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Il ramo prosciugato del Nilo che aiutò la costruzione delle piramidi

Credits: Alex Boersma/Proceedings of the National Academy of Sciences (2022)

È ormai assodato, grazie a fonti scritte e passate ricerche archeologiche, che gli oltre 2 milioni di pesanti blocchi di calcare e granito utilizzati per la costruzione delle piramidi di Cheope, Chefren e Micerino furono trasportati dalle cave attraverso rampe e poi per via fluviale. Tuttavia, l’attuale corso del Nilo, lontano 7 km da Giza, faceva presupporre l’esistenza di canali ormai asciutti che si avvicinassero al sito. Un recente studio, diretto da Hader Sheisha (CEREGE, Université Aix-Marseille), ha tracciato la storia paleoambientale del cosiddetto “ramo di Khufu” che collegava l’alveo principale del Nilo a un porto fluviale a ridosso dell’area funeraria.

I ricercatori hanno tracciato le variazioni del livello dell’acqua negli ultimi 8000 anni raccogliendo campioni di antichi pollini e analizzando dati di studi precenti. L’aumento dell’altezza sarebbe coinciso con il Periodo Umido Africano (Ahp), tra 14.800 e 5.500 anni fa, quando, per via di variazione dell’orbita della Terra attorno al Sole, gran parte del deserto del Sahara fu coperto da graminacee, alberi e laghi. Tuttavia, anche intorno a 4700-4200 anni fa, periodo in cui rientra la costruzione delle piramidi, il bacino restò comunque navigabile, trattenendo il 40% della capienza d’acqua, senza il pericolo di inondazioni.

Tale conclusione è derivata dalla presenza, in zone ormai desertiche, di pollini di 61 specie di vegetazione che di solito costeggiano il fiume, come piante erbacee e palustri quali la tifa e il papiro. Successivamente, però, una lunga fase d’inaridimento portò alla graduale cancellazione del ramo di Khufu e al conseguente ‘allontanamento’ del Nilo, fino a renderlo completamente secco in periodo tolemaico (IV-I sec.).

L’articolo originale su Proceedings of the National Academy of Sciences: https://www.pnas.org/doi/10.1073/pnas.2202530119

Credits: Proceedings of the National Academy of Sciences (2022)
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Elon Musk, piramidi, alieni e il declino del giornalismo

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Venerdì scorso, l’istrionico miliardario Elon Musk ha pubblicato uno dei suoi – almeno in apparenza – sconclusionati tweet in cui afferma che le piramidi sarebbero state costruite degli alieni. Subito dopo ha aggiunto un altro messaggio che fa riferimento a Ramesse II; forse meno eclatante, ma ci servirà comunque più tardi per parlare di giornalismo e comprensione del testo:

A prima vista, soprattutto conoscendo il personaggio e le sue provocazioni, il tweet sembrerebbe una trollata, probabilmente pensata per creare scalpore (obiettivo più che centrato) e conseguente attenzione mediatica sull’ultima impresa della SpaceX, l’azienda aerospaziale di Musk.

A distanza di ore però, forse spinto dalle migliaia di reazioni di protesta, il geniale imprenditore ha aggiunto due ulteriori tweet in cui ha linkato la pagina wikipedia dedicata alla Piramide di Cheope e un articolo della BBC in cui l’egittologa Joyce Tyldesley racconta come sono state effettivamente costruite le piramidi. Tra le risposte critiche spicca soprattutto la presa di posizione ufficiale dell’Egitto che, tramite il famoso archeologo Zahi Hawass e l’ex ministra del Turismo (oggi della Cooperazione Internazionale) Rania al-Mashat, ha bollato le parole di Musk come una “totale allucinazione” e lo ha invitato a vedere di persona le evidenze archeologiche.

Come detto, non è la prima volta che Musk ‘cinguetta’ le sue controverse opinioni: nei mesi scorsi si era schierato con Trump minimizzando la pericolosità del Covid-19 e ritenendo fascisti i provvedimenti di lock-down; a maggio, invece, aveva fatto infuriare gli azionisti della sua stessa azienda, la Tesla, dichiarando che le azioni valessero troppo; senza contare poi la scelta del nome X Æ A X-II per il figlio.

E ogni volta la stampa ne approfitta per pubblicare articoli dal contenuto piuttosto scarno ma dal facile guadagno di click. Niente di nuovo: tra giornalismo tradizionale su carta stampata e quello online passa un abisso e anche i siti di testate serie sono costretti a rincorrere il pubblico proponendo pezzi di gossip e video di gattini rubati da YouTube. Questo tipo di comunicazione, tra clickbaiting e mancanza di tempo (e voglia) per verificare e approfondire le notizie, crea spesso disinformazione e veicola dannose fake news. Ovviamente, visti gli attuali 550 mila like, 88 mila condivisioni e quasi 27 mila commenti, tutti i quotidiani italiani hanno ripreso il tweet di Musk, ma in un caso particolare, come vedremo, è stato oltrepassato ogni limite di decenza.

 

Prima, però, vorrei tornare sul secondo tweet e soffermarmi sul corretto uso del virgolettato. Il messaggio, che in realtà non è chiarissimo, è stato tradotto dal Fatto Quotidiano, la Repubblica, il Messaggero, il Mattino, il Giornale e Sky TG24 “Ramesse II era un alieno”. L’ipotesi è legittima, vista la rapida successione con il primo tweet; il problema è che quasi tutti i giornali appena citati l’hanno segnalata come citazione. Pur ammesso che Musk intedesse proprio quello e non volesse scrivere la solita frase randomica, è comunque sbagliato riportare tra virgolette la traduzione di un testo che non esiste. Il messaggio originale infatti recita “Ramses II was 😎” e sì, è sicuramente interpretabile come “Ramesse II (lo) era, (un alieno)”, ma alcune testate straniere, come il Daily Star e lo Spiegel, considerano semplicente l’effettivo significato dell’emoji con gli occhiali da sole: “Ramses era cool/figo”.

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Se questi ed altri giornali si sono giustamente limitati a riportare i fatti (e, un po’ meno correttamente, a copiarsi a vicenda nel chiamare Hawass “Zari”), la Stampa è andata oltre. Tralasciando il refuso nel titolo e che SpaceX non sia l’astronave ma l’azienda che l’ha sviluppata, l’articolo, a firma di Vittorio Sabadin, è un insieme di tesi cospirazionistiche, ipotesi fantarcheologiche e offese alla categoria degli egittologi. Un pezzo che non si può nemmeno definire clickbait perché le parti più estreme sono nel corpo del testo, fra l’altro consultabile dai soli abbonati.

