Articoli con tag: Seti I

Saqqara, novità dalla tomba del generale di Ramesse II

Source: National Geographic “Lost Treasures of Egypt” 03×03

La nuova serie di documentari National Geographic “Lost treaures of Egypt” (trasmessa in queste settimane come “I grandi tesori d’Egitto” in Italia) non sta anticipando solo scoperte, ma anche aggiornamenti da scavi in corso già da anni.

Nella terza puntata, ad esempio, si parla della missione di Ola El-Aguizy (Università del Cairo) nella tomba di Iurkhy, scoperta a Saqqara nel 2018 (qui il mio articolo). Iurkhy era un importante generale, forse di origine siriana, vissuto sotto Seti I (1290-1279 a.C.) e Ramesse II (1279-1212). La sua sepoltura-santuario aveva subito colpito per i rilievi e per la grandezza della struttura – consistente in una corte esterna, un peristilio, la stanza della statua, ripostigli con volta stuccata e cappelle a ovest (foto in alto) -, ma ha riservato altre sorprese.

Proprio al centro della sala con pilastri è stato scavato un pozzo funerario profondo 8 metri che conduce a una prima stanza ipogea vuota da cui a sua volta si accede, attraverso un altro pozzo di 12 metri, alla camera sepolcrale vera e propria. Anche quest’ultima non presenta reperti a causa di antichi tombaroli; tuttavia, un passaggio murato nella sala superiore si è rivelato l’ingresso a un dedalo di gallerie e sale secondarie, ancora da indagare perché ingombre di detriti. Appare evidente che anche questi ambienti, forse riutilizzati per sepolture più tarde, siano stati violati da ladri, ma restano comunque ossa umane e oggetti del corredo, come frammenti ceramici, ushabti, una testa di vaso canopo in alabastro e blocchi di calcare con scene funerarie (foto in basso).

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Bufale eGGizie*: Omm Sety, la reincarnazione di una sacerdotessa egizia

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(*A scanso di equivoci, il nome della rubrica contiene volutamente un errore ortografico per sottolineare il carattere a dir poco ridicolo di alcune notizie riguardanti l’Egitto che circolano nel web e non solo)

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Di questa persona, forse l’ultima figura romantica nel mondo dell’egittologia, mi avete chiesto in tanti di parlare, praticamente da quando ho cominciato a scrivere sul blog. Una donna in cui coesistevano in egual misura indiscusse capacità professionali e bizzarre stravaganze new age che incuriosivano colleghi, turisti e giornalisti che la incontravano. Un personaggio che ovviamente non poteva sfuggire ai radar della trasmissione “Freedom” di Giacobbo che le sta dedicando ben due puntate (la scorsa, 11/06/2019, e quella di stasera, 18/06). Così, visto il rinnovato interesse, colgo l’occasione per far luce su alcuni degli aspetti più misteriosi della vita di Dorothy Eady, Bulbul Abdel Meguid, Bentreshyt o, come è più comunemente nota, Omm Sety (anche se potete trovare altre grafie come Omm Seti o Umm Sety), la reincarnazione di una sacerdotessa egizia.

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Mummia di Seti I (Source: wikipedia.org)

Dorothy Louise Eady nacque il 16 gennaio 1904 in un sobborgo a sud-est di Londra e probabilmente avrebbe avuto un’anonima vita medio-borghese se all’età di 3 anni non fosse caduta dalle scale. Il medico chiamato a salvarla non potè far altro che appurarne la morte, ma, tornato dopo mezz’ora per preparare la salma, trovò la bambina beatamente seduta sul letto mentre mangiava cioccolata. Da questo momento in poi, la piccola Dorothy cominciò a fare sogni strani in cui vedeva palazzi con grandi colonne e un giardino con una vasca al centro. La situazione divenne preoccupante quando l’anno dopo, durante una visita al British Museum, la bambina entrò nella galleria egizia e cominciò ad abbracciare e baciare i piedi delle statue dicendo di voler “rimanere tra la sua gente”. L’ossessione verso l’antico Egitto crebbe esponenzialmente, tanto da spingere spesso Dorothy a saltare la scuola per recarsi nel museo londinese dove conobbe addirittura il celebre egittologo Ernest Alfred Thompson Wallis Budge, curatore del Dip. di Antichità Egizie e Assire, che le insegnò i rudimenti della scrittura geroglifica. Le “visioni” aumentarono sempre di più, fino ai 15 anni, quando le venne in sogno l’uomo più importante della sua vita, il faraone Seti Iche riconobbe per aver visto alcune foto della sua mummia (immagine a sinistra).

