A Kom el-Khelgan, sito archeologico della provincia di Dakahliya nel Delta nord-orientale, la missione egiziana diretta da Sayed el-Talhawy ha individuato 110 sepolture che vanno dal Neolitico al II Periodo Intermedio. Si tratta per lo più di semplici deposizioni in fosse scavate nella sabbia, con nessuno o pochi oggetti di corredo, che si vanno ad aggiungere ad altri ritrovamenti simili effettuati nell’area nel 2019.
Le 68 tombe più antiche sono attribuibili alla cultura neolitica di Buto-Maadi (3900-3500 a.C.) e sono buche ovali in cui il morto è in posizione fetale, quasi sempre sul fianco sinistro. Inoltre, in un vaso sferico di ceramica erano conservati i resti di un feto. Risalgono invece alla fine del Predinastico, in particolare alla fase Naqada III (3500-3150 a.C.), 5 sepolture, sempre in fossa ovale nella sabbia, ma in due casi con fondo e copertura di fango. Anche in questi contesti il corredo è limitato a qualche contenitore, cilindrico o a forma di pera, e a palette votive in pietra (foto in basso a destra; no, non si è addormentato con il cellulare in mano!). Infine, facendo un salto di 1500 anni, le 37 inumazioni più recenti risalgono al II Periodo Intermedio (1650-1550 circa) e consistono in buche rettangolari dagli angoli arrotondati, con una profondità di 20-85 cm. In questo caso, i corpi sono supini con la testa orientata ad Ovest. A confermare la datazione, ci sono i simboli sulla base degli scarabei e la tipica “ceramica Tell el-Yahudiya” (foto in basso, al centro), riconoscibile non solo per la forma ma anche per le decorazioni geometriche puntinate. Particolari però sono le sepolture di alcuni bambini, tra cui uno posto in un sarcofago di ceramica, due in tombe rettangolari costruite con mattoni di fango e accompagnati da oggetti più ricchi, come orecchini d’argento e scarabei in pietre semipreziose, e un altro feto che, insieme a un piccolo vaso di ceramica nera, era posto in un contenitore più grande.
Inoltre, come si vede nella foto in alto, tra le tombe gli archeologi hanno trovato anche forni e strutture in mattoni crudi.
Nel 2001, il secondo capitolo della trilogia cult della Mummia con Brendan Fraser aveva lanciato un personaggio che, nonostante il minutaggio limitato, aveva attirato il favore del pubblico. Il mostruoso villain del film, l’ibrido Re Scorpione – metà uomo metà aracnide – fu così riutilizzato l’anno dopo per uno spin-off della saga, che tuttavia reinterpretava completamente la storia. Infatti, il malvagio guerriero che aveva venduto l’anima ad Anubi ne “La Mummia – Il ritorno” divenne un mercenario accadico – buono – destinato a uccidere il vero cattivo della pellicola e a regnare per primo sull’Egitto unificato.
“Il Re Scorpione” è fra l’altro il debutto da protagonista di Dwayne Johnson, il wrestler meglio noto come The Rock, che, dopo la breve comparsata nella Mummia (dove spesso è sostituito dal suo orribile doppione in CGI) iniziò così una fortunata carriera da attore. Il film ebbe anche buoni incassi, tanto da essere seguito da un prequel e tre sequel per l’home video… che non ho il coraggio di vedere. È stata infatti già un’impresa finire di guardare questo blockbusterone da 60 milioni di dollari, figuriamoci i seguiti prodotti a basso costo.
Come detto, la storia si svolge più o meno nel 3000 a.C., quando un’armata inarrestabile guidata da Memnone porta morte e distruzione in tutto il Vicino Oriente. Nella mitologia greca, Memnone è un eroe semidivino, re degli Etiopi, che combattè la guerra di Troia al fianco di Priamo. L’Etiopia era il termine con cui, ad esempio, Erodoto indicava le terre a sud di Assuan; per questo i Greci ribattezzarono le due gigantesche statue del tempio funerario di Amenofi III a Tebe Ovest come “Colossi di Memnone”, credendo ritraessero proprio il personaggio. Questo è il primo blooper storico perché convenzionalmente guerra di Troia si colloca nel XII secolo a.C.