Il giornalista va in difesa di Elon Musk prendendolo sul serio perché “ci sono ottime ragioni di pensare che una civiltà superiore abbia costruito le piramidi”. Le ragioni consistono nella solita sfiducia nelle capacità umane e nella mancanza di contestualizzazione dei dati storici. Secondo Sabadin, l’Egittologia non saprebbe rispondere a diverse domande: Com’è possibile che le piramidi siano state costruite senza mezzi adeguati? Per quale motivo? Perché quelle di Giza sono più grandi delle successive? Perché non sono stati trovati corpi al loro interno? Perché non sono iscritte? Perché i geroglifici, come le altre conoscenze scientifiche, sono apparsi all’improvviso? Se solo si fosse documentato su pubblicazioni del settore oltre che su blog di ufologia e su datati best seller di fantarcheologia (i cui autori sono stati costretti più volte a ritrattare le loro tesi di fronte a dati inconfutabili), Sabadin avrebbe letto di tutti quei lunghi processi evolutivi che hanno portato ai tratti caratteristici della civiltà egizia. Avrebbe saputo che i geroglifici non sono spuntati dal nulla, ma sono nati, come altre forme di scrittura, per questioni di controllo amministrativo: lo testimoniano le etichette con proto-geroglifici della tomba U-j di Umm el-Qa’ab (3320-3150 a.C.). Avrebbe visto i tanti tentativi che, da Djoser fino a Snefru, hanno permesso di arrivare alla forma classica piramidale ancor prima di Cheope. Avrebbe scoperto i motivi economici e ideologici che spiegano le minori dimensioni delle piramidi di V e VI dinastia. Sarebbe venuto a conoscenza delle evidenze archeologiche che illustrano come erano spostati i pesanti blocchi all’epoca. E così via. Poi, delle prove schiaccianti che legano Cheope alla Grande Piramide ho già parlato e non vorrei ripetermi per l’ennesima volta.

In realtà, tesi sugli antichi astronauti ci sono sempre state, anche se non mi sarei mai aspettato di trovarle riportate così acriticamente su un quotidiano di questo livello (e siamo troppo lontani dal 1 Aprile). D’altronde, già nel 1935 l’ufficiale britannico Noel Wheeler coniava la parola “pyramidiot” per definire i ciechi seguaci di certe ipotesi alternative. Proprio perché abituato, non mi sarei arrabbiato così tanto se il giornalista non avesse buttato fango sul nostro lavoro, rappresentando gli egittologi da un lato come una loggia massonica che tiene per sé chissà quale verità, dall’altro come pavidi bugiardi attaccati al posto di lavoro: “In pubblico ogni egittologo che tiene alla sua carriera non ha dubbi sul fatto che le tre piramidi di Giza siano state costruite da Cheope, Chefren e Micerino intorno al 2.500 a.C.. In privato molti cominciano ad ammettere che quella egizia è forse stata una civiltà «imitativa», che ha copiato da altri cose che non sapeva fare.”

Gli egittologi non hanno un editore che detta loro la linea da tenere. Studiano, raccolgono e analizzano dati, formulano ipotesi e le pubblicano, venendo poi valutati per i risultati raggiunti e per il metodo adottato. Sabadin è liberissimo di esprimere la sua opionione, anche se non supportata da prove, di ritenere più logico che “le tre piramidi di Giza siano state costruite da una civiltà superiore in un’epoca molto più antica”; ma, invece di mettere in dubbio la professionalità di seri studiosi sulla base di baggianate, forse farebbe bene a parlare con qualcuno di loro. Ne trova un bel po’ a soli 2,5 km dalla sede del giornale in cui lavora.

 

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10.000 AC (blooper egittologici)

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Finalmente risponderò alla domanda più annosa della storia dell’egittologia: come sono state costruite le piramidi?

Semplice; i blocchi erano trainati da mammut.

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Almeno questa è la risposta tratta dal film “10.000 AC”, pellicola di avventura storica – o meglio, preistorica – che presenta un passato decisamente alternativo. In questa reinterpretazione fantastica di un periodo così remoto, Roland Emmerich torna a parlare anche dell’origine della civiltà egizia con un altro luogo comune fantarcheologico. Infatti, se in Stargate lo sprint evolutivo alla società preistorica era stato fornito da un’entità aliena, 14 anni dopo (2008) il regista e sceneggiatore collega lo sviluppo tecnologico – non ai livelli di navicelle spaziali e viaggi interdimesionali, ma comunque spropositato per 12000 anni fa – ad Atlantide.

17mt2izqly5rjjpgLa storia si svolge dal periodo esplicato dal titolo stesso del film, tra la tribù degli Yagahl, cacciatori primitivi che vivono in remota regione montuosa. Tra questi, il protagonista è il giovane D’Leh (Steven Strait; immagine a sinistra) che, riuscendo fortunosamente ad uccidere un mammut, riceve le insegne del potere. Tuttavia, la tranquillità del gruppo viene sconvolta dall’attacco di misteriosi guerrieri a cavallo – dagli evidenti tratti somatici arabeggianti – che catturano alcuni mastodonti e rapiscono anche diversi membri della tribù, tra cui la ragazza dagli occhi blu Evolet (Camilla Belle). Questo è l’evento scatenante dell’avventura e da qui in poi si assiste all’inseguimento di D’Leh che cercherà di salvare la sua amata attraverso terre sconosciute.

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Balzano subito all’occhio i primi anacronismi e incongruenze geografiche. Si vedono armi in ferro quando saremmo in pieno Mesolitico e cavalcature che anticipano la domesticazione del cavallo di 6/7000 anni e di ancor di più l’utilizzo dell’animale in battaglia; inoltre, i mammut – se si esclude un unico caso – erano già estinti e gli occhi azzurri comparvero a causa di una mutazione genetica verificatasi solo 7000 anni fa circa. Non è ben chiaro nemmeno dove sia la terra di origine di D’Leh, anche perché il guerriero durante il suo viaggio incontra prima una foresta pluviale, poi savane con precoci tracce di agricoltura e infine il deserto che costeggia il “grande serpente” Nilo.