Dopo aver visitato tutte le collezioni egizie del Regno Unito e cominciato a raccogliere personalmente le antichità meno costose disponibili sul mercato antiquario, a 27 anni si trasferì a Londra per lavorare in una rivista egiziana e qui incontrò Iman Abdel Meguid, uno studente che diventerà suo marito. Così, per sposare Iman, riuscì finalmente a coronare il sogno di tornare a “casa”, nel 1933, arrivando al Cairo e assumendo il nome arabo di Bulbul Abdel Meguid. Ma il matrimonio, nonostante un figlio chiamato non a caso Sety, durò poco a causa delle stranezze della donna mal viste dai suoceri e da una proposta di lavoro che portò il marito in Iraq. Infatti, strani fenomeni di trance, scrittura automatica ed esperienze di uscita dal corpo erano ormai all’ordine del giorno, soprattutto dopo che Hor-Ra, un antico spirito egizio, le avrebbe occupato i sonni per 12 mesi consecutivi, raccontandole la sua vita passata.

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Tempio di Seti I, Abido

Omm Sety sarebbe stata la reincarnazione di Bentreshyt (“Arpa della Gioia”), una giovane nata da un soldato e da una venditrice di frutta. Il padre l’abbandonò sui gradini del Tempio di Seti I ad Abido (immagine in alto), dove il sacerdote Antef la raccolse e la crebbe a sua volta come sacerdotessa di Iside. Un giorno, mentre cantava nel giardino del santuario, colpì con la sua incantevole voce il faraone che se ne innamorò. Così i due divennero amanti e Bentreshit rimase incinta nonostante il voto di castità. Il finale della storia, come spesso succede nei ricordi di vite passate, è tragico perché Antef si accorse del pancione e la spinse al suicidio dopo non essere riuscito ad estorcerle il nome del suo illustre compagno.

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Labib Habachi, Omm Sety e Hānī al-Zaynī (Source: calisphere.org)

Una volta libera dagli impedimenti coniugali, Bulbul (letteralmente “Usignolo”) si trasferì a Nazlat es-Simman, villaggio a due passi dalla piana di Giza, e riuscì perfino a ottenenere un impiego, prima donna in assoluto, come disegnatrice e ispettrice per il Dipartimento delle Antichità egiziane. Essendo dipendente del dipartimento, era libera di entrare nel sito archeologico anche dopo la chiusura, effettuare i suoi riti giornalieri nei templi dell’area (ormai era diventata politeista convinta), fare offerte alla Grande Sfinge e passare notti all’interno della Piramide di Cheope. Quando perse l’affidamento del figlio, potè anche partecipare attivamente a diverse missioni archeologiche, collaborando con alcuni tra i più importanti egittologi locali: Selim Hassan, lo scopritore della tomba intatta della regina Khentkaus (Omm Sety compare nei ringraziamenti nei suoi volumi “Excavations at Gîza”), Ahmed Fakhry, direttore degli scavi nella necropoli di Dahshur e della piramide di Djedkara a Saqqara, e Labib Habachi (a sinistra nella foto in alto). In generale, si occupava di disegno tecnico dei reperti e di editing delle pubblicazioni scientifiche in inglese, di cui probabilmente era spesso la ghost writer.

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Source: abydosarchive.org

La sua prima visita nell’amata Abido risale al 1952, quando passò tutta la prima notte a bruciare incenso nel tempio di Seti I. Tuttavia, è solo il 3 marzo 1956 che si trasferì definitivamente per disegnare i rilievi, catalogare i blocchi in magazzino e copiare le iscrizioni tra le rovine. Qui lavorò ufficialmente fino al 1964, per poi, dopo un breve periodo nella sede centrale del Dipartimento al Cairo, tornare come consulente e guida (a destra, il suo report mensile delle attività svolte nell’agosto 1968). Ormai anziana, Omm Sety si ritirò a vita privata solo nel 1972 a causa di un attacco cardiaco, ma continuò comunque ad accompagnare i visitatori del sito fino alla morte, il 21 aprile 1981.

