Articoli con tag: Sudan

Sudan, sito meroitico completamente distrutto dai cercatori d’oro

Source: Ebrahim Hamid /AFP

La Nubia è sempre stata per gli Egizi la principale fonte di approviggionamento dell’oro, tanto che il suo nome deriva da “nwb“, termine che designava in antico egiziano il prezioso metallo. Ancora oggi il Sudan è il terzo paese produttore d’oro in Africa, con un fatturato stimato per il 2019 di 1,22 miliardi di dollari.

Purtroppo, accanto alla normale estrazione aurifera, spesso si verificano azioni illegali di cercatori non autorizzati che, come in questo caso, non guardano in faccia nemmeno alle vestigia archeologiche. È di ieri, infatti, la notizia di un sito di età meroitica (IV sec. a.C. – IV sec. d.C.) completamente distrutto da escavatori meccanici. Di Jabal Maragha – un piccolo insediamento o checkpoint carovaniero nel deserto di Bayuda, 270 km a nord della capitale Khartum – rimane solo una voragine profonda 17 metri e lunga 20.

I fatti, però, risalgono allo scorso luglio quando Habab Idriss Ahmed, archeologo che scavò il sito nel 1999, e alcuni suoi colleghi si erano recati sul luogo per una visita di controllo scortati dalla polizia. Al loro arrivo avevano trovato cinque uomini che sono stati fermati ma rilasciati subito dopo. Alcuni antichi blocchi erano stati addirittura accatastati per creare un punto d’ombra.

Ma all’enorme danno si è aggiunta un’ulteriore beffa. Come affermato da Hatem al-Nour, Direttore delle antichità e dei musei del Sudan, i cercatori sarebbero stati ingannati dalla pirite presente tra l’arenaria del terreno e avrebbero scavato, seguendo i segnali del metal detector, in un punto dove di oro non c’è traccia.

https://www.msn.com/en-us/news/world/gold-hunting-diggers-destroy-sudans-priceless-past/ar-BB18hYiy

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Riaperta dopo un secolo la tomba di una regina di Meroe

Die unterirdischen Grabkammern der Pyramide von Königin Khennuwa in Meroe

Source: dainst.org

Dopo quasi 100 anni, 94 per la precisione, la camera sepolcrale di una piramide torna a mostrare le sue splendide pitture. Questo, però, succede in Sudan che, non tutti sanno, conserva più piramidi dell’Egitto. Dall’VIII secolo a.C., infatti, i sovrani kushiti della XXV dinastia cominciarono a farsi seppellire nelle necropoli di el-Kurru e Nuri, a Napata, in tombe monumentali, anche se molto più piccole delle “cugine” egiziane, probabilmente per sottolineare il loro nuovo titolo faraonico. In seguito, fino al III secolo d.C., quest’usanza fu adottata anche a Meroe, nelle necropoli nord e sud (patrimonio UNESCO dal 2011).

Proprio nel cimitero reale settentrionale, si trova quel che resta della piramide in questione, costruita agli inizi del IV sec. a.C., ma utilizzata verso la metà del III dalla regina Khennuwa, Grande Sposa Reale del re di Kush Amanislao. La sovrastruttura è stata distrutta dai cercatori di tesori dell’Ottocento che non immaginavano come, in realtà, fungesse da segnacolo pieno per le due camere funerarie scavate 6 metri in profondità (un po’ come la piramide di Djoser). La struttura ipogea fu scoperta solo nel 1922 da George A. Reisner (Boston Museum of Fine Arts) che, però, fu piuttosto approssimativo nella documentazione fornendo pochissimi dati e lasciando una grande lacuna sulla conoscenza di Khennuwa che è attestata solo per la sua tomba. Anche per questo, a distanza di un secolo, si è deciso di riaprire la sepoltura così da completarne la documentazione e consolidare le decorazioni parietali per una futura fruizione turistica. Il progetto fa parte degli obiettivi della “Qatari Mission for the Pyramids of Sudan”, diretta da Sheikh Hassan bin Mohammed bin Ali Al Thani, in collaborazione con la Sudanese National Cooperation of Antiquities e il Deutsches Archäologisches Institut di Berlino.

