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Una TAC per la mummia di gatto di Fiesole

A) mummia durante l’analisi CT; B) un’immagine fotografica della mummia; C) CT assiale con particolari del cranio; D) CT sagittale con dettagli dell’intero corpo; E) esempio di ricostruzione 3D

Uno studio multidisciplinare ha acquisito interessati informazioni da una mummia di gatto “toscana”, confermando un dato ormai assodato: i felini non erano così intoccabili in Egitto come la gente pensa. La mummia fa parte della piccola collezione egizia del Museo Missionario Etnografico Francescano di Fiesole, formatasi dal 1923 grazie ad alcune donazioni fatte al Convento di San Francesco, in particolare dal celebre egittologo Ernesto Schiaparelli, direttore della Sezione egizia del Museo Archeologico Nazionale di Firenze (1881-1893) e poi del Museo Egizio di Torino (1894-1928). Rimando comunque all’articolo di Julie Santoro su questo blog per approfondire la storia della collezione.

Lo studio è stato portato avanti da un team composto dai radiologi Roberto Carpi e Chiara Zini e dal tecnico di radiologia Nicolò Bechini (AUSL Toscana Centro), dal fisico Andrea Barucci (Istituto di Fisica applicata “Nello Carrara”- CNR Firenze), dalla storica della medicina Donatella Lippi (Università di Firenze). Non è stato necessario sbendare il gatto, ma si è proceduto con un’autopsia virtuale non invasiva grazie alla TAC, individuando alcune fratture alle vertebre cervicali e alle ossa delle zampe. La causa di queste lesioni non è stata ancora stabilita con certezza, ma, come ho anticipato, studi precedenti su altre mummie di gatto hanno evidenziato come gli animali fossero allevati nelle vicinanze dei santuari dedicati alla dea Bastet, uccisi appositamente con la torsione del collo o con colpi sul cranio, mummificati e venduti ai fedeli come ex voto da lasciare nei templi.

Il progetto è appena iniziato e punta ad acquisire ulteriori dettagli, come ad esempio la razza, l’età, il sesso dell’animale, la presenza di materiali di riempimento, grazie ad altri strumenti e tecniche all’avanguardia.

https://www.cnr.it/it/nota-stampa/n-11617/una-mummia-di-gatto-sotto-la-tac

Copyrigh foto: Museo Etnografico Missionario del Convento di San Francesco a Fiesole, IFAC-CNR, Università di Firenze, Fondazione Santa Maria Nuova ONLUS, AUSL Toscana Centro

Esempio di ricostruzione 3D a partire dai dati TC. In evidenza alcuni particolari dello scheletro
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Identificato il primo caso di bendaggio medicale in una mummia

https://bit.ly/35R9Fof; C: ©SMB, Agyptisches Museum und Papyrussammlung, Foto: Sandra Steiß

Di Flavia Bonaccorsi Micoevich

Ancora importanti informazioni egittologiche grazie all’applicazione della tomografia computerizzata nell’analisi dei corpi imbalsamati. Come nel caso della mummificazione indiretta di un feto di cui si era parlato lo scorso mese, si tratta di bambini e, nuovamente, di un unicum scientifico.

Albert Zink, direttore dell’Istituto per gli studi sulle mummie di Bolzano (celebre per lo studio e la conservazione del corpo di Ötzi), è tornato ad offrirci sorprendenti risultati diagnostici per mezzo della TAC che già nel 2012 gli aveva permesso di rintracciare sul corpo di Ramesse III la mortale ferita alla gola, causa inequivocabile della sua morte.
Questa volta il suo studio si è concentrato sulle mummie di 21 bambini, ben conservate, risalenti al periodo tolemaico e al periodo romano, riscontrando la morte per setticemia causata da infezioni. In particolare, il secondo caso analizzato ha rivelato un particolare inaspettato e finora inedito: una ferita fasciata sotto gli strati di lino dell’imbalsamazione.

