Articoli con tag: sarcofago

Sarcofago di Epoca Tarda restituito all’Egitto dagli USA

Source:  bbc.com

Inauguriamo il 2023 con una notizia riguardante la restituzione all’Egitto di un sarcofago illegalmente esportato negli USA. Il mercato nero di antichità, che è cresciuto esponenzialmente subito dopo la rivoluzione del 2011, ha spinto le autorità egiziane a istituire un dipartimento apposito che negli ultimi 10 anni è riuscito a recuperare circa 29.300 oggetti.

Questa volta il successo è dovuto alla collaborazione con gli Stati Uniti e in particolare al lavoro della Procura distrettuale di Manhattan, già coinvolta nelle indagini sul sarcofago dorato di Nedjemankh, finito al Metropolitan Museum, e su altri reperti egizi. Il canale attraverso cui tutti questi pezzi sono arrivati in America è infatti lo stesso e passava per la Germania. Nel caso specifico, secondo quanto riferito dal procuratore distrettuale Alvin Bragg, il sarcofago sarebbe stato trafugato nell’area di Abusir, necropoli a sud del Cairo, e contrabbandato nel 2008. Successivamente è stato prestato da un collezionista privato prima al Michael C. Carlos Museum della Emory University e dal 2013 al Museo di Scienze Naturali di Houston, Texas, che ovviamente non si è opposto al rimpatrio dopo aver appurato l’origine illegale dell’oggetto.

Il sarcofago antropoide in legno, lungo 294 e largo 90 cm, apparteneva a un sacerdote di nome Ankhenmaat, vissuto a Eracleopoli in Epoca Tarda (664-332 a.C.). Il “Green Giant”, così ribattezzato per il caratteristico colore verde del volto e per le dimensioni (il coperchio pesa circa 500 kg), in realtà era stato già restituito a settembre, ma la cerimonia ufficiale di consegna si è tenuta solo ieri al Cairo, alla presenza del ministro degli Esteri egiziano, Sameh Shukry, il ministro del Turismo e delle Antichità, Ahmed Eissa, il segretario generale del Supremo Consiglio delle Antichità, Mostafa Waziry, e di Daniel Rubinstein, l’incaricato d’affari americano in Egitto.

https://eg.usembassy.gov/u-s-embassy-egyptian-government-celebrate-the-return-of-historic-sarcophagus-to-the-egyptian-people/

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Scoperto il sarcofago del tesoriere di Ramesse II

Source: Ministry of Tourism and Antiquities

Tornano le consuete notizie da Saqqara. Ripresa l’attività di scavo a sud della rampa processionale della piramide di Unis, la missione diretta da Ola El-Aguizy (Università del Cairo) ha scoperto il sarcofago dell’alto funzionario Ptahemuia, la cui tomba era stata individuata lo scorso anno. In realtà, come segnalavo nel 1000° articolo di questo blog, si trattava di una riscoperta in quanto la sepoltura era stata già localizzata e parzialmente documentata da Auguste Mariette intorno al 1858-59, ma poi se ne erano perse le tracce.

Tuttavia, l’indagine del team egiziano ha condotto ad ambienti sconosciuti finora in fondo al pozzo funerario (2,1×2,2 metri, profondo 7), in particolare alla camera sepolcrale principale e al massiccio sarcofago in granito rosso dello “Scriba reale delle divine offerte a tutti gli dèi del Basso e dell’Alto Egitto”, “Grande Sovrintendente al bestiame” e “Sovrintendente al tesoro del Ramesseo” sotto Ramesse II (1279-1212 a.C.). Titoli e nome del defunto sono stati confermati grazie ai rilievi incisi sulla superficie del sarcofago antropoide, insieme a formule funerarie e alle figure di divinità come Anubi e i quattro figli di Horus. Come già notato nelle precedenti campagne di scavo, le tracce della visita di tombaroli sono chiare e il sarcofago è risultato vuoto se non per pochi residui di resina della mummificazione; in particolare, il coperchio era rotto con uno dei frammenti ritrovato a terra in un angolo della stanza (foto in basso). Tuttavia, credo che i ladri abbiano approfittato di una rottura precedente, forse contemporanea all’inumazione di Ptahemuia o relativa a un riutilizzo del sarcofago, perché dalle foto si vedono i segni di almeno quattro grappe a doppia coda di rondine che indicano un antico restauro.