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Sudan, missione italo-russa scopre cartigli di sovrani meroitici

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Source: nationalgeographic.com.es

Con un po’ di ritardo, segnalo un’interessante notizia che viene, questa volta, dal Sudan. Circa 10 giorni fa, in attesa della pubblicazione ufficiale, sono stati resi noti alcuni risultati dell’VIII campagna di scavo italo-russa ad Abu Erteila, circa 200 km a nord dalla capitale Khartum. La missione, patrocinata dall’Istituto italiano per il Medio ed Estremo Oriente (IsMEO) e dall’Institute of Oriental Studies of the Russian Academy of Sciences e diretta dal prof. Eugenio Fantusati (“Sapienza” – Università di Roma) e dalla dott.ssa Eleonora Kormysheva, lavora dal 2008 nel sito nubiano sviluppatosi in piena età Meroitica classica (III-I sec. a.C.) nella cosiddetta “isola di Meroe”, all’incrocio tra Nilo, Nilo Azzurro e Atbara. In particolare, le scoperte più rilevanti, effettuate tra novembre e dicembre dello scorso anno, si concentrano in corrispondenza del naos di un tempio del I sec. a.C.-I sec. d.C. la cui divinità non è stata ancora individuata. Qui, infatti, sono stati ritrovati un altare rituale in basalto e un basamento (vedi foto), forse per barca sacra, con figure divine e i cartigli con i nomi, scritti in geroglifico egiziano, del re Natakamani e della regina Amanitore che gli successe (12 a.C.-20 d.C.).

P.S. Ringrazio il dott. Marco Baldi, vice-direttore della missione, per avermi gentilmente fornito queste informazioni (Che strano riprendere in mano il testo del mio primo esame universitario! Fantusati E., Antica Nubia. Storia dell’alta valle del Nilo, Roma 1999).

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Varsavia, inaugurata la nuova Galleria di Faras

Lo scorso 18 ottobre, in Polonia, presso il Museo Nazionale di Varsavia, è stato inaugurato il nuovo allestimento della “Galleria di Faras”, unica esposizione  europea con pitture medievali nubiane. I 67 frammenti di intonaco dipinto appartenevano alla cattedrale di Faras (VIII-XIV sec.), l’antica Pachoras, già sede vescovile nel VII secolo e florida città del regno cristiano di Nobazia (nord della II Cataratta).

La chiesa venne scoperta dalla missione polacca diretta da Kazimierz Michałowski, a cui è intitolata la galleria, durante gli scavi di emergenza lanciati dall’UNESCO per salvare i siti minacciati dalle acque del Lago Nasser. Proprio perché l’area sarebbe stata sommersa, le pitture sono state staccate e, in parte, nel 1972, regalate dal governo sudanese alla Polonia per l’impegno profuso. L’altra metà dei frammenti è conservata presso il Museo Nazionale del Sudan a Khartoum.

L’allestimento prevede una ricostruzione in scala della cattedrale con la navata centrale, le cappelle laterali e il nartece. I dipinti sono posizionati in base alla loro effettiva collocazione originale e sono accompagnati da ricostruzioni 3D anche di quelli che si trovano a Khartoum. I visitatori potranno apprezzare anche gli oggetti del corredo delle tombe dei vescovi e una corposa collezione di ceramiche nubiane e egiziane copte ritrovate negli scavi di Faras, Dongola e dell’area della IV Cataratta.

http://www.mnw.art.pl/en/collections/permanent-galleries/faras-gallery/

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Scoperta industria del ferro del Regno di Kush

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Source: popular-archaeology.com

La notizia, in realtà, risale all’inizio dell’estate, ma ho avuto modo solo ora di leggere i particolari. Ad Hamabab, a 3 km da Meroe in Sudan, rilevazioni archeometriche hanno permesso di individuare un centro di produzione del ferro del Regno di Kush (IX sec. a.C. – IV sec. d.C:). Chris Carey, ricercatore presso la University of Brighton, ha applicato, per la prima volta nell’archeo-metallurgia, una combinazione di gradiometria (analisi delle variazioni dei campi magnetici) e misurazione della resistività elettrica per scovare strutture antropiche nel sottosuolo. Grazie a questi dati, Jane Humphris della UCL Qatar ha liberato dalla terra un laboratorio di fusione del ferro dove, per mezzo di due forni, venivano realizzati strumenti, armi e ornamenti. Un’istallazione del genere è molto rara e sarebbe solo la terza scavata nei pressi di Meroe. Ora, verranno effettuate analisi geochimiche e isotopiche sulle scorie di lavorazione per vedere se fossero trattati anche altri titpi di metallo.