Il corpo in questione, trovato nel Faiyum, ad Hawara, presso la “tomba di Alina”, appartiene a una bimba con età stimata tra i due anni e mezzo e i quattro, vissuta tra il I e il II secolo d.C. L’analisi tomografica ha mostrato un rigonfiamento della parte inferiore della piccola gamba sinistra e pus essiccato nei tessuti molli in concomitanza con quella che è stata identificata come una ferita, proprio in corrispondenza con il bendaggio “anomalo” (immagine in alto). La presenza del pus si è rivelata la chiave per riconoscere l’antica medicazione: secondo lo stesso Zink, è molto probabile che una diagnosi simile non sia mai stata effettettuata prima di oggi per via dei “limiti” dei sistemi d’indagine che, in assenza di materiale purulento visibile, potrebbero aver portato i ricercatori a confondere un vero e proprio medicamento con un semplice bendaggio più spesso del solito.

L’importanza della scoperta è evidente perché fornisce un esempio di messa in pratica di quelle tecniche che, nei papiri medici, sono dettagliatamente illustrate proprio per curare lesioni cutanee infette. Inoltre, per il team di Zink è plausibile che l’infezione della ferita sia continuata anche dopo la morte della bambina e che il bendaggio sia stato applicato dagli imbalsamatori nel tentativo di preservare al meglio il corpo della piccola per l’aldilà.

Occorrerebbero ulteriori analisi per poter verificare l’eventuale presenza di unguenti, balsami o natron utilizzati per placare l’infezione, ma ciò comporterebbe la necessità di sbendare la mummia – pratica che sappiamo bene non essere più privilegiata – oppure di effettuare un prelievo di campione dalla zona interessata. Per questo, pare che il team stia ancora valutando la seconda opzione per preservare il corpo al meglio. Resta comunque un significativo passo in avanti nella comprensione della vasta pratica medica egizia, che siamo certi che ci offrirà molte altre soprese.

L’articolo originale sull’ultimo numero dell’International Journal of Paleopathology: https://www.sciencedirect.com/science/article/pii/S1879981721000942?via%3Dihub

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Sbendata virtualmente la mummia del faraone Amenofi I

Source: newscientist.com

Lo scorso aprile aveva compiuto il suo (forse) ultimo viaggio, dal Museo Egizio del Cairo al Museo Nazionale della Civiltà Egiziana di Fustat, partecipando trionfalmente alla Pharaoh’s Golden Parade. Ma ancor prima di lasciare la sua sede espositiva originaria, la mummia di Amenofi I era stata sottoposta a una TAC rivelando diverse informazioni sullo stato di salute del faraone e soprattutto sulle tecniche di utilizzate per mummificare il suo cadavere.

I risultati degli esami, eseguiti nel 2019 in un laboratorio mobile nel giardino del Museo, sono stati pubblicati proprio oggi sulla rivista “Frontiers in Medicine” in un articolo della professoressa di radiologia della Cairo University, Sahar Saleem, e di Zahi Hawass.

Amenofi I (1525-1504 a.C.) è stato il secondo faraone della XVIII dinastia, in seguito divinizzato insieme alla madre Ahmose-Nefertari. La sua mummia fu scoperta nel 1881 nella famosa cachette di Deir el-Bahari, dove era stata nascosta dai sacerdoti di Amon durante la XXI dinastia. Le tombe dei faraoni avevano infatti subito furti e danneggiamenti alla fine del Nuovo Regno e così il clero cercò di salvare almeno i corpi dei sovrani dalle mani degli antichi tombaroli (e, contestualmente, di approfittare di quanto rimasto del corredo).

Il corpo di Amenofi I reca le tracce sia dell’azione dei ladri che della seconda imbalsamazione, effettuata 300 anni dopo la prima per riparare i loro danni. Tuttavia, trattandosi di uno dei pochissimi casi in cui la mummia non è stata sbendata dopo il ritrovamento, per vederle è stato necessario sottoporla a esami autoptici non distruttivi come i raggi X e, ora, la TAC. Quest’ultimo esame ha corretto i dati acquisiti dalle vecchie radiografie (1932 e 1967), posizionando l’età di morte di Amenofi I intorno ai 35 anni sulla base della chiusura delle epifisi delle ossa lunghe e della morfologia della sinfisi pubica. Il re era alto circa 168,5 cm e, a parte una frattura rimarginata al bacino, non mostra evidenti segni di malattie o traumi; quindi al momento è impossibile stabilirne la causa di morte.