10000-bc-5Si viene a sapere, infatti, che i predoni altro non sono che Egiziani inviati a procacciare schiavi e grandi animali da traino da impiegare nella costruzione delle piramidi, anche dette “montagne degli dèi”. D’Leh incontra diverse tribù che hanno subito la stessa sorte e che si alleano con lui seguendo una profezia che lo vede come liberatore perché risparmiato dallo smilodonte “Denti a Lancia”.

In tutto questo l’Egitto compare solo dopo un’ora di girato, attraverso un mega cantiere con i già citati mammut da soma e centinaia di migliaia di schiavi che lavorano alla costruzione di due delle tre piramidi di Giza.In generale, troviamo la fiera delle tesi alternative di Graham Hancock, Robert Bauval e tutti gli altri scrittori di fantarcheologia di cui mi occupo nella rubrica “bufale eGGizie“: le piramidi sono allineate con la costellazione di Orione, sono state costruite 12.000 anni fa e la Grande Sfinge appare con la testa di leone (immagine in basso).

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Un simile grado evolutivo, con vaste città piene di templi con corti e piloni tipici del Nuovo Regno, ovviamente stona con l’effettiva realtà dell’Egitto del Mesolitico che era caratterizzato da diverse culture locali semi-sedentarie che vivevano delle risorse trovate lungo le rive del Nilo, nel Fayyum e nel deserto. Nella finzione del film, invece, la società è retta dal malvagio Onnipotente, un altissimo uomo nascosto da veli e venerato come un dio. Le sue origini sono spiegate da una mappa disegnata su papiro che, oltre a delineare con precisione tutti i continenti comprese le Americhe, pone al centro dell’Oceano Atlantico una grande isola da cui “gli abitanti volarono via quando fu sommersa dalle acque” (immagine in basso). Tale posizione non è casuale e fa riferimento al mito originario di Atlantide che, descritta per la prima volta da Platone nel Timeo (360 a.C.), viene collocata oltre le Colonne d’Ercole.

Il resto non ve lo racconto anche perché il film termina con uno scontatissimo quanto frettoloso lieto fine.

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Bufale eGGizie*: l’uovo che data le piramidi a 6000 anni fa

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(*A scanso di equivoci, il nome della rubrica contiene volutamente un errore ortografico per sottolineare il carattere a dir poco ridicolo di alcune notizie riguardanti l’Egitto che circolano nel web e non solo)

Per Pasqua non potevo farvi mancare un bell’uovo, anche se spero non vi offendiate se ha più di 6000 anni. Sarà un po’ stantio, ma il pensiero è quel che conta! Si tratta, infatti, di un uovo di struzzo che risale al 4400-4000 a.C. (Naqada I) e che, attualmente, è esposto nel Museo Nubiano di Assuan. Tuttavia, il cosiddetto “Uovo di Assuan” è famoso soprattutto per la sua particolare decorazione che ha spinto alcuni fantasiosi amanti della fantarcheologia a utilizzarlo come pretesto per la solita retrodatazione delle piramidi di Giza. Sulla superficie del guscio, sarebbe incisa una perfetta cartina geografica della Valle del Nilo con la rappresentazione del corso del fiume fiancheggiato dalle terre fertili, della pseudo-oasi del Fayyum e del profilo dei tre monumenti funebri posti proprio a nord-ovest (immagine in alto). Così, le piramidi non sarebbero opera di Cheope, Chefren e Micerino, ma risalirebbero ad almeno due millenni prima. I tre triangoli si ripetono anche nell’altro lato dell’uovo, questa volta affiancati da una linea zigzagante ancora una volta interpretata come il Nilo. Alcuni si spingono addirittura a misurarne un’inclinazione di 23° che coinciderebbe con quella dell’asse terrestre. Inoltre, va da sé che una tale vista dall’alto del territorio implicherebbe anche la capacità di volare, con tutto un bagaglio di altre bufale accessorie.

Ovviamente non è così, ma partiamo dal principio. L’uovo (Figg. d, e-1 in basso) è stato scoperto alla fine degli anni ’10 del secolo scorso dall’egittologo britannico Cecil Mallaby Firth in una tomba infantile (n° 96) del Cimitero 102 di Dakka, un sito a sud di Assuan ora sommerso dal Lago Nasser. Oggetti simili avevano una doppia valenza, funzionale e rituale: erano contenitori di liquidi (si vede dal foro in cima) e simboleggiavano la rinascita dopo la morte; non a caso, anche l’altro esemplare ritrovato nel sito (Fig. e-2) apparteneva al corredo funebre di un bambino.

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Firth C.M., The Archaeological Survey of Nubia. Report for 1909-1910, Cairo 1915, pl. 11

Per quanto riguarda la decorazione, invece, non esiste alcun mistero poiché i motivi adottati sono perfettamente conformi alla produzione ‘artistica’ predinastica. Foto sfocate e tagliate ad hoc possono creare qualche suggestione, ma i due fiumi sono in realtà un serpente e uno struzzo, come si può vedere in altri esempi dell’epoca qui in basso e in quello più recente individuato nel 2015 a Qubbet el-Hawa.

Stesso discorso vale per i triangoli, nonostante quanto detto da Osama Abdel Meguid, il direttore del Museo Nubiano, che, in una vecchia puntata di Voyager, affermò che sull’uovo, accanto allo struzzo (almeno questo…), si trova la più antica rappresentazione di piramidi, pur non azzardandosi a fare riferimento a Giza. Immagino – o, più che altro, spero per lui – che si trattasse di una trovata pubblicitaria perché qualsiasi egittologo saprebbe che anche questa iconografia è diffusissima sui vasi predinastici. La forma è semplicemente la stilizzazione di una montagna o, più in generale, di un’altura (collina, duna di sabbia) e quindi era utilizzata per connotare un’area montuosa.

Inoltre, il numero tre indicava una pluralità indeterminata, convenzione successivamente adottata nella forma geroglifica. I tre colli, infatti, diventeranno un segno determinativo (N25 nella lista di Gardiner; in fondo a sinistra) inserito nel nome, come detto, di località montuose ma anche dei paesi stranieri, concettualmente connessi con la montagna e il deserto perché esterni alla Valle del Nilo. I primi esempi del genere coincidono addirittura con le più antiche testimonianze conosciute di scrittura egizia (3320-3150 a.C.), scoperte nella tomba U-j di Umm el-Qa’ab, nei pressi di Abido. Da questa sepoltura, forse appartenuta al re Scorpione I, provengono vasi con segni d’inchiostro, impronte di sigillo e soprattutto etichette d’osso e avorio (immagini in basso) che recano toponimi interpretati come un’embrionale suddivisione amministrativa del territorio alla fine del Predinastico.