In ogni caso, le poche tribù rimaste libere assoldano un mercenario accadico, Mathayus – il futuro Re Scorpione -, per uccidere la maga indovina Cassandra (altro riferimento omerico buttato a caso) che indirizza le campagne militari di Memnone grazie alle sue visioni. Ed ecco il secondo di un’infinita serie di anacronismi perché l’impero accadico parte dal 2334 a.C. con Sargon di Akkad; e pur considerando la precedente fase nomadica delle popolazioni semitiche corrispondenti, siamo comunque fuori strada.
Per farla breve, Mathayus riuscirà più o meno da solo a sbaragliare tutti i nemici, sopravvivere al veleno di uno scorpione, conquistare il cuore della bella Cassandra e diventare il legendario re che, da lì a breve, avrebbe regnerato sull’Egitto unificandolo. Questa volta non vale nemmeno la pena fare un’analisi più accurata perché gli errori storici sono fin troppi: spade in ferro nell’antica Età del bronzo; shuriken e altre armi giapponesi; polvere da sparo; cavalli con selle e briglie; tigri; obelischi e statue di Anubi; menzioni di popolazioni e città molto più recenti come Micenei e Pompei. Più interessante è invece conoscere meglio la figura storica che ha ispirato – almeno nel nome – il protagonista del film. Chi era veramente Re Scorpione? Lo chiediamo a un esperto del periodo, Paolo Medici, laureato in Archeologia del Vicino Oriente a Venezia con tesi triennale sulla nascita della scrittura egizia e magistrale sul ruolo di Hierakonpolis nella formazione dello stato egizio, infine dottorato in Egittologia presso la Freie Universität di Berlino sulla formazione statale egizia e sull’evoluzione della complessità sociale nel periodo Pre e Protodinastico.
Baines, J. and Malek, J. 1980. Atlas of Ancient Egypt, p. 79. Disegno: Adams, B. 2008. Protodynastic Egypt, p. 8
Quale dei due?
Eh sì perché ce ne sono addirittura due! Quello che si vede nel film dovrebbe fare riferimento al secondo cioè quello della Dinastia 0 che si colloca verso la fine del IV millennio a.C, mentre il primo sarebbe un regnante Predinastico di due secoli precedente. Prima però è bene chiarire il quadro storico in cui sarebbe dovuto vivere il re Scorpione (II).
Il primo a definire il concetto di Dinastia 0 fu l’archeologo inglese James Quibell durante gli scavi condotti a Hierakonpolis. La definizione di Dinastia 0, però, presentò fin dall’inizio alcune criticità. In primo luogo suscita perplessità la scelta dei confini cronologici e la lista dei sovrani che vi figurano all’interno. Una seconda problematica riguarda la definizione stessa di dinastia che risulta impropriamente applicata a tali re. Con il termine dinastia ci si riferisce normalmente a un corpo omogeneo di governanti legati fra loro da legami famigliari e più in generale di parentela. La cosiddetta Dinastia 0, al contrario, include governanti e capi non collegati fra loro e riferibili a siti diversi e distanti, come Abydos, Buto, Helwan, Hierakonpolis, Qustul, Tura e Tarkhan. L’unico tratto ad accomunare questi personaggi è, dunque, è la cronologia: tutti i governanti elencati nella Dinastia 0 appartengono, infatti, al un periodo che va da Naqada IIIA/B a Naqada IIIC1 (circa 3350-3100 a.C.), o fino a Narmer per alcuni autori, sebbene Narmer sia spesso considerato il primo monarca della I Dinastia. I dibattiti su questi regnanti sono ancora in corso e, in particolare, il re Scorpione è uno dei più discussi; ci sono ad oggi poche prove archeologiche di questo sovrano e scarse rappresentazioni che lo ritraggono. L’unica tra queste che è collegata a un contesto reale potrebbe essere la testa di mazza di Scorpione trovata nel deposito principale di Hierakonpolis (foto in alto).
Friedman, R. 2008. The Cemeteries of Hierakonpolis, in Archeo-Nil, p. 13
Purtroppo, non sono state trovate tombe chiaramente collegate a lui, anche se alcuni autori gli attribuiscono il complesso della tomba 1 nel cimitero d’élite HK6 di Hierakonpolis (nell’immagine in alto, la tomba più a destra).