Ad Abido, Omm Sety divenne molto popolare intrattenendo con i suoi curiosi aneddoti turisti e colleghi e mescolandosi, grazie a un tenore di vita molto spartano, con gli abitanti del luogo che la temevano e rispettavano. Lo stesso nome che la contraddistingue maggiormente le venne dato proprio ad Abito per sottolineare – come spesso si fa nel mondo islamico – la sua maternità (= “Madre di Sety”). Inoltre, la vicinanza con gli abitanti del villaggio le permise di condurre valide ricerche etnografiche per l’American Research Center in Egypt che mettevano in relazione gli antichi culti egizi con le tradizioni musulmane e copte contemporanee.

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Omm Sety e la sua gatta (che ovviamente si chiamava Bastet)

La fama mondiale crebbe grazie a diversi articoli di giornali e a due documentari girati nel 1980, poco prima della morte: “Omm Sety and Her Egypt” per la BBC ed “Egypt: Quest for Eternity” per National Geographic (in basso). Ma la sua aurea mistica si deve soprattutto alle pubblicazioni dell’amico Hanny El Zeini che, in particolare nel libro “Omm Sety’s Egypt”, riporta diversi racconti incredibili e tutte le scoperte archeologiche che sarebbero state effettuate grazie ai suoi ‘ricordi’ della vita passata. El Zeini afferma di aver chiesto al capo ispettore di Abido se fossero vere tutte le storie che circolavano attorno a Omm Sety ricevendo come risposta che la donna era stata la protagonista materiale del ritrovamento dei giardini del tempio, nell’area del “Palazzo”, e che aveva dato un valido aiuto anche nell’individuazione della galleria del settore settentrionale del santuario (l’ingresso all’Osireion).

Ma è possibile che Omm Sety abbia veramente indicato dove scavare perché aveva vissuto in prima persona quei luoghi? O che fosse a conoscenza dell’ubicazione di importanti siti non ancora scoperti grazie ai suggerimenti di antichi personaggi apparsi in sogno? In effetti, Omm Sety diceva di avere spesso visite da Seti (tornato dall’Amduat grazie – ironia della sorte – proprio a “un permesso speciale”) che in un primo momento, nonostante i trascorsi amorosi, si sarebbe rivelato rispettoso del suo status di donna sposata ma che poi, dopo il divorzio, le avrebbe proposto un matrimonio nell’aldilà. Così come erano frequenti i colloqui con il grande Ramesse II, ricordato invece come un ragazzino irrequieto e rumoroso.

In realtà, la quasi totalità delle previsioni di Omm Sety non è mai stata verificata. In “Abydos: Holy City of Ancient Egypt” (pp. 176-178), scrisse che nel 1958 sarebbe caduta dal soffitto della Camera delle barche solari del tempio di Seti e che si sarebbe ritrovata in un ambiente colmo di casse, tavole d’offerta, teli di lino, statue d’oro con cartigli della XXVI dinastia; tuttavia, non riuscì più a ritrovare l’accesso a questa fantomatica stanza del tesoro. Era convinta anche che sotto l’edificio ci fosse una biblioteca con papiri dall’inestimabile valore storico e religioso: anche in questo caso, zero riscontri. Disse la sua perfino sulla tomba di Nefertiti che collocava nella Valle dei Re, vicino la tomba di Tutankhamon, grazie a una dritta di Seti I, nonostante questi non volesse che si trovasse perché odiava Akhenaton in quanto iconoclasta e deportatore di masse. Lo stesso Nicholas Reeves la cita nell’articolo in cui presenta l’ormai celebre teoria sulle camere nascoste nella KV62 (ma sappiamo benissimo come sia finita la questione). Altre rivelazioni, invece, sconfinano nella pura fantarcheologia, come la netta retrodatazione dell’Osireion di Abido – non più quindi cenotafio di Seti I – e della Grande Sfinge di Giza, che sarebbe stata l’effigie del dio Horus e non di Chefren.