 

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“Excavation in the Meroitic Cemetery of Dangeil, Sudan”

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Source: Berber-Adibiya Archaeological Project

Nel 2002, gli abitanti del villaggio sudanese di Dangeil (sud della V cataratta) scoprirono per caso una necropoli kushita risalente al I sec. d.C. Da allora, l’indagine archeologica è affidata alla National Corporation for Antiquities and Museums in collaborazione con il British Museum attraverso il Berber-Adibiya Archaeological Project grazie al quale sono state individuate 52 tombe ipogee. Nella maggior parte dei casi, le sepolture sono semplici fosse triangolari (vedi foto) con una scala di accesso che parte dal vertice dell’altezza (orientamento E-O) e che arriva a una stanza sepolcrale ovale. I defunti sono in posizione fetale, in asse N-S e con il volto diretto a ovest.

Molto interessanti gli oggetti provenienti dai corredi, tra cui spiccano i grandi vasi che contenevano birra di sorgo, una particolare forma ceramica con sette coppe unite, una scatoletta apotropaica in faience decorata con due udjat e un rarissimo anello-sigillo in argento con l’immagine di una divinità cornuta interpretata come Amon. La cosiddetta “Tomba dell’arciere”, invece, è chiamata così per la presenza di numerose punte di freccia e perché, al pollice destro dello scheletro, era ancora infilato un anello di pietra che veniva usato per agganciare la corda. I Nubiani erano degli abili arcieri; non a caso, durante l’Antico Regno, gli Egizi chiamavano la Bassa Nubia Ta-Sety, “Terra dell’Arco”.

Queste e molte altre informazioni sullo scavo (corredate di foto) sono ora disponibili grazie alla pubblicazione gratuita in PDF Excavation in the Meroitic Cemetery of Dangeil, Sudan” di Nahmoud Suliman Bashir (NCAM) e Julie Anderson (BM):

http://bookleteer.com/book.html?id=2963&ui=embed#page/1/mode/1up

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Rinvenuto il più grande sistema di latrine della Nubia medievale

Ad Al-Ghazali, sito sudanese nello Wadi Abu Dom, gli archeologi polacchi diretti da Artur Obłuski hanno effettuato una scoperta particolare in un complesso monastico paragonabile, per dimensioni, al Monastero di S.Caterina nel Sinai. In questa struttura della prima metà del VII secolo doveva vivere un folto gruppo di frati e pellegrini che avevano “bisogno” di un adeguato sistema sanitario. Nel lato sud del monastero, infatti, gli archeologi hanno individuato una fila di 15 latrine, il gruppo più grande di tutta la Nubia medievale, composte da fori nel terreno e contenitori ceramici (vedi foto). La stanza era nascosta da mura perimetrali che fornivano un minimo di privacy.

Il complesso era completato da due chiese: una più grande costruita con blocchi di arenaria a nord (la maggiore del Sudan in età bizantina) e una più piccola in semplici mattoni di fango a sud. Qui, dopo la rimozione di uno strato di terra sulle pareti, è riapparso il fondo bianco in gesso con pitture che rappresentano i quattro arcangeli (Gabriele, Michele, Raffaele e Uriele). Inoltre, sui muri ci sono numerosi graffiti con preghiere e richieste di grazia e aiuto in ogni attività quotidiana.

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Il tatuaggio intimo della mummia cristiana

Le mummie continuano a riservarci sorprese. L’ultima tendenza delle analisi tecnologiche non invasive sui corpi conservati presso i vari musei del mondo sta portando a una scoperta dopo l’altra. Questa volta è il turno di una mummia atipica perché non è propriamente egizia e non risale all’epoca faraonica. Appartiene a una donna che viveva in una comunità cristiana sudanese di 1300 anni fa, scoperta nel 2007 e, oggi, conservata presso il British Museum.