Source: Ministry of Tourism and Antiquities
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Abusir, scoperta tomba di un comandante del Periodo Tardo

Photo: Petr Košárek; archives of the Czech Institute of Egyptology, Charles University

Continuano le scoperte “di profondità” della missione ad Abusir (30 km a sud di Giza) dell’Istituto Ceco di Egittologia della Univerzita Karlova di Praga. Dopo il pozzo con materiale per la mummificazione, il team diretto da Miroslav Bárta ha individuato la tomba per cui probabilmente era stato usato quel deposito. Si conferma quindi, come precedentemente ipotizzato, l’attribuzione della sepoltura a Wahibrameryneith, figlio di Irturu, il cui nome era inciso su vasi canopi già ritrovati nella scorsa stagione. L’importante dignitario, vissuto tra XXVI e XXVII dinastia (inizio del V sec. a.C.), reca tra i titoli quello di “Comandante dei mercenari stranieri” e probabilmente guidava soldati provenienti dall’area dell’Egeo e dell’Asia Minore.

Photo: Petr Košárek; archives of the Czech Institute of Egyptology, Charles University

La tomba si trova in un grande pozzo quadrato con i lati di circa 14 metri che, a una profondità di 6 metri, si divide in tunnel secondari. In quello centrale, con orientamento est-ovest e con una base di 6,5 ​​per 3,3 metri, scendendo di altri 16 metri si arriva un doppio sarcofago in pietra (foto in basso). Putroppo la sepoltura è risultata visitata da saccheggiatori probabilmente intorno al IV-V secolo d.C. Il sarcofago esterno parallelepipedo in calcare presenta un incavo in cui è posizionato quello interno antropoide, di 2,3 x 1,9 m, realizzato in basalto. Il pesante coperchio reca iscritto il capitolo 72 del Libro dei Morti ed è danneggiato proprio in corrispondenza del volto. Al suo interno sono stati ritrovati solo un bellissimo scarabeo del cuore anepigrafe (foto in alto) e un amuleto in forma di poggiatesta. Sul lato est, invece, si trovava ciò che rimaneva del corredo funerario ancora nella posizione originaria: due cassette di legno contenenti 402 ushabti in faience, due vasi canopi in alabastro anepigrafi, un modello in faience di un’offerta tavola, dieci vasetti miniaturistici in alabastro e un ostracon in calcare iscritto in ieratico con brevi estratti dal Libro dei Morti.

Photo: Petr Košárek; archives of the Czech Institute of Egyptology, Charles University
Photo: Petr Košárek; archives of the Czech Institute of Egyptology, Charles University

Un particolare, all’apparenza meno interessante, sottolinea invece le tecniche che gli antichi Egizi utilizzavano per spostare oggetti monumentali. Il doppio sarcofago si trova infatti ancora adagiato su uno strato di sabbia che inizialmente doveva riempire completamente il pozzo e che gradualmente è stato rimosso facendo scendere il pesante reperto fino in fondo.

https://cegu.ff.cuni.cz/en/2022/07/15/the-tomb-of-wahibre-mery-neith-discovered-by-the-czech-archaeological-mission-in-abusir/

Photo: Petr Košárek; archives of the Czech Institute of Egyptology, Charles University
Photo: Petr Košárek; archives of the Czech Institute of Egyptology, Charles University.
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Fayyum, scoperto sarcofago sigillato di epoca tolemaica con mummia e statuetta di Iside-Afrodite

Source: National Geographic “Lost Treasures of Egypt” 03×04

Recentemente ho dato un’occhiata alla terza stagione della serie di documentari National Geographic “Lost treasures of Egypt”, che verrà trasmessa in Italia dal 22 novembre con il nome “I grandi tesori d’Egitto”, ma che è stata già lanciata negli USA e in altri paesi. Le varie puntate presentano interessanti notizie in anteprima da diverse missioni archeologiche in Egitto, mostrando scoperte non ancora annunciate e di cui, solo in alcuni casi, sono uscite anticipazioni giornalistiche. Prenderò quindi spunto dagli 8 episodi per scrivere alcuni articoli, riservandomi la possibilità di integrarli con aggiornamenti quando e se ci saranno comunicazioni ufficiali da parte delle autorità egiziane o dei protagonisti degli scavi.