Sotto la maschera funeraria in legno e cartonnage, le ghirlande di fiori e un primo sudario di lino, è emersa una commistione tra vecchio e nuovo bendaggio. A quello originale di XVIII dinastia dovrebbe appartenere la fasciatura individuale degli arti; in particolare, le braccia dovevano essere incrociate sul petto, come indicato dalla posizione trasversale dell’avambraccio destro, seppur la mano sia dislocata. Il braccio sinistro, invece, risulta staccato e quindi avvolto lungo fianco e fissato con un perno durante il III Periodo Intermedio. Anche la testa è stata riattaccata al corpo con una benda imbevuta di resina. Infine, una grande cavità, scavata nell’addome per arrivare a preziosi oggetti protettivi, è stata colmata con del lino e riempita anche con le due dita mancanti della mano sinistra e due amuleti. Tornando alla prima mummificazione, sono state evidenziate un’eviscerazione effettuata attraverso un taglio verticale sul fianco sinistro, la presenza del cuore con un amuleto, l’uso di tessuto sciolto e impacchi per occupare i vuoti creatisi e la mancata asportazione del cervello. Il pene, bendato a parte, era circonciso.

Se, come detto, gli stessi sacerdoti non si facevano troppi problemi nell’appropriarsi dei preziosi dei faraoni, in questo caso si nota almeno un certo rispetto. Tra le bende sono infatti stati individuati 30 tra amuleti e gioielli, alcuni dei quali probabilmente in oro. Oltre a udjat, scarabei, cuori ib, doppie ali, scettri di papiro uadj in faience, terracotta, pietra e conchiglia, la TAC ha rivelato la presenza di una cintura con 34 perline d’oro tenute da fili metallici sulla parte posteriore della vita. In sostanza, qualcosa per l’aldilà è stato lasciato.

Ph. Sahar Saleem, Zahi Hawass

L’articolo originale: https://www.frontiersin.org/articles/10.3389/fmed.2021.778498/full

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TAC individua un feto nella mummia di una donna incinta del I sec. a.C.

© Muzeum Narodowe w Warszawie, CT and X-ray by the Warsaw Mummy Project

Negli anni ’90 del secolo scorso, radiografie effettuate su una mummia conservata nel Museo Nazionale di Varsavia ne avevano identificato il sesso come maschile. D’altronde, sul relativo sarcofago si legge il nome e le cariche di un sacerdote. Ma poi, in una TAC del 2015 sulla stessa mummia, è venuto fuori un feto.

Più che a un reboot di un film con Schwarzenegger (o, per i veri cinefili, di quello con Mastroianni), si tratta semplicemente dell’ennesimo esempio dell’avanzamento delle tecnologie che aiutano sempre di più il lavoro dei ricercatori.

Il team polacco del Warsaw Mummy Project ha infatti recentemente pubblicato i risultati degli esami non invasivi (raggi-X e TAC) sulla mummia – a questo punto si più dire – di una donna tebana morta tra i 20 e i 30 anni nel I secolo a.C. Il corpo, insieme alla copertura in cartonnage e il sarcofago in legno, era stato acquistato in Egitto dal pittore e collezionista Jan Wężyk–Rudzki, che donò tutto il set al museo della capitale nel 1826. I documenti sulla provenienza non sono chiari, visto che si parla di “tombe reali a Tebe” o “piramide di Cheope a Giza”, ma i testi scritti sul sarcofago e sul cartonnage confermano l’origine tebana. Si legge infatti che il proprietario originario era Hor-Djehuty, scriba, sacerdote di Horus-Thot a Djeme, governatore reale del villaggio di Petmiten, cantante del dio Montu. I toponimi indicano l’area a sud di Medinet Habu, mentre tipologia e stile datano i reperti al I sec. a.C. Quindi è probabile che Hor-Djehuty fosse un importante funzionario del distretto amministrativo di Memnoneia (riva occidentale di Luxor) alla fine dell’epoca tolemaica. Quel che è certo è lo scambio di corpi, forse imputabile agli stessi venditori ottocenteschi.

La ricerca ha evidenziato un buon stato di conservazione dovuto anche a un’ottima tecnica d’imbalsamazione che si adatta di più a periodi precedenti. La perizia nel bendaggio, le braccia incrociate sul petto, i 4 organi interni (fegato, polmoni, stomaco e intestini) estratti, imbalsamati a parte e riposti di nuovo nell’addome sono infatti caratteristiche tipiche del III Periodo Intermedio. Tuttavia i ricercatori sono più propensi nel considerare la mummia coeva del sarcofago, soprattutto per la presenza di un rarissimo oggetto discoidale trovato in corrispondenza dell’ombellico e noto finora solo per esemplari del I sec. a.C.