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Se poi andiamo nel particolare, la presunta scoperta del tunnel nord imputata ai ricordi di Omm Sety (e segnalata da Freedom come indizio della veridicità delle parole della donna) non è altro che la risultante dell’intuizione del celebre archeologo britannico Flinders Petrie che nel 1902 notò una depressione scavando con Caufeild il muro di recinzione del tempio di Seti I. Nel 1903, Margaret Murray, individuò l’anticamera dell’Osireion e la fine del corridoio d’accesso di cui comunque tracciò l’ipotetico andamento nella sua pubblicazione del 1904, ricongiungendosi a ciò che era stato indagato l’anno prima (immagini in basso). L’Osireion vero e proprio, invece, fu scavato da Edouard Naville tra 1912 e 1914 e poi da Henri Frankfort nel 1925.

Un’altra grave svista della trasmissione è stata datare al 3000 a.C. i geroglifici presenti nel corridoio e considerarli tra i primi della storia egizia. Le prime attestazioni di scrittura geroglifica sono state trovate effettivamente ad Abido, ma più ad ovest, nella necropoli di Umm el-Qaab e in particolare nella tomba U-j del re Scorpione I (3200 a.C. circa). I testi che si trovano nell’Osireion, invece, corrispondono al Libro delle Porte, gruppo di formule funerarie che comparvero solo alla fine della XVIII dinastia (1300 a.C. circa), e al Libro delle Caverne, testo di età ramesside che qui ha il suo primo esempio; nello specifico – e sarebbe bastato leggere i cartigli inquadrati – ciò che è scritto alle pareti del corridoio è da collocare sotto il faraone Merenptah (1213-1203 a.C.).

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Frame tratto dalla puntata di Freedom del 18/06/2019, rielaborato da M. Mancini con cartiglio di Merenptah dal Tempio di Luxor

A detta di chi l’ha conosciuta, Omm Sety non fingeva ed era fermamente convinta di quello che diceva. Molti psicologi e altri esperti hanno provato a spiegare le sue visioni con la “sindrome della falsa memoria”, estraneazione dalla realtà, danni cerebrali subiti per la caduta a 3 anni, ma credo che a posteriori, senza una vera visita medica, sia inutile parlarne. Più importante è invece sottolineare professionalità e preparazione della donna che erano confermate da altri eminenti egittologi, ma che rischiano di passare in secondo piano a causa del folklore della sua vita. Nonostante non abbia seguito una normale carriera accademica, infatti, Omm Sety comiciò a studiare storia e lingua egizia fin da piccola e poi si formò sul campo grazie a decenni di missioni archeologiche, proprio come aveva fatto Howard Carter. 

È vero che – come dice l’egittologo Kenneth Kitchen – Omm Sety potrebbe essere arrivata ad alcune conclusioni esatte perché passava tutto il suo tempo nell’area archeologica di Abido, osservando, disegnando, copiando e studiando, cosa che il 99% degli altri ricercatori non potrebbe mai fare. Ma in generale, non c’è comunque alcun documento, articolo o appunto scritto che provi che lei sapesse in anticipo dove scavare. Abbiamo solo i suoi racconti a posteriori, oltre a dicerie, voci di persone a lei vicine e anonime citazioni che non hanno alcun valore scientifico. Non ci sono nemmeno conferme da parte dei suoi familiari di tutto ciò che Omm Sety raccontò sulla sua infanzia.

Resta quindi uno dei tanti esempi di persone che, forse per fuggire dalle insoddisfazioni della vita reale, immaginano di avere avuto un trascorso illustre. Quasi mai, infatti, si sente parlare di reincarnazioni di gente comune e Omm Sety non fa eccezione perché, nonostante nella scorsa puntata di Freedom si sia provato a sottolineare le umili origini di Bentreshyt, questa sarebbe stata comunque l’amante dell’uomo più potente del suo tempo. Inoltre, va aggiunto che l’antico Egitto, per il suo fascino esotico, è sempre stato terreno fertile per correnti filosofiche esoteriche e per società segrete iniziatiche che della reincarnazione hanno fatto l’elemento fondante. Curiosamente ci fu anche una concittadina e quasi coetanea di Omm Sety, la scrittrice Joan Grant, che assicurava di ricordare almeno 40 vite passate tra cui quella di Sekhet-a-Ra, sacedotessa e regina vissuta durante la I dinastia e sepolta, anch’essa, ad Abido. Questa storia, a parer suo non inventata, le servì da spunto per realizzare il suo romanzo più famoso, “Il Faraone alato” (1937).