Inizio parlando della quarta puntata, “Rise of the Mummies”, in cui, tra le altre cose, sono stati illustrati i risultati del team egiziano che, sotto la direzione di Basem Gehad (sulla sinistra nella foto in basso), lavora a Philadelphia, a nord-est del Fayyum. La città fu fondata da Tolomeo II (286-246 a.C.) e venne abbandonata probabilmente alla fine del IV sec. d.C., coprendo quindi buona parte del periodo greco-romano dell’Egitto. Il focus della missione, attiva dal 2016, è l’indagine della necropoli, in un’area desertica scelta grazie alle foto satellitari. In particolare, durante l’ultima stagione sono emerse sei tombe rupestri di epoca tolemaica, tra le quali una ha riservato una grande sorpresa: un sarcofago ancora sigillato.

Source: National Geographic “Lost Treasures of Egypt” 03×04

La peculiarità della scoperta non sta tanto nell’integrità del sarcofago – cosa abbastanza comune in Egitto – ma nella commistione di tradizioni funerarie locali ed ellenistiche riscontrabili nella sepoltura. Infatti, all’interno di una piccola struttura in mattoni crudi con copertura a volta, è stata recuperata una cassa lignea dipinta con coperchio a doppio spiovente. La tipologia non propriamente egiziana del sarcofago si nota anche nelle decorazioni a festoni di foglie e fiori sulle pareti laterali che, secondo Gehad, si daterebbero al II sec. a.C. All’interno, però, la giovane defunta conserva ancora tracce di mummificazione, a testimonianza della fusione delle due credenze.

Accanto al corpo, era adagiata una magnifica statuetta in terracotta dipinta (foto in alto), perfettamente conservata se se si escludono i piedi fratturati. La figurina rappresenta Iside-Afrodite, forma ibrida delle due dee tipica del periodo greco-romano, raffigurata nuda con le braccia stese lungo il corpo, i tipici boccoli detti “libici”, diversi gioielli, un velo sulle spalle e un elaborato copricapo che comprende ghirlande floreali e un kalathos (un tipo di contenitore che si allarga verso l’alto). La nudità e l’evidenziazione della zona pubica indicano chiaramente come l’oggetto servisse ad augurare fertilità e rinascita.

Per approfondire: https://www.academia.edu/43928414/The_Necropolis_of_Philadelphia_Preliminary_results_Basem_Gehad_Ahmed_Hammad_Adel_Saad_Mohamed_Samah_and_Mohamed_Hussein_With_contributions_of_Sherif_Abd_El_Moniem_Yasser_Mahmoud_Sara_Saber_Nermien_Aba_Yazied_Mahmoud_and_Ahmed_Gabr

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Come una foto di Kim Kardashian ha smascherato il traffico illegale di un sarcofago egizio

ph. LANDON NORDEMAN/NEW YORK TIMES

Probabilmente avrete già visto questa foto. D’altronde, lo scatto è diventato virale per la presenza di una delle influencer più famose del mondo e per l’evidente accostamento cromatico tra il suo abito e il reperto egizio in vetrina. I più attenti frequentatori del blog non si saranno fermati alla sola Kim Kardashian, ma avranno riconosciuto anche il sarcofago di cui avevo già parlato in precedenza.

La foto era stata scattata durante il Met Gala del 7 maggio 2018, esclusiva raccolta di fondi del Metropolitan Museum, durante la quale le celebrity di tutto il globo ogni anno fanno a gare per sfoggiare l’outfit giusto più appariscente. Il museo newyorkese aveva da poco acquistato, per la cifra monstre di 4 milioni di dollari, il sarcofago dorato di Nedjemankh, sommo sacerdote del dio Herishef vissuto a Eracleopoli nel I sec. a.C. Fra l’altro, era proprio in procinto di lanciare una mostra temporanea dedicata al pezzo, dal titolo “Nedjemankh and His Gilded Coffin”, che è stata interrotta in anticipo il 12 febbraio 2019. A quanto pare, soprattutto a causa di questa foto.