 

 

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Bufale eGGizie*: Sfinge e piramidi innevate

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Source: mirror.co.uk

(*A scanso di equivoci, il nome della rubrica contiene volutamente un errore ortografico per sottolineare il carattere a dir poco ridicolo di alcune notizie riguardanti l’Egitto che circolano nel web e non solo)

Questa bufala, stavolta più meteorologica che archeologica, rispunta puntualmente ogni inverno dal 2013, quando un’eccezionale nevicata interessò Israele, Palestina e Giordania. Ma, insieme alle suggestive immagini di una Gerusalemme imbiancata, cominciò a circolare anche la foto delle Grande Sfinge completamente coperta di neve, corredata di didascalie che parlavano di un evento mai accaduto negli ultimi 100 anni… e che ha continuato a non accadere. Nessuna bufera ha colpito Giza. Lo scatto non è ritoccato, ma travisato a causa della prospettiva; ritrae, infatti, una semplice attrazione di un parco tematico giapponese, il Tobu World Square che contiene riproduzioni in scala 1:25 dei maggiori monumenti del mondo. Ecco la prova:

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Discorso diverso va fatto per la foto aerea delle piramidi imbiancate (immagine in basso) perché si tratta di un vero e proprio fake che sfrutta un semplice lavoro di filtri di Photoshop.

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Bufale eGGizie*: le piramidi sono state costruite da schiavi (o, volendo, oltre 10.000 anni fa)

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“Fight for Freedom”, 1949 (Source: misterkitty.org)

(*A scanso di equivoci, il nome della rubrica contiene volutamente un errore ortografico per sottolineare il carattere a dir poco ridicolo di alcune notizie riguardanti l’Egitto che circolano nel web e non solo)

Con questo articolo proverò a prendere due piccioni con una fava sfatando due bufale che riguardano il simbolo d’Egitto: le piramidi di Giza. Secondo molti, questi monumenti patrimonio dell’UNESCO sarebbero state costruite da schiavi; secondo altri, ancora più fantasiosi, risalirebbero a un’antichissima civiltà evoluta ormai dimenticata.

Ma partiamo con la prima. L’immagine di migliaia di uomini costretti a trascinare giganteschi blocchi di pietra sotto sferzanti colpi di frusta è forse una delle prime che, purtroppo, balena nella mente a chi pensa all’antico Egitto. In generale, si crede che le piramidi di Giza, come tutte le altre opere monumentali della Valle del Nilo, siano state realizzate grazie al lavoro degli schiavi: niente di più sbagliato. Tale leggenda metropolitana risente ovviamente dell’influenza di cinema e letteratura che, a loro volta, si rifanno a interpretazioni errate degli storici del passato. L’Antico Testamento, soprattutto con il libro dell’Esodo, ha avuto una grande responsabilità nella diffusione di questa diceria raccontando la storia di Mosè e della cattività degli Ebrei (mi sono già occupato dell’argomento recensendo il film “I Dieci Comandamenti”). Ma la fonte principale dell’equivoco è probabilmente Erodoto, storico e viaggiatore greco del V secolo a.C. che, trovatosi di fronte alle spaventose dimensioni delle piramidi, non poté che pensare al progetto di un sovrano megalomane e dispotico:

 «Non vi fu perfidia di cui Cheope non si macchiò. Innanzitutto, egli chiuse  tutti i templi e vietò  agli  Egiziani di sacrificare. Dopo di ciò, li obbligò a lavorare per lui. Alcuni vennero inviati a  cavare  le pietre nei monti d’Arabia, a trascinarle fino al Nilo e a trasportarle su battelli sulla riva  opposta  del fiume; qui altri le ricevevano e le trascinavano fino alla montagna libica. Ogni tre  mesi,  centomila uomini erano impiegati in questo lavoro. Quanto al tempo durante il quale il  popolo fu  così tormentato, si passarono dieci anni a costruire la rampa sulla quale si dovevano  trascinare le  pietre […] La piramide in sé costò vent’anni di lavoro […] Cheope, esausto per queste  spese, giunse  all’infamia di prostituire la propria figlia in un luogo di perdizione e di ordinarle di  ricavare dai  suoi amanti una certa somma di denaro. Non so a quanto ammontasse la somma; i  sacerdoti non  me lo hanno rivelato. Non solo ella eseguì gli ordini del padre, ma volle lasciare ella  stessa un  monumento. Ella pregò tutti coloro che la visitavano di donarle ciascuno una pietra. Fu  con queste  pietre, mi dissero i sacerdoti, che si costruì la piramide che si trova nel mezzo, di fronte  alla grande  piramide, e che ha un plettro e mezzo di lato» (Storie II, 124-26)

Da questo momento in poi, Khufu divenne il prototipo del tiranno assoluto, del governante dissoluto che non bada ai bisogni del popolo. Tuttavia, il culto di Cheope, la cui figura era stata già presentata in maniera contrastante nel Papiro Westcar (P. Berlin 3033), è attestato fino alla XXVI dinastia (672-525), quasi duemila anni dopo la morte del faraone, circostanza che sembrerebbe negare una cattiva considerazione da parte degli Egizi. Quindi, è ovvio che il giudizio di Erodoto, e di altri dopo di lui, si sia basato solo su racconti e su credenze dei contemporanei. Infatti, l’applicazione delle moderne categorie mentali a fatti del passato è spesso la principale causa di errate interpretazioni. Tornando all’oggetto della discussione, effettivamente in Egitto la schiavitù esisteva, ma è difficile inquadrarla nel nostro pensiero occidentale. Partendo dalla semplice definizione, per schiavitù s’intende la condizione giuridica di un individuo che è considerato proprietà privata di un altro e il cui lavoro non è retribuito (sinonimi: servitù, cattività, tirocinio ;D). Il problema è che una vera codificazione sociale di tale status avvenne solo nel Medio Regno e si consolidò soprattutto in epoca ramesside, quando le numerose guerre crearono un afflusso continuo di prigionieri stranieri. Nell’Antico Regno, periodo in cui furono costruite le piramidi di Giza, sembra non esistere una condizione umana corrispondente alla nostra schiavitù, se si esclude quella risultante dalle spedizioni belliche in Nubia organizzate proprio per l’approvvigionamento di manodopera che, in ogni caso, non fu impiegata nella realizzazione delle tombe dei faraoni di IV dinastia.