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Il tempio di Seti I con i luoghi delle “scoperte” di Omm Sety

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Ancora due stele dagli scavi di Kom Ombo

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Source: MoA

Ormai i lettori più assidui del blog l’avranno imparato a memoria, ma mi scuseranno se ripeto questa introduzione per i nuovi arrivati. In prossimità del tempio tolemaico di Kom Ombo, nel governatorato di Assuan, si stanno effettuando lavori per abbassare il livello della falda freatica che minaccia i resti del santuario e, scavando, sono numerose le scoperte fortuite. Dopo i più recenti ritrovamenti, due stele di Tolomeo V e una sfinge, questa volta è il turno di altre due stele, divise nella datazione da oltre 1000 anni.

La prima, spezzata in due, è alta 2.3 metri, larga 1 m e spessa 30 cm. Secondo quanto riferito dal Ministero delle Antichità, sulla lunetta sarebbe mostrato (due volte) Seti I (1290-1279 a.C.) nell’atto di presentare offerte al dio coccodrillo Sobek e a Horus. Inoltre, nelle 28 righe di testo geroglifico sotto la scena rituale sarebbe citato anche il nome dell’ultimo faraone della XVIII dinastia, Horemheb. Fra l’altro, non sarebbe il primo ritrovamento risalente alla XIX dinastia in questo contesto, dopo i frammenti di una statua colossale di Ramesse II.

La seconda stele è conservata peggio essendo fratturata in più parti, ma le misure totali sono state stimate sui 3.25 x 1.15 x 0.3 metri. In questo caso, il sovrano ad essere rappresentato è Tolomeo IV (222-204) insieme alla moglie Arsinoe III al cospetto della trinità di Kom Ombo (qui bisogna fidarsi perché non sono state ancora distribuite foto). Si tratta comunque solo di uno studio preliminare che, visti anche casi passati, non fornisce la certezza delle informazioni rilasciate dal ministero.

 

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Saqqara, scoperta tomba di generale ramesside

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Source: MoA

Durante il terzo Meeting internazionale delle missioni archeologiche in Egitto, Ola El-Aguizy (Università del Cairo) ha annunciato la scoperta di una tomba ramesside a Saqqara. La sepoltura apparteneva a Iurkhy, generale, forse di origine straniera, sotto Seti I (1290-1279) e Ramesse II (1279-1212). La grandezza della struttura – corte esterna, peristilio, stanza della statua, ripostigli con volta stuccata e le cappelle occidentali che non sono state ancora scavate – indica l’importanza del defunto che è menzionato insieme al figlio e, in particolare, al nipote Hatiay.

L’area si trova a sud della rampa processionale della piramide di Unas, punto della necropoli del Nuovo Regno che sembra essere stata dedicata ad alti funzionari militari come Paser, la cui tomba era stata ri-scoperta dalla stessa missione nel 2014.

I rilievi sui blocchi conservatisi rappresentano scene di vita quotidiana e di campagne militari, come la straordinario esempio, ancora con tracce di colore, di una squadra di fanti e carri che attraversano un corso d’acqua (foto in alto) in cui spuntano le teste di alcuni coccodrilli. Quest’ultima scena ha solo un parallelo relativo a Seti I, lungo la parete nord della grande sala ipostila di Karnak e, per la presenza di fortificazioni, è stata interpretata come il passaggio dell’esercito sul confine orientale dell’Egitto. Non a caso, è stato trovato anche un blocco con il trasporto di giare da vino da Canaan.

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Le tombe di Seti I e Nefertari saranno riaperte al pubblico

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Source: wikipedia

Il prossimo 1 novembre, dopo oltre 10 anni di chiusura, due tra le più belle sepolture d’Egitto apriranno di nuovo le porte al pubblico. La tomba di Seti I (KV7), nella Valle dei Re (a sinistra nella foto), e quella di Nefertari (QV66), nella Valle delle Regine (a destra), dopo il lungo restauro delle splendide decorazioni, saranno visitabili con un biglietto speciale di 1000 LE (quasi 100 euro), prezzo molto alto ma comunque metà di quello che si pagava per gli esclusivi ingressi “VIP” (20.000 LE per gruppi di 10 persone). Tale iniziativa è pensata per cercare di risollevare un turismo sempre più in calo, a discapito della sicurezza delle fragili pitture e contro la recente decisione di realizzare copie a grandezza naturale per i turisti (Seti I, Nefertari). Curioso come entrambi gli ipogei siano stati scoperti da italiani: quello del padre di Ramesse II da Giovan Battista Belzoni nel 1817, quello della sposa da Ernesto Schiaparelli nel 1904.