Il Met era infatti venuto a conoscenza che il sarcofago era stato rubato in Egitto nel 2011, nonostante la documentazione – risultata falsa – fornita dalla casa d’aste parigina da cui lo aveva comprato. Il presidente e amministratore delegato del Metropolitan Museum, Daniel Weiss, si era subito scusato con il ministro delle Antichità Khaled El-Enany e con tutto il popolo egiziano, promettendo la restituzione del reperto che effettivamente è avvenuta il 1 ottobre 2019.

In un recente episodio di “Art Bust: Scandalous Stories of the Art World”, podcast del giornalista Ben Lewis, sono emersi i retroscena che hanno portato l’assistente procuratore distrettuale di Manhattan Matthew Bogdanos, specializzato nel traffico di opere d’arte, a far partire l’indagine. L’intervista è piena di particolari curiosi che permettono di ricostruire l’intricato viaggio del sarcofago, dal deserto egiziano alla Grande Mela. L’inizio, in particolare, ricollega la vicenda alla foto della dorata Kardashian. Bodganos è stato infatti contattato via mail da un’anonima gola profonda che si sarebbe irritata vedendo lo scatto ovunque sul web e soprattutto leggendo l’enorme cifra spesa per l’acquisto del pezzo.

L’informatore avrebbe ammesso di essere uno dei ladri che, 7 anni prima, avevano trafugato il reperto nell’area di Minya, 250 km a sud del Cairo, senza però ricevere la ricompensa pattuita. A prova di tale affermazione, in allegato c’era, oltre alla foto di Kim, altre 6 immagini in cui si vedeva il sarcofago appena dissotterrato e ancora sporco di fango. Complice lo scarso controllo dopo la rivoluzione del 2011, i tombaroli avrebbero gettato ignobilmente nel Nilo la mummia di Nedjemankh (di cui resta solo un dito rimasto attaccato al fondo della bara) e trasportato al sicuro il “bottino”, prima sul dorso di un asino e poi con un fuoristrada. Nel 2013 sarebbe stato spedito via nave negli Emirati Arabi Uniti ad Hassan Fazeli, un mercante di antichità della città di Sharjah, e poi – incredibilmente tramite FedEx – ad Amburgo in Germania, presso la Dionysos Gallery. Qui Roben Dib, curatore della galleria, avrebbe creato una licenza di esportazione falsa del 1971, data precedente alla promulgazione della legge 117 del 1983. Infine, il sarcofago sarebbe stato acquistato da Christophe Kunicki, esperto d’archeologia del Mediterraneo e membro del comitato della Société Française d’Égyptologie, che lo ha personalmente proposto al Met.

L’inchiesta di Bodganos ha avuto strascichi anche in Francia dove proprio Kunicki è stato arrestato insieme al marito e socio Richard Sampaire e ad altri altisonanti nomi del settore, come un ex curatore del dipartimento del Vicino Oriente del Louvre, il presidente della celebre casa d’aste Pierre Bergé & Associés e un altro banditore parigino. Tutti quanti sono risultati coinvolti nel traffico di reperti provenienti da paesi in guerra o sconvolti dalla primavera araba, come Egitto, Libia, Siria e Yemen, venduti illegalmente a privati e a inconsapevoli musei, tra cui spiccano il Louvre di Abu Dhabi e, per l’appunto, il Metropolitan di New York.


Il podcast con l’intervista a Bogdanos: https://podcasts.apple.com/ca/podcast/the-golden-coffin/id1576264945?i=1000529556353


Aggiornamento (28/03/2022):

Roben Dib, curatore di una gallerie dove il sarcofago è passato, è stato arrestato ad Amburgo ed estradato in Francia dove sarà processato per traffico illegale di antichità. I reati imputati dal giudice parigino Jean-Michel Gentil sono quelli di associazione a delinquere, frode e riciclaggio di denaro. Gli investigatori francesi e statunitensi coinvolti nell’inchiesta sospettano che l’uomo abbia piazzato anche altri reperti, come i 5 venduti al Louvre Abu Dhabi per 50 milioni di dollari

https://www.theartnewspaper.com/2022/03/25/dealer-suspected-of-selling-looted-antiquities-to-the-metropolitan-museum-of-art-and-louvre-abu-dhabi-detained-in-paris

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Tuna el-Gebel, scoperto sarcofago di sacerdote con decine di ushabti

Source: Ministry of Tourism and Antiquities

Se da un lato Saqqara continua a sfornare scoperte, l’altro grande fronte dell’archeologia egiziana è attualmente Tuna el-Gebel, nel governatorato di el-Minya.