Stevenson, A. 2015. Locating a Sense of Immortality in Early Egyptian Cemeteries. In Renfrew, C., Boyd, M. and Morley I. (Eds.). Death Rituals, Social Order and the Archaeology of Immortality in the Ancient World: ‘Death Shall Have No Dominion’, pp. 371-381
L’egittologo tedesco Günter Dreyer, invece, ha sostenuto che la tomba B50 di Abydos sia il luogo di sepoltura di Scorpione. Tuttavia, non ci sono prove certe a sostegno di ciò e, come la maggior parte degli autori ritiene, non ci sono testimonianze che Scorpione avesse alcun potere su Abydos. D’altra parte, Kemp sostiene che sia Scorpione sia Narmer provenissero da Hierakonpolis.
In realtà la stessa lettura del segno dello scorpione come nome del sovrano è controversa. Vale la pena soffermarsi prima sul segno della rosetta. Quest’ultima, paragonabile alla rosetta vicino al nome di Narmer nella sua tavolozza e vicino ad altre figure dominanti su altri oggetti, indicherebbe la parola “re”, sebbene ciò non sia mai stato definitivamente dimostrato. Tenuto conto che il simbolo non è mai stato trovato in periodi successivi tra i geroglifici standard, non ci sono elementi che vengano in aiuto per la sua comprensione. Alcuni hanno avanzato anche l’ipotesi che il simbolo dello scorpione possa indicare una divinità locale di Hierakonpolis. La mancanza di documenti amministrativi che portano il suo nome ci impedisce di svelare la vera natura di questo ipotetico “re Scorpione”. Gli unici oggetti rinvenuti, ipoteticamente, riferibili a lui sono alcune placchette d’avorio trovate ad Abydos, Minshat Abu Omar e Tarkhan e recanti un simbolo estremamente stilizzato che mette in disaccordo gli studiosi. Questi si dividono su due interpretazioni: Scorpione o Ka (le braccia alzate messe in orizzontale; foto in basso).
È abbastanza chiaro che, da un punto di vista sia archeologico sia storico, permangono ancora alcune perplessità sull’esistenza di questi due sovrani.Ma cerchiamo di tirare le fila e riassumere il discorso.
Il nome Scorpione sembra fare riferimento a due possibili regnanti: uno teoricamente vissuto attorno al 3400-3200 a.C. e seppellito nella tomba U-j, mentre l’altro vissuto tra il 3200 e il 3000 a.C. e deposto ad Hierakonpolis nella tomba 1 del cimitero HK6, oppure, meno facilmente, nella tomba B50 di Abydos.
Per il primo le testimonianze sono alcune placchette ritrovate nella sua tomba con il simbolo di uno scorpione, a cui si aggiunge un’iscrizione presente nel deserto Tebano in cui è rappresentato il simbolo di uno scorpione che sconfigge non meglio identificati nemici, forse rivali del proto-regno di Naqada.
Il re Scorpione II compare invece sulla testa di mazza a cui si è precedentemente accennato, di cui però non si conosce la provenienza tombale originaria. La stessa lettura della rosetta e dello scorpione come “re scorpione” è dubbia, considerando che potrebbe essere interpretabile come un altro titolo o addirittura come una divinità locale.
In conclusione se si accettasse l’esistenza di questi due regnanti, di origine certamente egizia, allora sarebbe necessario specificare che il primo potrebbe aver avuto un ruolo legato principalmente ad Abydos, dove sarebbe anche stato sepolto, probabilmente come regnante locale quando ancora vi erano 3 proto-regni nell’Alto Egitto (Abydos, Hierakonpolis e Naqada). Il secondo re Scorpione, invece, dovrebbe aver avuto Hierakonpolis come area d’influenza e il sito HK6 come luogo di sepoltura. Nella definizione dei re Scorpioni emerge con chiarezza la complessità politica di questo periodo storico. Un momento in cui si assiste al passaggio dalla presenza contemporanea di diverse figure che esercitarono il potere su territori limitati all’accorpamento progressivo di queste entità politiche in veri e propri proto-regni. È proprio da questo magma di forze politiche in contrasto che emergerà infine la figura Narmer, che regnò sicuramente su un Alto Egitto unito, e forse anche su un Egitto completamente unificato, ma questa è un’altra storia.
Wildung, D. 1981. Ägypten vor den Pyramiden, Mainz
A Kom el-Khilgan, sito predinastico della provincia di Daqahlliya nel Delta orientale, gli archeologi egiziani hanno scoperto 83 tombe, per lo più antiche di oltre 5000 anni. La necropoli era stata individuata e scavata già nei primi anni 2000 dall’IFAO, mettendo in luce un’importante fase di transizione verso l’unificazione, almeno culturale, dell’Egitto grazie alla presenza di ceramica della cultura Buto-Maadi, tipica del Nord, e quella meridionale di Naqada III.