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La Factum Arte realizzerà anche la copia della tomba di Seti I

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Source: abc.es

Continua la digitalizzazione delle sepolture della Valle dei Re. Dopo la tomba di Tutankhamon, anche quella di Seti I (KV17) sarà riprodotta prima virtualmente e poi fisicamente con una copia nelle vicinanze della Carter’s House. Il progetto è stato affidato ancora alla Factum Arte, azienda madrilena che ha già realizzato il facsimile della KV62 e che ha dato il via alla grande querelle delle “camere nascoste” fornendo sul web le foto ad alta risoluzione che hanno folgorato Nicholas Reeves. Le scansioni con tecnologia Lucida 3D scanner sono partite all’inizio di maggio e andranno avanti per 6/12 mesi. Un tempo così importante è dovuto dal fatto che, a differenza della piccola tomba di Tut, quella di Seti è la più lunga della Valle con 137 metri di corridoi e stanze completamente ricoperte di pitture. La copia servirà proprio a far apprezzare queste splendide decorazioni ai turisti che, da circa 30 anni, non possono accedere all’ipogeo per motivi di tutela dei pigmenti. E chissà che le immagini virtuali non possano ispirare nuovi studi.

Intanto, lo scorso aprile, i tecnici spagnoli si sono portati avanti con il lavoro, ma a 4000 km di distanza da Luxor, realizzando il rilievo fotogrammetrico del sarcofago di Seti che si trova a Londra, presso il Sir John Soane Museum. La cassa in alabastro fu trasportata nella capitale britannica nel 1824 per ordine del console Henry Salt, pochi anni dopo la scoperta della tomba effettuata dal padovano Giovanni Battista Belzoni (1817).

Il prossimo passo, invece, sarà la scansione della tomba di Nefertari (QV66) già approvata dal Ministero delle Antichità.

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Bufale eGGizie*: l’elicottero e il carro armato di Abido

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Source: en.wikipedia.org

(*A scanso di equivoci, il nome della rubrica contiene volutamente un errore ortografico per sottolineare il carattere a dir poco ridicolo di alcune notizie riguardanti l’Egitto che circolano nel web e non solo)

Tra i “misteri” fantarcheologici più sbandierati in internet, c’è sicuramente quello che riguarda l’alto livello tecnologico delle civiltà del passato, sviluppatosi grazie alla sapienza di popoli estinti (Atlantide, Agartha, Mu ecc.) o ad aiuti di entità extraterrestri. In particolare, l’Egitto ha sempre stimolato risposte fantasiose a domande semplici. Ad esempio, molti utilizzano un rilievo situato ad Abido per avvalorare l’ipotesi di conoscenze scientifiche molto più avanzate di quelle che vengono descritte dagli studi ortodossi.

Su un architrave del Tempio di Osiride fatto costruire da Seti I (1290-1279), è rappresentato un carro armato e una flotta di velivoli che, tra elicotteri, dirigibili, aerei, astronavi e hovercraft (che poi, ognuno ci vede una cosa diversa), farebbe invidia all’aeronautica militare degli USA. Come spiegare questi manufatti fuori dal tempo? Con la pareidolia, parola che ritroverete spesso in questa rubrica. La pareidolia è un fenomeno psicologico che porta l’uomo a riconoscere forme note (visi, lettere, animali, oggetti) in composizioni casuali. A causa di questo meccanismo mentale, ad esempio, vediamo facce nelle prese della corrente o su Marte (altra grande bufala da sfatare). Effettivamente, al di là di alcuni casi in cui le foto sono distorte ad hoc, anche a me quei geroglifici sembrano macchine futuribili, ma a causa di un palinsesto, cioè la sovrapposizione di due iscrizioni diverse. Il santuario, infatti, non fu completato da Seti, ma venne ripreso dal figlio Ramesse II (1279-1212) che, per appropriarsi dell’edificio, modificò alcuni titoli reali del padre inserendo il proprio.