Ovviamente, trattandosi di una sepoltura cristiana (con un semplice telo in lino e lana), l’imbalsamazione è avvenuta in modo naturale grazie al clima caldo e secco della regione. Nonostante ciò, l’ottimo stato di conservazione ha reso possibile l’individuazione ad occhio nudo di un tatuaggio nella parte interna della coscia destra. Un’analisi più accurata con i raggi X ha rivelato un monogramma formato dalla sovrapposizione delle lettere greche M-I-X-A-H-A. Michele non era di certo il fidanzato della donna ma l’arcangelo patrono del Sudan medievale e capo delle armate di Dio contro Satana, quindi il tatuaggio aveva un valore protettivo dalle forze del male, mentre quella determinata posizione potrebbe essere collegata con il parto. Il simbolo era già conosciuto su pareti di chiese o su tavole di pietra, ma è la prima volta ad essere riscontrato sulla pelle; inoltre, corrisponde al primo tatuaggio scoperto per questo periodo.

La mummia verrà esposta da maggio nell’ambito della mostra “Ancient Lives: new discoveries” (22 maggio-30 novembre 2014). L’evento, che si occuperà di altre 7 mummie (la più antica delle quali è quella di Ginger, il cosiddetto “Uomo di Gebelein” risalente al 3500 a.C.), è incentrato sulle ultime scoperte fatte grazie a TAC  e altre analisi compiute presso gli ospedali di Londra.

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Individuata la più antica evidenza archeologica di un tumore (1200 a.C.)

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Si pensa che il cancro sia una male “moderno” derivante dall’attuale stile di vita, dalla longevità e dall’inquinamento. Infatti, nei contesti archeologici, questa malattia è attestata in pochissimi casi, soprattutto se si pensa che, il più delle volte, ciò che rimane dei morti si limita allo scheletro. Si capisce, quindi, l’importanza della scoperta fatta da Michaela Binder (nella foto) della Durham University in collaborazione con gli esperti del British Museum: tracce di un carcinoma metastatico di 3.200 anni fa.

Il “paziente” è un uomo morto a 25-35 anni e sepolto in un sarcofago ligneo ad Amara Ovest (Sudan), capitale amministrativa della Bassa Nubia. Analizzando le ossa con radiografie e microscopio a scansione elettronica, si è visto che la forma delle lesioni poteva essere imputata solo a un tumore la cui tipologia, però, non può essere determinata. Dopo aver colpito i tessuti molli, le metastasi hanno invaso il corpo e le tracce sono chiare su clavicole, scapole, vertebre, costole, bacino e ossa degli arti.

Non si sa quale fosse la causa (fumo dei focolari, parassiti, fattori genetici?), ma lo studio di questo caso potrebbe fornire informazioni sull’origine dei tumori nell’antichità e la loro evoluzione nel corso dei secoli.

L’articolo completo su PLOS ONE: http://www.plosone.org/article/info%3Adoi%2F10.1371%2Fjournal.pone.0090924

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Intervento italiano per il restauro del Tempio di Mut a Gebel Barkal

Gebel Barkal B300

 

L’Italia continuerà ad aiutare il Sudan nel restauro del Tempio di Mut a Gebel Barkal. Il cosiddetto B300 è un tempio rupestre fatto costruire dal “faraone nero” della XXV dinastia Taharqa (690-664) alle pendici della Montagna Pura (400 km a N di Khartoum) ed è composto da una parte esterna con colonne hathoriche (vedi foto) e una scavata nella roccia.

L’Istituto Superiore per la Conservazione ed il Restauro dal 2013 coopera con la National Corporation of Antiquities and Museums per la salvaguardia del sito e gli interventi realizzati sono stati: la pulizia dell’architrave del vestibolo che ha rivelato geroglifici dai colori ancora vivaci, la costruzione di una struttura di copertura per proteggere la parte all’aperto dagli agenti atmosferici e lo scavo della seconda camera e di quelle laterali. L’ambasciata italiana, inoltre, ha promosso un seminario sul restauro e la conservazione della pietra diretto ai funzionari locali così che possano, in futuro, operare anche senza aiuti esterni.

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