Ma allora chi? Non schiavi nubiani, libici o asiatici, ma liberi cittadini egiziani che erano momentaneamente dirottati dalle loro occupazioni quotidiane verso le opere pubbliche. La corvée, infatti, era un sistema di servizio di Stato obbligatorio attraverso cui il popolo, senza distinzione di genere, era utilizzato nella creazione e manutenzione di infrastrutture (strade, canali, dighe), nell’estrazione di materie prime in cave e miniere, nelle campagne militari, e, ovviamente, nell’erezione di edifici monumentali. Spesso, essendo la maggior parte della popolazione dedita all’agricoltura, questo periodo coincideva con la stagione dell’inondazione, Akhet, quando la piena del Nilo rendeva impraticabili i campi. Il lavoro era comunque coatto, ma i contadini erano nutriti meglio del resto dell’anno e avevano una copertura medica. Inoltre, esistevano perfino decreti reali che esentavano singoli o categorie di persone da quest’obbligo.

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Tornando nello specifico, è stato calcolato che per le tre piramidi siano stati necessari 20-30.000 operai  per un periodo non continuativo di circa 80 anni (2589-2504). Così, pur senza arrivare alle cifre di Erodoto, appare ovvio che servisse una grande struttura logistica per l’organizzazione del lavoro e, soprattutto, per l’alloggiamento degli uomini. Già nel 1880-82, Flinders Petrie era convinto di averla trovata quando scavò, a ovest della piramide di Chefren, le cosiddette “Baracche degli operai” che, però, si sono rivelate semplici magazzini. La vera svolta è arrivata solo tra il 1988 e il 1990 con la missione di Mark Lehner (Ancient Egypt Research Associates) e quella egiziana di Zahi Hawass. L’archeologo americano individuò, 400 metri a S-E della Sfinge, quella che poteva essere la “Città della piramide” nota già dalle fonti epigrafiche, con abitazioni, magazzini, un’officina per la lavorazione del rame, due grandi forni per la produzione in vasta scala di pane, un’area per il trattamento del pesce e un edificio amministrativo (immagine in alto; per l’originale mappa interattiva: AERA). Il sito era separato dalla necropoli reale da un possente muro in pietra (alto 10 m e lungo almeno 200) detto in arabo Heit el-Ghorab “Muro del corvo”. Nella parte nord, una serie di gallerie con piccole stanzette è stata interpretata come dormitorio in grado di ospitare, a rotazione, 1600-2000 lavoratori. Inoltre, sembra ci fossero due villaggi distinti: l’Orientale con abitazioni più piccole per gli operai semplici e l’Occidentale che presenta case più grandi per artigiani e supervisori. I due centri erano divisi da un palazzo nel quale sono state ritrovate impronte di sigilli di Chefren e Micerino e silos per i cereali. Purtroppo, il fronte di scavo copre solo il 10% della città (5000 m²) per la presenza di un moderno cimitero, di un campo da calcio e del sobborgo cairota di Nazlet es-Semman che avanza sempre più minacciosamente verso ovest.

Giza Plateau Mapping Project: http://www.aeraweb.org/projects/lost-city/

Rapporti di scavo: http://oi.uchicago.edu/research/projects/giza-plateau-mapping-project-gpmp-0

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Quasi contemporaneamente e poco più a ovest, Zahi Hawass scopriva le sepolture dei costruttori delle piramidi che avevano abitato i due villaggi. Un secondo gruppo è stato individuato nel 2009. Anche in questo caso, si è vista una netta divisione in due settori: il cimitero inferiore raccoglieva le tombe degli operai che trasportavano i blocchi, mentre quello superiore era riservato a tecnici come scultori, disegnatori e altri artigiani. È chiaro che una posizione così prossima alla necropoli reale fosse un privilegio che non sarebbe mai spettato a degli schiavi. L’enorme cimitero inferiore conta, oltre a 60 tombe più grandi forse appartenute a capisquadra, 600 semplici fosse scavate nella roccia (1 x 0,5 m) con coperture di diverso tipo. L’analisi dei corpi non mummificati ha evidenziato individui provenienti da tutte le zone d’Egitto con una bassa aspettativa media di vita (40-45 anni per gli uomini, 30-35 per le donne) che risente della forte mortalità infantile. Inoltre, le ossa recano evidenti tracce di usura da trasporto di carichi pesanti (es. vertebre schiacciate) ma anche segni di fratture curate, cosa che conferma un’assistenza medica per i lavoratori.

Il cimitero superiore, poco più a sud, include 43 tombe più grandi, in parte ipogee e in parte costruite con calcare, mattoni crudi e altro materiale di scarto dai cantieri reali (granito, basalto). La presenza di false porte, statue, iscrizioni e, in generale, di corredi più ricchi testimonia un più alto livello sociale per i defunti di questo settore il cui ruolo è chiarito dai loro titoli: disegnatore, architetto, “Ispettore dei costruttori della tomba”, “Direttore dei lavori della tomba”, “Supervisore del lato della piramide”, “S. degli artigiani”, “S. degli operai che trainano la pietra”, “S. della biancheria”, “S. del porto”, “S. dei carpentieri”, “S. del distretto amministrativo”.

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Se tutto ciò non bastasse a convincere i più scettici, nel 2013 a Wadi el-Jarf, costa occidentale del Golfo di Suez, la missione franco-egiziana diretta da Pierre Tallet (Sorbona) e Sayed Mahfouz (Università di Assiut) ha effettuato un ritrovamento eccezionale che fornisce la prova definitiva sugli autori della piramidi di Giza: frammenti di papiro risalenti al 26° anno di regno di Cheope. Con circa 4600 anni, sono i più antichi papiri iscritti mai individuati e contengono testi amministrativi che registrano le presenze mensili dei lavoratori del porto impiegati anche nel trasporto di blocchi di calcare verso il cantiere della Grande Piramide.