L’iscrizione originale, incisa nella roccia, si riferisce al nome reale nebty (“Le Due Signore”) di Seti I, riscontrabile anche in altre zone del tempio:

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Source: belovedegypt.com

 

 

[wHm  mswt  sxm  xpS]  dr  ps-Dt

“[Colui che rinnova le nascite, forte di spada], che respinge i Nove Archi”

 

 

L’iscrizione più recente, invece, realizzata su stucco per coprire la precedente, presenta la stessa titolatura ma di Ramesse II (in questo caso, non trovando altri esempi, ho scritto il testo con JSesh):

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nbty  mk  kmt  wafw  xAswt

“Le Due Signore: Colui che difende l’Egitto e che conquista le terre straniere”

 

Con la sovrapposizione dei diversi geroglifici e la caduta accidentale di parte degli intonaci coprenti, quindi, si è venuta a creare questa curiosa coincidenza che niente ha a che fare con strumenti bellici (riporterò il codice utilizzato da Sir Alan Gardiner per indicare i vari segni nella sua “Egyptian Grammar”):

elicottero: Arco (T10) + braccio con mano che tiene un bastone (D40) e il braccio in combinazione con il pulcino di quaglia (G45)

carro armato: mano (D46) + Aa15

dirigibile: bocca (D21) + braccio (D36) e cesto con ansa (V31)

aereo: D40 + pane (X1) e planimetria di un villaggio (O49)

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Tolto dall’asta rilievo di Seti I

Source: MSA

Source: MSA

Il Ministero delle Autorità, in collaborazione con l’Interpol, è riuscito a recuperare un reperto archeologico illegalmente esportato dall’Egitto che stava per essere messo all’asta a Londra. Si tratta di un blocco di calcare di 67 x 43 cm inciso e dipinto con la figura e i cartigli di Seti I (1289-1279). Il faraone è rappresentato al cospetto di Hathor, che gli porge la collana “menat” con l’ankh, e di Upuaut, il “sosia” di Anubi. Il pezzo proviene da uno scavo abusivo probabilmente dell’area di Asyut perché i testi fanno riferimento a un tempio della città dove era particolarmente venerato il dio lupo. La restituzione è stata possibile soprattutto grazie alla segnalazione di Marcel Marée, curatore della sezione di Egitto e Nubia del British Museum, che ha inviato una foto del rilievo al ministro El-Damaty chiedendogli informazioni sulla sua autenticità.

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Mostra: “Egitto. Come Faraoni e Sacerdoti nel Tempio di Osiride”

ImmagineUn nuovo appuntamento con Abido nato dalle iniziative di Paolo Renier. Il lavoro venticinquennale del fotografo trevigiano nel tempio di Seti I e la consulenza del geometra Maurizio Sfiotti hanno portato alla realizzazione della mostra “Egitto. Come Faraoni e Sacerdoti nel Tempio di Osiride” che si terrà dal 12 settembre al 21 dicembre presso Palazzo Sarcinelli a Conegliano (TV). Lo scopo dell’evento è “rendere accessibile al pubblico una realtà archeologica lontana e talvolta non fruibile”. Infatti, l’Osireion, il tempio funerario di Osiride e uno dei più importanti edifici sacri della XIX dinastia, oggi si trova in stato di abbandono con acqua stagnante che impedisce l’accesso ai visitatori e pesci gatto che nuotano attorno ai pilastri della sala ipostila.

E’ proprio l’Osireion il protagonista dell’esposizione che comprende l’estesa raccolta fotografica di Renier, un modellino realizzato da Sfiotti in scala 1:20 e la ricostruzione a grandezza naturale dell’angolo NE della Camera Centrale e della Stanza del Sarcofago. Non saranno tralasciati il Complesso di Osiride all’interno del tempio vero e proprio e il resto dei monumenti che rendono il sito unico nel suo genere. In ogni caso, il percorso completo è consultabile sul sito della mostra: http://www.neltempiodiosiride.it/percorso-della-mostra.html

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