La missione nella necropoli dei sacerdoti di Thot, arrivata alla quarta campagna di scavo sotto la direzione di Mostafa Waziry, ha individuato un pozzo funerario, profondo 5 metri, con un ulteriore sarcofago in pietra che si aggiunge alle decine trovate negli scorsi anni.

La massiccia bara antropoide in calcare bianco era collocata in una fossa scavata nel pavimento ed era circondata da numerosi ushabti in brillante faïence azzurra. Sul coperchio si trova una colonna di geroglifici inquadrata da 6 figure dipinte in verde che rappresentano i quattro Figli di Horus (Imseti, Hapi, Duamutef e Qebehsenuef, rispettivamente protettori di fegato, polmoni, stomaco e intestini) e, in basso, le dee tutelari Iside e Nefti.

Il testo presenta nome, titoli e identità dei genitori del defunto: il sacerdote di XXVI dinastia (672-525 a.C.) Djehuty-em-hotep, figlio di Harsiesi la cui tomba era stata già trovata nel 2018. Le foto non sono eccezionali, ma mi pare di leggere anche il nome della madre, Amenirdis.

Aggiornamento 12/10/2020

A distanza di tre settimane, Mostafa Waziry ha mostrato il contenuto del sarcofago ormai aperto: una mummia in cattivo stato di conservazione accompagnata da uno scarabeo del cuore e da altri sei amuleti funerari in faience che erano fissati direttamente sulle bende, cioè una testa di Hathor, uno scarabeo alato e i quattro figli di Horus.

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Due sarcofagi di 3600 anni (di cui uno in miniatura) scoperti a Dra Abu el-Naga

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Source: csic.es

 

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Source: excavacionegipto.com

Il “Proyecto Djehuty” non delude mai. Anche quest’anno, la missione spagnola diretta da José Manuel Galán (Consejo Superior de Investigaciones Científicas – CSIC) ha riservato interessanti novità dallo scavo di Dra Abu el-Naga, a Tebe Ovest. Ieri, infatti, con un comunicato ufficiale del Ministero del Turismo e delle Antichità, sono state annunciate le scoperte effettuate a gennaio e febbraio nell’area del complesso funerario di Djehuty (TT11, tomba del Supervisore al tesoro e ai lavori durante il regno di Hatshepsut). In particolare, i ritrovamenti provengono dalla corte aperta, vicino a una piccola cappella in mattoni crudi del 1600 a.C. (immagine a sinistra) che si trova a pochi metri dall’ingresso della TT11.

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Source: csic.es

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Source: csic.es

Accanto alla struttura si trovava un sarcofago antropoide, di 175 x 33 cm, scolpito in un singolo tronco di legno, forse sicomoro, dipinto esternamente in bianco (foto a destra). Al suo interno era deposta la mummia di una ragazza di 15/16 anni vissuta durante la XVII dinastia (1600 a.C. circa). Secondo i membri del team, la bara potrebbe essere stata portata lì da antichi tombaroli, ma poi non più aperta. Il corpo della giovane donna, infatti, era stranamente adorno di un ricco corredo: due orecchini sull’orecchio sinistro, due anelli – uno in osso e l’altro con castone in vetro blu e una cordicella come fascia – e quattro collane lunghe 60-70 cm ammassate sul petto. Due sono in perline di faience blu, una composta da vaghi in faience e pasta vitrea verde e la quarta comprende 74 elementi in pasta vitrea, faience e pietre dure semipreziose come ametista, corniola, ambra e quarzo. Tra questi ultimi si contano anche 7 amuleti, come due scarabei e il falco-Horuscentrale in ambra  (foto in basso).