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Dopo questi dati, dovrebbe essere assodato che gli schiavi non c’entrarono niente; ma neanche alieni o Atlantidei. Un’altra bufala che circola attorno alle piramidi, infatti, è quella che le retrodaterebbe, insieme alla Sfinge, al 10.500 a.C. Questa teoria nasce soprattutto da improbabili studi degli autori di best-seller fantarcheologici Robert Bauval e Graham Hancock che prendono in causa analisi geofisiche mai provate e ipotetici allineamenti con la costellazione di Orione (approfondirò il discorso in futuro). Come visto, la città dei costruttori ebbe una vita brevissima, circa 35-40 anni sotto i regni Chefren e Micerino, e fu abbandonata a lavori completati con l’asportazione di tutto il materiale edile riutilizzabile, come soglie di pietra, colonne di legno e perfino mattoni. La datazione è supportata, oltre al ritrovamento dei già citati sigilli, dallo studio cronotipologico della ceramica e dal C14. Ma ancor prima di questi sviluppi più recenti,  ad esempio, all’interno delle camere di scarico della Grande Piramide, erano stati già scoperti graffiti degli operai che si definivano “Amici di Cheope” (ricorderete lo scandalo dei due tedeschi accusati di aver prelevato campioni da un cartiglio del re; immagine in alto). Allo stesso modo, nella piramide più piccola abbiamo la firma degli “Ubriaconi di Micerino”! Queste iscrizioni, oltre a legare inequivocabilmente le opere ai faraoni, ci forniscono utili informazioni sull’organizzazione dei lavoratori che erano suddivisi in squadre, a loro volta  frazionate in 4 o 5 gruppi più piccoli detti phyles e, infine, in unità di 10-20 uomini.

In ogni caso, per apporfondire l’argomento, il link seguente porta a una vastissima bibliografia di articoli scaricabili gratuitamente: http://www.gizapyramids.org/static/html/authors_list.jsp

 

 

 

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Verso la riqualificazione della Piana di Giza

Giza-pyramids (1)

Source: wikipedia.org

Si va verso il completamento dei lavori di valorizzazione dell’area archeologica di Giza… almeno secondo le ottimistiche dichiarazioni del ministro delle Antichità, Khaled el-Enany, e del direttore generale del sito, Ashraf Mohi, che hanno parlato della fine dell’anno. In realtà, il progetto originario prevedeva la conclusione per il 2012, ma, per adesso, si è ancora fermi al 70%.

La Piana di Giza, con le Piramidi di Cheope, Chefren e Micerino, la Sfinge e le altre tombe che gravitano attorno alla necropoli reale, è sicuramente uno dei luoghi più visitati d’Egitto che, tuttavia, non è fornito di strutture recettive adeguate. Inoltre, la situazione è peggiorata dai venditori ambulanti un po’ troppo pressanti e da spazzatura ed escrementi di animali da trasporto che deturpano la splendida vista. Per dare un taglio a quest’andazzo, nel 2009 si è pensato a un piano di riqualificazione dell’area che, però, si è fermato alla sola costruzione di un secondo ingresso, dalla strada per il Fayyum, che diventerà la principale entrata in modo da decongestionare il traffico che si crea sempre sulla Shar’ia el-Ahram (“Via delle Piramidi”). Entro dicembre 2016, sarà costruito un visitor center con modelli in scala, pannelli esplicativi e monitor con un video introduttivo di 6 minuti. Da qui, un servizio di auto elettriche porterà i turisti ai diversi luoghi d’interesse, mentre bancarelle e conducenti di cavalli e dromedari saranno spostati in una zona apposita. Inoltre, sono previsti un incremento delle forze di polizia e delle fonti d’illuminazione.

Parte della cifra stanziata per queste migliorie (349 milioni di sterline egiziane equivalenti a 37,8 milioni di euro) rientrerà con i biglietti il cui prezzo attualmente ammonta a: 40 EGP (4 €, la metà per gli studenti) per l’ingresso alla Piana; 200 per la Piramide di Cheope (20,5 €); 40 per la Piramide di Micerino; 50 (5 €) per la tomba di Meresankh, moglie di Chefren la cui piramide è chiusa per la consueta rotazione di ristrutturazione.

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Riaperta dopo un secolo la tomba di una regina di Meroe

Die unterirdischen Grabkammern der Pyramide von Königin Khennuwa in Meroe

Source: dainst.org

Dopo quasi 100 anni, 94 per la precisione, la camera sepolcrale di una piramide torna a mostrare le sue splendide pitture. Questo, però, succede in Sudan che, non tutti sanno, conserva più piramidi dell’Egitto. Dall’VIII secolo a.C., infatti, i sovrani kushiti della XXV dinastia cominciarono a farsi seppellire nelle necropoli di el-Kurru e Nuri, a Napata, in tombe monumentali, anche se molto più piccole delle “cugine” egiziane, probabilmente per sottolineare il loro nuovo titolo faraonico. In seguito, fino al III secolo d.C., quest’usanza fu adottata anche a Meroe, nelle necropoli nord e sud (patrimonio UNESCO dal 2011).

Proprio nel cimitero reale settentrionale, si trova quel che resta della piramide in questione, costruita agli inizi del IV sec. a.C., ma utilizzata verso la metà del III dalla regina Khennuwa, Grande Sposa Reale del re di Kush Amanislao. La sovrastruttura è stata distrutta dai cercatori di tesori dell’Ottocento che non immaginavano come, in realtà, fungesse da segnacolo pieno per le due camere funerarie scavate 6 metri in profondità (un po’ come la piramide di Djoser). La struttura ipogea fu scoperta solo nel 1922 da George A. Reisner (Boston Museum of Fine Arts) che, però, fu piuttosto approssimativo nella documentazione fornendo pochissimi dati e lasciando una grande lacuna sulla conoscenza di Khennuwa che è attestata solo per la sua tomba. Anche per questo, a distanza di un secolo, si è deciso di riaprire la sepoltura così da completarne la documentazione e consolidare le decorazioni parietali per una futura fruizione turistica. Il progetto fa parte degli obiettivi della “Qatari Mission for the Pyramids of Sudan”, diretta da Sheikh Hassan bin Mohammed bin Ali Al Thani, in collaborazione con la Sudanese National Cooperation of Antiquities e il Deutsches Archäologisches Institut di Berlino.

