunicki e il marito e socio Richard Sampaire, un ex curatore del dipartimento del Vicino Oriente del Louvre, il presidente della Pierre Bergé & Associés, una delle case d’asta più amose al mondo e un altro banditore parigino.
 
Oltre al sarcofago di Nedjemankh, sarebbero molti altri i reperti provenienti da paesi in guerra o sconvolti dalla primavera araba, come Egitto, Libia, Siria e Yemen, venduti illegalmente a inconsapevoli musei, Louvre di Abu Dhabi o il già citato Metropolitan tra tutti, e privati.
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Iniziato il restauro del sarcofago esterno di Tutankhamon

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Source: MoA

Dopo oltre 95 anni dalla sua scoperta, uno degli ultimi oggetti del corredo funerario di Tutankhamon rimasti ancora in situ ha lasciato la Valle dei Re per essere trasportato nei laboratori del Grand Egyptian Museum. Era infatti il 12 febbraio 1924, quando gli operai di Howard Carter sollevarono il pesante coperchio della grande bara in quarzite che occupa buona parte della camera funeraria e misero in luce il sarcofago esterno in legno dorato (Carter n. 253) portato al Cairo nei giorni scorsi. Il sarcofago, a sua volta aperto il 13 ottobre 1925, era solo il primo di tre casse antropoidi che rappresentano il faraone defunto in forma osiriaca e che contenevano la mummia di Tutankhamon, per ora lasciata nella KV 62.

Il trasporto è stato effettuato il 12 luglio, sotto la scorta della Polizia Turistica e delle Antichità e utilizzando uno speciale sistema anti-vibrazioni e con controllo di temperatura e umidità. Già a un primo esame preliminare, è emerso un cattivo stato di conservazione dell’oggetto con diverse fratture e parti staccate della superficie dorata dell’intonaco esterno, tamponate momentaneamente già nella tomba dai restauratori del Ministero delle Antichità. Infatti, secondo Eissa Zidan, responsabile del dipartimento di Primo intervento di restauro e Trasporto dei reperti, il 30% del sarcofago sarebbe danneggiato. Una volta al GEM, è stata portata avanti una settimana di quarantena e dal 22 luglio il reperto è sotto una tenda isolante (foto in basso) per le procedure di fumigazione atte a sterilizzare e a eliminare l’eventuale presenza di insetti, funghi e muffe.

Ieri il ministro Khaled el-Enany ha presentato alla stampa la successiva fase di restauro che, in 8 mesi, porterà il sarcofago ad essere pronto per l’esposizione nel nuovo museo che dovrebbe aprire parzialmente nella primavera del 2020 e definitivamente nel 2022, in occasione del centenario dalla scoperta della tomba di Tutankhamon. Prima di tutto, si effettueranno esami non invasivi per definire lo stato dei materiali e scegliere le strategie più adatte. Poi si procederà con la pulizia delle superfici e la ricollocazione dei frammenti staccati.

Il sarcofago sarà esposto presso il GEM insieme ai due che erano nel Museo Egizio del Cairo di Piazza Tahrir e ai 5398 oggetti del corredo funerario di Tutankhamon, di cui 4500 sono già stati trasferiti nella nuova sede.

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Source: MoA

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Delta, scoperto sarcofago con scarabeo d’oro

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Source: MoA

55726295_2223079501071021_7997631178515415040_nA Quesna, sito estrattivo 100 km a nord del Cairo,  una missione egiziana ha scoperto un sarcofago antropoide in calcare che conteneva due mummie. La bara, lunga 2 metri e larga 60 cm, è in buono stato di conservazione, cosa che non si può dire invece dei due corpi disposti l’uno sull’altro al suo interno (foto a sinistra). Tuttavia, su una delle mummie è stata trovata un’applique in oro a forma di scarabeo (foto in basso).

Nell’area, utilizzata per sepolture dell’Antico Regno e dal Periodo Tardo all’Epoca tolemaica, sono stati individuati anche altri corpi accompagnati da diverse tipologie di oggetti che variano a seconda della datazione della tomba: uno scarabeo in faience, tre coperchi di canopi in calcare, vasetti, anfore, piatti, chiodi e monete in bronzo tolemaiche.

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Le decorazioni d’oro dal sarcofago di Alessandria

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Source: MoA

Esattamente un mese fa, le testate giornalistiche di tutto il mondo avevano mostrato ai lettori le immagini forti di tre scheletri che emergevano da uno scuro liquido maleodorante all’apertura di un grande sarcofago scoperto casualmente ad Alessandria d’Egitto.  Ma l’attenzione del pubblico era già stata catalizzata sulla vicenda nelle settimane precedenti, speculando sul possibile proprietario – o, meglio, proprietari – della bara in granito nero.

Oggi sappiamo qualcosa in più dei defunti ritrovati. Gli antropologi del Ministero egiziano delle Antichità, diretti da Zeinab Hashish, hanno infatti terminato gli esami preliminari sui resti ossei dopo averli ripuliti e lasciati asciugare. Grazie alla valutazione morfometrica di crani, bacini e femori, si è risaliti al genere e all’età dei tre individui: una donna di 20-25 anni, alta 1,60-1,64 metri, e due uomini, rispettivamente di 35-39 e 40-44 anni e 1,60-1,66 e 1,79-1,85 metri di altezza.

Inoltre, a un esame più attento, Hashish ha affermato che la lesione sul lato destro del cranio del più anziano non è, come dichiarato in un primo momento, il foro di una freccia ma la probabile traccia di una trapanazione. Tale pratica chirurgica, praticata fin dal Neolitico ma rara in Egitto, prevedeva l’incisione della calotta cranica per scoprire la dura madre, la parte più esterna delle meningi, al fine di curare malattie vere o presunte tali. I bordi del taglio in questione, dal diametro di 1,7 cm, sono arrotondati ed è visibile la formazione di nuovo tessuto osseo, fattori che indicano che l’uomo sopravvisse a lungo all’operazione.

Tuttavia, per il momento non è ancora possibile dare una datazione più precisa alla tomba, comunque collocabile nel periodo greco-romano (332 a.C. – 391 d.C.), anche perché i tre morti potrebbero appartenere ad epoche diverse. Infatti, secondo Mostafa Waziry, segretario generale del Supreme Council of Antiquities, gli scheletri si trovavano uno sull’altro ad indicare almeno due fasi distinte di utilizzo del sarcofago. Maggiori informazioni arriveranno solo dopo la TAC, l’analisi del DNA e, soprattutto, la datazione al carbonio-14.

Verrà esaminato anche il liquido rossastro che copriva gli scheletri, un mix di liquami sversati da una moderna fogna e del rivestimento decomposto delle mummie. Liquido che nascondeva anche ciò che resta del corredo funebre: sottili placche in foglia d’oro di 3×5 cm, decorate con motivi che, secondo Waziry, indicherebbero il rango militare di uno dei defunti. Tuttavia, le incisioni sembrerebbero rappresentare figure legate alla sfera della medicina e della protezione in generale, come una capsula di papavero da oppio all’interno di un tempietto, una spiga di grano o un cespo di lattuga e un agathos daimon (“Spirito buono”), divinità in forma di serpente venerata nel mondo greco e romano perché tutelare di luoghi come campi di cereali, vigneti e la città stessa di Alessandria.

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Source: MoA

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