Nell’altro lato della cappella, è stato ritrovato un secondo sarcofago in legno, questa volta in miniatura. L’oggetto, infatti, misura solo 22 cm di lunghezza e 15 di larghezza ed era chiuso da una cordicella annodata. Il “morto” nella bara è un piccolo ushabti in legno, del tipo chiamato “stick shabti” per la sua forma molto semplice. La statuetta era avvolta da teli di lino sul quale era scritto, così come sulla parte anteriore del suo corpo, il nome del defunto: Djehuty (foto in basso). Ancora non si sa a chi fosse dedicata la piccola struttura in mattoni, anche perché il nome Djehuty era molto comune nel Nuovo Regno. In ogni caso, l’ushabti non è da collegare al proprietario della TT11 perché la tipologia della statuetta è anteriore, essendo databile tra la XVII e l’inizio della XVIII din. 

Nella stessa area, ma all’interno di un pozzo funerario, nella scorsa stagione erano stati fatti altri curiosi ritrovamenti. Vanno di sicuro citati i sandali in cuoio dipinti di rosso che, nonostante i 3600 anni, sono eccezionalmente conservati (in basso a sinsitra). La misura e la decorazione – gatti, ibex, una rosetta, ma soprattutto Tueris e Bes, divinità protettrici del parto e dei bambini – fanno pensare che appartenessero a una donna, così come le due palle in cuoio trovate sotto di essi. Gi oggetti, legati da una cordicella, contengono cariossidi d’orzo e forse erano elementi femminili usati durante la danza. A testimonianza di un riutilizzo successivo del pozzo ci sono invece placche metalliche (in basso a destra) trovate su mummie della XXII dinastia (900 a.C. circa).

Ricorderete poi l’eccezionale ritrovamento del 2017 di un giardino funerario, unico esempio archeologico finora attestato, che durante la campagna 2020 è stato coperto per motivi di conservazione e “sostituito” da una copia a grandezza naturale realizzata dalla Factum Arte, azienda di Madrid già nota per aver lavorato alla riproduzione della tomba di Tutankhamon.

Ulteriori informazioni e foto sulla stagione 2020 sono sul diario di scavo online della missione: http://www.excavacionegipto.com/el_proyecto/diario_de_excavacion.php?year=2020

e sul sito del CSIC: https://www.csic.es/es/actualidad-del-csic/el-proyecto-djehuty-halla-el-ataud-y-la-momia-de-una-joven-que-vivio-hace-3600

Di seguito invece un video con i momenti più importanti, compresi quelli del ritrovamento del sarcofago e del contenitore per ushabti:

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Asasif, scoperti tre sarcofagi di XVIII dinastia

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Source: MoA

Ultimamente la necropoli di el-Asasif, Tebe Ovest, sforna sarcofagi su sarcofagi. Dopo la cachette di III Periodo Intermedio, poco lontano sono stati scoperti tre sarcofagi lignei perfettamente conservati risalenti all’inizio della XVIII dinastia (XVI sec. a.C. circa). Questa volta, però, protagonista del ritrovamento è la missione dell’IFAO (Institut Français d’Archéologie Orientale) e dell’Università di Strasburgo, diretta da Frédéric Colin.

Gli archeologi francesi sono alla loro seconda campagna di scavo nell’area della tomba di Pediamenopet (TT33) e già lo scorso anno trovarono due sarcofagi coevi che furono aperti in diretta svelando le mummie al loro interno.

Passando alla presentazione degli esemplari appena scoperti:

  • il primo (foto in alto), lungo 1,90 m, apparteneva a una donna di nome Rau ed è decorato con strisce bianche con geroglifici su sfondo giallo;
  • il secondo (foto in basso), lungo 1,80, appartiene alla categoria dei cosiddetti sarcofagi rishi (dall’arabo “piuma”), chiamati così per la particolare decorazione, già attestata durante la XVII din., con ali policome che occupano l’intero coperchio. In questo caso, la mancanza di testi rende impossibile conoscere il nome del proprietario;
  • del terzo purtroppo non sono state diffuse foto*, per questo bisogna fidarsi della breve descrizione del Ministero delle Antichità che parla di una bara di 1,95 m appartenente a una donna chiamata “T Abu“.

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Sarcofago rishi (Source: MoA)

*Qualche giorno dopo è stato l’IFAO a pubblicare un’immagine, seppur non particolareggiata, del terzo sarcofago che sembra simile a quello scoperto l’anno scorso, cioè con strisce gialle su sfondo bianco.