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Bufale eGGizie*: le piramidi sono granai

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Source: archeoricette.com

(*A scanso di equivoci, il nome della rubrica contiene volutamente un errore ortografico per sottolineare il carattere a dir poco ridicolo di alcune notizie che riguardano l’Egitto)

Odio quando la gente parla di cose che non conosce e, ancora di più, quando pretende di aver ragione. E, purtroppo, in archeologia succede spesso. Molti, troppi, con la scusa del «da piccolo avrei voluto fare l’archeologo, ma poi sono diventato ingegnere» (niente di personale, è solo un esempio) e con alle spalle una “solida” documentazione, quando va bene, su wikipedia, si arrogano il diritto di mettere in dubbio dati SCIENTIFICI supportati da anni di studi di professionisti che si occupano di antichità per lavoro, non nel tempo libero. Perché l’archeologia è un MESTIERE, non una passione (o, meglio, non solo), un hobby, un passatempo. Si è lottato tanto per il nostro riconoscimento, non solo a livello legislativo, ma una parte dell’opinione pubblica è ancora convinta che chiunque potrebbe occuparsi, allargando un po’ il discorso, di cultura. Non a caso, lo Stato se ne approfitta sfruttando “volontari” in musei, monumenti, scavi e in altre mansioni che dovrebbero essere affidate solo a persone competenti che hanno speso tempo e denaro per la loro formazione. Nel fine settimana, io non mi metto a curare carie o a progettare rotonde. Allora per quale motivo uno che fa tutt’altro nella vita dovrebbe pretendere di saperne di più di chi ha laurea, specializzazione, dottorato, esperienza sui libri e sul campo?

Tutto questo sfogo perché, ormai da qualche anno, mi occupo di divulgazione archeologica sul web e continuo a veder spuntare siti o blog di “amatori” che pubblicano SPAZZATURA. Niente in contrario con chi condivide con gli altri il proprio amore per la storia, anzi. Mi riferisco, piuttosto, a tutti quei cialtroni che, per ignoranza o, peggio, per guadagno, fanno girare vere e proprie fandonie senza alcun fondamento che, però, vengono prese per buone dal pubblico che non controlla le fonti. Questa situazione è ancora più grave per l’antico Egitto, la cui aurea di mistero ed esotismo è terreno fertile per fantarcheologi, ufologi, new ager, cospirazionisti e creazionisti. Non passa settimana che qualcuno non mi chieda di alieni, Atlantide, retrodatazioni, verità nascoste o roba simile e, alle mie risposte, gli interlocutori sembrano restare delusi. Infatti, la corretta spiegazione agli enigmi della storia è quasi sempre la più semplice.

Così, era da un po’ di tempo che pensavo di lanciare una nuova rubrica in cui confutare le grandi bufale che girano intorno al mondo dell’egittologie e l’occasione si è proposta negli ultimi giorni grazie a Benjamin Carson. A chi non segue l’attualità politica statunitense, non dirà niente questo nome che è saltato alla ribalta soprattutto sui social. Si tratta di un ex neurochirurgo in corsa alle primarie del Partito Repubblicano per le elezioni presidenziali del 2016; insomma, un pretendente alla Casa Bianca. Lo scorso 4 novembre (ricordo, il 93° anniversario della scoperta della tomba di Tutankhamon), un giornalista della CBS gli ha chiesto se credesse ancora in una sua teoria espressa diciassette anni fa, ottenendo una conferma. Nel 1998, infatti, durante una conferenza alla Andrews University, Carson affermò che le piramidi non sono costruzioni degli alieni (e fin qui, tutto bene) ma neanche tombe, bensì granai realizzati da Giuseppe figlio di Giacobbe. Già, quello delle vacche grasse e vacche magre. Se non ci credete, andate al minuto 3.44:

L’origine di queste dichiarazioni è spiegata dall’adesione di Carson alla Chiesa Avventista del Settimo Giorno che crede nell’infallibilità delle Sacre Scritture. In questo modo, Giuseppe, dopo aver interpretato i sogni del faraone, sarebbe diventato visir e avrebbe fatto costruire le piramidi per immagazzinare il grano durante i periodi di fertilità. In realtà, però, la Bibbia non fa alcun riferimento alle piramidi; basta leggere i versetti in questione:

“Giuseppe aveva trent’anni quando entrò al servizio del faraone, re d’Egitto. Quindi Giuseppe si allontanò dal faraone e percorse tutta la terra d’Egitto. Durante i sette anni di abbondanza la terra produsse a profusione. Egli raccolse tutti i viveri dei sette anni di abbondanza che vennero nella terra d’Egitto, e ripose i viveri nelle città: in ogni città i viveri della campagna circostante. Giuseppe ammassò il grano come la sabbia del mare, in grandissima quantità, così che non se ne fece più il computo, perché era incalcolabile”. (Genesi 41, 46-49)

Si parla, a seconda delle traduzioni, di “depositi” o “magazzini del re”. Allora come si è arrivati a una conclusione simile? Questa credenza si diffuse nel Medioevo, con le prime fonti che presentano le piramidi come grandi silos che risalgono al VI secolo, forse per un errore nell’etimologia del nome accostato a “pyros”, grano in greco. Tra gli esempi più famosi, si può ricordare l’Historia Francorum di Gregorio di Tours (1.10) del 574-593. I testi in questione, cristiani e arabi, nel corso dei secoli hanno influenzato anche l’arte religiosa, come si può osservare in uno splendido mosaico del XII secolo in una delle cupole di San Marco a Venezia (tra le mani di Carson nell’immagine in alto).

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Source: moy.guide

Ma veniamo al momento delle smentite. Prima di entrare nel particolare con le spiegazioni, però, ragioniamo con l’ovvio. A sinistra potete vedere lo schema della struttura interna della Piramide di Cheope che, al di là di poche stanze e corridoi, è piena. Perché costruire un magazzino di 7 milioni di tonnellate per conservare qualche quintale di cereali? Inoltre, non mi sembra così comodo spingere ceste piene di materiale su per la ripida Grande galleria.