79 delle nuove tombe scoperte dal team di Sayed Fathi el-Talhawi, direttore generale delle Antichità di Daqahlliya, risalgono proprio al IV millennio e sono composte da fosse ovali scavate nella sabbia con il defunto deposto in posizione fetale, spesso all’interno di casse funerarie in terracotta. Questa particolarità è un unicum per il periodo e l’area ed è solo il secondo caso noto dopo quello individuato a Tell el-Farkha dagli egittologi polacchi. Ad accompagnare i morti c’erano in genere vasi di diverse forme, ma sono stati trovati anche piccoli modellini d’imbarcazione in ceramica, due conchiglie di ostrica e due palette in pietra – una rettangolare e una tonda – con un ciottolo per macinare i minerali da trucco (foto a sinistra, angolo in basso a destra).
Molto più recenti sono invece i resti di forni ed edifici in mattoni crudi risalenti al II Periodo Intermedio (1650-1550 a.C.). Le fondazioni di una di queste strutture si istallano su quattro sepolture, tre di adulti e una di un bambino (foto in basso a sinistra), come da tradizione asiatica che comincia a vedersi in Egitto con gli Hyksos. Tra gli oggetti di corredo spiccano amuleti in oro e pietre semi-preziose come l’ametista (foto in basso a destra).
Nello Wadi Abu Subeira, vallata nel deserto orientale a 10 km nord da Assuan, un team di archeologi egiziani ha individuato una serie di graffiti che vanno dall’inizio alla fine del Predinastico (IV millennio a.C.). Il sito è già noto da circa un decennio per incisioni rupestri anche più antiche (fino a 15-20.000 anni fa), ma questa volta, almeno secondo il segretario generale dello SCA Mostafa Waziry, saremmo di fronte alle prime iscrizioni reali della zona.
Infatti, oltre ai consueti animali che vivevano nell’area all’epoca – antilopi, giraffe, elefanti, coccodrilli -, ci sarebbero anche una rappresentazione di un centro ‘urbano’ con scene di allevamento di bestiame e alberi piantati, decorazioni floreali e simboli da ricondurre alla regalità, come il falco Horus e il serekh, o “facciata di palazzo” (foto in alto), che era la cornice in cui era inserito il nome del sovrano. Inoltre, aggiunge Abdel Moneim Said (direttore generale delle Antichità di Assuan e della Nubia), alcuni petroglifi apparterrebbero ai primi faraoni come Scorpione e Narmer. Se fosse confermata questa interpretazione, bisognerebbe registrare un precoce controllo stabile dell’estremo sud dell’Egitto.
العثور على اوائل النقوش الملكيه فى الصحراء الشرقيه شمال شرق أسوان
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A Kom el-Khelgan, sito del Delta nord-orientale nei pressi di Tell el-Samara, una missione egiziana ha scoperto una serie di tombe che vanno dal Predinastico al II Periodo Intermedio. Le 20 sepolture più antiche risalgono alla fase Naqada III (3300-3050 a.C. circa) e presentano semplici deposizioni in fossa con i morti rivolti in posizione fetale verso nord, ovest o est. Il corredo comprende ceramiche, coltelli e altri oggetti in pietra come le classiche tavolozze predinastiche. Le altre tombe, invece, si datano al periodo in cui l’area era sotto il controllo degli Hyksos (1650-1550 circa). Anche in questo caso, sono stati ritrovati vasi di diverse tipologie come le famose “ceramiche Tell el-Yahudiya”, produzione tipica del Medio Bronzo ed esportata in tutto il Mediterraneo orientale. Scoperti anche un vaso globulare che conteneva 7 scarabei (6 iscritti in faience e uno in pietra dura) e ossa di animali.