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Source: IFAO

Aggiornamento (09/01/2020):

Dopo qualche mese dall’annuncio della scoperta, Frédéric Colin ha comunicato a National Geographic France una possibile interpretazione dell’insolita tipologia di sepoltura dei tre sarcofagi. Come i due ritrovati nel 2018, infatti, erano completamente ricoperti da detriti ordinati di piccole dimensioni in un terrapieno regolarizzato da muretti (foto in alto). Nelle macerie si trovavano anche oggetti di corredo funebre e tracce di cibo come semi, frutta e addirittura un vaso ancora contenente un pasto dall’odore acre. Tuttavia, i sarcofagi sono più antichi dello strato in cui erano sepolti trovandosi sotto la rampa processionale che conduceva al tempio funerario di Thutmosi III a Deir el-Bahari.

Appare quindi evidente si trattasse di deposizioni secondarie e ci anche sono forti indizi che le bare siano state aperte e richiuse con la risistemazione delle mummie al loro interno. Quindi, oltre alle classiche spiegazioni che vedono lo spostamento dei sarcofagi dovuto proprio alla realizzazione della rampa o per nasconderli da eventuali saccheggi, Colin ha ipotizzato l’esistenza di una tipologia di sepoltura finora sconosciuta. I morti sarebbero stati volutamente collocati sotto la pavimentazione della via processionale per metterli in contatto con i rituali religiosi.

 

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Richiuso il grande sarcofago in quarzite di Tutankhamon

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Source: MoA

Dopo il trasferimento al Grand Egyptian Museum del sarcofago antropoide esterno, nella camera funeraria di Tutankhamon era rimasto vuoto l’enorme sarcofago in quarzite che lo conteneva. Così, le autorità egiziane hanno deciso di richiuderlo riposizionando il pesante coperchio che da quasi un secolo era poggiato a terra, da quando, il 24 febbraio 1924, era stato fatto sollevare da Howard Carter.

Ieri, a margine della visita alla missione di el-Asasif, il ministro delle Antichità Khaled el-Enany e Mostafa Waziry, segretario generale dello SCA, si sono recati nella KV62 proprio per ispezionare la conclusione dei lavori di chiusura del sarcofago. La netta frattura che divide a metà il coperchio, come si vede dalla foto originale di Harry Burton (vedi in basso), non è nuova, anzi risale alla deposizione di Tutankhamon perché trovata già riparata con del gesso dipinto dello stesso colore della quarzite.

Ancora non chiaro è invece il destino della mummia del faraone, ancora esposta in una teca nella tomba, ma che potrebbe essere spostata nel Grand Egyptian Museum insieme a tutto il corredo. La decisione verrà presa durante il XII International Congress of Egyptologists che si terrà al Cairo dal 3 all’8 novembre 2019.

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Source: MoA

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Dahshur, ricostruito il “volto” della principessa Hatshepsut

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Source: Channel 4

Nell’aprile del 2017 gli archeologi egiziani avevano individuato a Dahshur (circa 40 km a sud di Giza) i resti di una piramide risalente alla XIII dinastia. Della struttura, in realtà, rimaneva solo la base a causa della successiva espoliazione dei blocchi in calcare. Anche la camera funeraria stessa appariva già depredata in antichità per l’assenza degli oggetti del corredo e per le ossa del defunto sparse sul pavimento.

Integra era solo la cassa canopica in legno che conservava ancora gli organi all’interno e che ha permesso di capire, grazie alla lettura delle sue iscrizioni, che la tomba apparteneva alla principessa Hatshepsut, figlia del faraone Ameny Qemau (1790 a.C. circa) e solo omonima della ben più nota regina di XVIII dinastia.

In realtà, mescolati alle ossa c’erano anche frammenti del sarcofago che era stato distrutto dai tombaroli. Ieri, in esclusiva per la trasmissione “Egypt’s Lost Pyramids” dell’emittente britannica Channel 4, è stato mostrato per la prima volta il frutto del restauro del sarcofago, pulito e ricomposto dagli archeologi dell’American University of Cairo. Sono riapparsi quindi i tratti di un volto femminile, caratterizzato da una parrucca hathorica, che secondo gli egittologi che lo hanno studiato sarebbe l’idealizzazione di quello della principessa Hatshepsut

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