Ma faccio finta che queste osservazioni non bastino e passo alle prove. Non ci sono dubbi che le piramidi fossero tombe grazie a testimonianze scritte e archeologiche. Prima di tutto, sono ben chiari i passi che, nel corso dell’Antico Regno, hanno portato alla trasformazione delle sepolture reali. Nel Protodinastico, i faraoni erano sepolti nelle, o meglio, sotto le mastabe (dall’arabo “panca”), strutture monumentali in pietra o, più spesso, mattoni crudi dalla forma troncopiramidale. Queste tombe sono una regolarizzazione dei tumuli funerari e hanno anche un’origine ideologica. Nella teologia eliopolitana, infatti, il demiurgo, Atum o Ra, si autogenera sulla collina primordiale che emerge dalle acque indistinte del Nun. Quindi, la mastaba, come successivamente la piramide, è la riproduzione del monticello dove avviene per la creazione iniziale detta, appunto, sep-tepi , la “Prima volta”. Questa simbologia rimanda alla rinascita del faraone dopo la morte e al suo compito di reiterare ciclicamente la creazione originale. Con la III dinastia, si ha il primo passo verso la struttura sepolcrale definitiva che si avrà solo a Giza. La mastaba di Djoser (2680-2660) subì progressivi ampliamenti, secondo le fonti voluti dall’architetto Imhotep che aggiunse altri piani realizzando prima una piramide a quattro gradoni e poi la definitiva a sei alta 60 metri. Poi, all’inizio della IV dinastia, Snefru (2650-2609) si fece costruire addirittura tre piramidi, una a Meidum (in realtà, regolarizzò le facciate di una struttura a sette o otto gradoni preesistente, probabilmente opera di Huni) e due a Dashur, la “Piramide romboidale” e la “Piramide rossa”. La strana forma della anche detta “Piramide a doppia pendenza” evidenzia il mancato raggiungimento del progetto finale di Cheope (2605-2580) e dei suoi successori Chefren e Micerino. In ogni caso, questo tipo di tomba verrà adottato fino alla XIII dinastia e, in versione molto più ridotta, anche come segnacolo delle sepolture di Nuovo Regno.

Già che ci sono, e spero di non doverci tornare su, sfato un’altra leggenda metropolitana sull’Egitto: le piramidi sono in tutto il mondo, dalla Cina al Messico, perché opera di un’unica civiltà perduta, Atlantide o simili, dall’alto livello tecnologico (gli alieni non li prendo nemmeno in considerazione). L’evoluzione verso la forma piramidale ha anche motivazioni strutturali. Esperimento 1: prendete una manciata di sabbia e fatela cadere lentamente su uno stesso punto. Vedrete che si formerà un mucchietto a punta con l’inclinazione di circa 51 gradi, la stessa della Grande Piramide. Esperimento 2: prendete delle formine da bambini, quelle che riproducono le principali figure solide. Provando a capovolgere un cilindro, una sfera, un parallelepipedo o, appunto, una piramide, in quale caso impiegate più forza? Appunto. Tutto questo per spiegare empiricamente che la piramide è la forma più stabile, la soluzione ideale per realizzare grandi opere sviluppate verso l’alto ed è normalissimo che diverse culture siano arrivate a costruire monumenti simili senza il bisogno di essere entrate in contatto.

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“ScanPyramids”: le tecnologie più avanzate per scoprire i segreti delle piramidi

Piramide romboidale di Dashur (Source: commons.wikimedia.org)

Piramide romboidale di Dashur (Source: commons.wikimedia.org)

Come insegna la vicenda della tomba di Tutankhamon, ci sono cose che abbiamo sotto il naso da millenni e che ancora non conosciamo a fondo. Tra queste, anche le piramidi di IV dinastia. Studi compiuti nel corso degli anni sulle strutture di questi grandiosi monumenti funerari hanno evidenziato alcune anomalie che fanno pensare a qualcosa celato sotto centinaia di migliaia di tonnellate di pietra. Per dirimere questi dubbi, stamattina, il ministro delle Antichità El-Damaty ha lanciato ufficialmente “ScanPyramids”, progetto internazionale che, con l’ausilio delle tecnologie più avanzate, avrà il compito di analizzare le piramidi di Dashur e Giza e di individuare eventuali camere o corridoi nascosti. La facoltà d’Ingegneria dell’Università del Cairo e il francese HIP.institute (Heritage, Innovation and Preservation) coordineranno una squadra di esperti che arrivano anche dal Canada, Université Laval, e dal Giappone, Nagoya University.

ImmagineDall’inizio di novembre fino alla fine del 2016, verrà attuata tutta una serie di indagini diagnostiche non distruttive che eviteranno carotaggi o aperture di qualsiasi tipo. Si partirà dalla termografia a infrarossi che garantirà una mappatura delle superfici con i vari comportamenti termici dovuti a materiali o densità diverse (es. vuoti sotto le coperture). Poi si passerà alla fase più innovativa grazie alla radiografia muonica, tecnica che misura la quantità assorbita dei muoni (particelle con carica negativa che fanno parte dei raggi cosmici; vedi immagine a sinistra) dopo aver attraversato le piramidi. Questo metodo è stato elaborato in Giappone per il monitoraggio dei vulcani (recentemente anche per il Vesuvio) ed è stato applicato per verificare, a distanza di sicurezza, la situazionedei reattori di Fukushima dopo l’incidente nucleare del 2011. In questo modo, infatti, è possibile “vedere” le strutture interne, compreso il nucleo (in roccia viva o muratura?) ed eventuali camere segrete. Infine, si ricostruiranno in 3D i siti di Dashur e Giza con una precisione al centimetro grazie alla fotogrammetria da drone e ai laser scanner.

La prima piramide a essere “visitata” sarà la “Piramide romboidale” di Snefru (2630-2609) con la sua forma a doppia pendenza (foto in alto). Trovare il motivo di questa caratteristica è proprio uno degli obiettivi della missione. Tra le varie ipotesi, si è pensato che il cambiamento d’inclinazione sia dovuto a una correzione in corso d’opera di un progetto errato, all’accelerazione dei lavori in prossimità della morte del faraone (un angolo meno acuto avrebbe portato a una diminuzione del volume da costruire) o a una precisa scelta per gravare meno su camere e corridoi. Per le ultime due teorie, il passaggio dai 54°46′ ai 43°60′ ha portato a un’altezza di 105 metri invece dei 128,5 se l’andamento fosse stato continuo. ScanPyramids prevede lo studio anche della cosiddetta “Piramide rossa”, sempre di Snefru e a Dashur, e delle piramidi di Cheope (2605-2580) e Chefren (2570-2546?) a Giza.

http://www.scanpyramids.org/

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