A El-Khawy, sito rupestre dell’area di El-Kab (60 km a sud di Luxor), è stata individuata un’iscrizione con geroglifici di oltre 5250 anni. A effettuare la scoperta, la missione congiunta della Yale University e dei Musées royaux d’Art et d’Histoire di Bruxelles. Secondo il co-direttore John Coleman Darnell, i segni risalirebbero al 3250 a.C. corrispondendo, così, a uno dei primi esempi del sistema di scrittura egiziano. Evitando sensazionalismi inutili, probabilmente non è il primo in assoluto perché le etichette della tomba U-j di Umm el-Qa’ab, forse appartenuta al re Scorpione I, si datano dal 3320 al 3150; resta comunque la forma più antica conosciuta di protogeroglifici monumentali vista la loro altezza di circa mezzo metro.
Il pannello, leggibile da destra verso sinistra, vede quattro segni: una testa di toro su un corto palo e due becchi a sella (una specie di cicogna africana, Ephippiorhynchus senegalensis) posti simmetricamente di spalle con al centro un ibis. Secondo Darnell, questa disposizione è comune nelle successive rappresentazioni del ciclo solare e del concetto di luminosità, implicando l’autorità reale sul cosmo. Se quest’ipotesi fosse confermata, nascerebbe un bel quesito sull’origine stessa della scrittura, finora collegata al diffondersi di simboli amministrativi dal principale centro di potere egiziano pre- e protodinastico che era Abido.
Una settimana fa, l’ormai ex-ministro El-Damaty aveva annunciato una scoperta che è stata un po’ offuscata dalle news in arrivo dalla tomba di Tutankhamon, ma che non potevo omettere di segnalare per la sua importanza. A Qubbet el-Hawa, riva ovest di Assuan, gli archeologi dell’Università di Bonn hanno individuato le più antiche incisioni rupestri della zona. I 15 graffiti rappresentano bovini e animali selvatici come stambecchi, gazzelle, giraffe e struzzi in scene di caccia dal valore rituale. La presenza di questi petroglifi attesta che l’area, nota soprattutto per le tombe dei nomarchi dell’Antico Regno, era frequentata anche nel periodo predinastico.
I risultati di uno studio ultradecennale su alcune bende funerarie potrebbero resettare le nostre conoscenze tradizionali sulla mummificazione artificiale in Egitto. Le prime sporadiche tracce d’imbalsamazione non naturale risalgono alla IV dinastia (2620-2500), anche se il processo cominciò a diventare di uso “comune” tra la fine dell’Antico Regno e l’inizio del Medio Regno. Secondo Jana Jones (Macquarie University, Sidney), invece, questa data andrebbe spostata indietro di circa 1500 anni.
L’ipotesi si basa sull’analisi di tessuti conservati in alcuni musei britannici (soprattutto il Bolton Museum) e che provengono dalle necropoli di Mostagedda, Badari e Hierakonpolis collocabili tra il Neolitico e il Tardo Predinastico (4500-3100). I circa 50 campioni di lino presi in considerazione dalla Jones, da Stephen Buckley (University of York) e da Thomas Higham (Oxford University) sono stati sottoposti a spettrometria di massa, gascromatografia e desorbimento termico rivelando una miscela con proprietà antibatteriche a base di grassi animali e prodotti vegetali. Nella maggior parte dei casi, la “ricetta” prevede 3/4 di grasso o olio più resina di pino (proveniente dal SE dell’Anatolia), estratto di piante aromatiche, gomma vegetale o zucchero e petrolio naturale.
L’utilizzo di questi materiali indicherebbe una volontà molto antica di preservare i tessuti molli dei cadaveri aiutando l’azione naturale del clima caldo e secco del deserto. Quindi, se confermata, la scoperta sarebbe importantissima, ma ho dei dubbi. Ci si può fidare di reperti provenienti da scavi degli anni ’20 e ’30 non corredati dei resti umani (leggendo i diari di scavo si capisce che gli archeologi non fossero per niente interessati ai corpi) né tanto meno di una sufficiente documentazione?
A Kom el-Ahmar, l’antica Nekhen o Hierakonpolis, è stata scoperta una tomba predinastica risalente al 3600 a.C. Gli archeologi diretti da Renee Friedman hanno individuato una sepoltura con resti umani 500 anni più antichi di Narmer, antichissimo sovrano la cui paletta cerimoniale proviene proprio dallo stesso sito. Il defunto, morto giovane tra i 17 e i 20 anni, doveva essere membro dell’élite perché il corredo funebre comprende una rara statuetta barbata d’avorio che rappresenterebbe una divinità o lo stesso morto (in basso a sinistra nella foto), 10 pettini di avorio e numerosi strumenti litici e armi.