Il disco non è l’unico oggetto individuato tra le bende; nonostante la mummia sia stata chiaramente depredata da ladri, ci sono almeno 15 amuleti, tra cui i classici 4 geni chiamati “Figli di Horus” sull’addome e due dischi di metallo a imitazione dei capezzoli sulle bende modellate sul seno (immagini in basso a sinistra).

Ma venendo finalmente al risultato più importante dello studio, le immagini digitali della TAC (immagini in basso a destra) mostrano un feto compatibile con una gestazione di 26-30 settimane. La testa del piccolo ha infatti una circonferenza di 25 cm ed è stata l’unica parte misurabile a causa della fragilità delle ossa. Si tratta -almeno così si legge nell’articolo – del primo caso documentato di una mummia di una donna incinta, ma non è ancora chiaro perché il feto sia stato lasciato nell’utero e non sia stato mummificato a parte come di solito accadeva. Più che a una motivazione ideologica, però, si potrebbe pensare alle difficoltà pratiche oggettive nell’estrarre un corpo ancora troppo piccolo senza danneggiare i suoi tessuti e quelli della madre.

https://www.sciencedirect.com/science/article/abs/pii/S0305440321000418


Alcuni amuleti tra le bende (Marcin Jaworski)

Raggi-X e TAC sul feto (Marcin Jaworski and Marzena Ożarek-Szilke)
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Nuovo studio sulla mummia di Seqenenra Tao: il faraone sarebbe stato giustiziato dagli Hyksos

Source: facebook.com/Dr-Zahi-Hawass

Che Seqenenra Tao II abbia fatto una brutta fine è un dato piuttosto assodato. Il cranio sfondato, la mascella fratturata, la guancia recisa, il collo forato e molte altre lesioni riscontrate sulla sua mummia indicano la chiara morte violenta di uno degli ultimi faraoni (1558-1553 a.C.) della XVII dinastia. Ma un nuovo studio, pubblicato proprio oggi, sembrerebbe presentare scenari in parte inediti.

Il corpo del re fu ritrovato nella cachette di Deir el-Bahari (DB320) nel 1881 e già subito dopo lo sbendaggio, effettuato da Maspero nel 1886, attirò la curiosità degli egittologi per le ferite ancora evidenti che ne deturpavano il volto. Avendo regnato durante il II Periodo Intermedio e nel pieno dello scontro con gli Hyksos, fin dalle prime autopsie il faraone è stato spesso descritto come caduto nella guerra poi vinta definitivamente dai suoi figli e successori, Kamose e soprattutto Ahmose che, riunificando l’Egitto sotto la dinastia tebana, diede inizio al Nuovo Regno. Altri, invece, hanno parlato del risultato di una congiura di palazzo. In ogni caso, nel corso degli anni l’attenzione non è scemata e gli esami si sono susseguiti con l’uso di tecnologie sempre più avanzate, fino alla prima radiografia alla fine degli anni ’60 di James E. Harris e Kent Weeks. Come in un moderno caso investigativo, diversi studiosi hanno perfino calcolato l’angolo dei colpi inferti e sono state ipotizzate le armi del delitto, da asce, a pugnali o punte di lancia.

Elliot Smith G., The Royal Mummies CGC Nos 61051-61100, Cairo 1912, pl. II

Nell’ambito del Royal Mummies Project, progetto di studio e conservazione delle mummie reali in attesa di essere trasferite nel Museo Nazionale della Civiltà Egiziana, proprio oggi è uscito l’ultimo studio a riguardo, a firma di Zahi Hawass e Sahar Saleem, professoressa di Radiologia presso l’Università del Cairo. L’articolo mostra i risultati della TAC effettuata sul corpo di Tao II nel maggio del 2019 e della comparazione della morfologia delle lesioni con cinque armi in bronzo di epoca Hyksos scoperte a Tell el-Daba (foto in basso).

Come era noto già da tempo, la mummia è in cattivo stato di conservazione, ma non per un frettoloso processo di mummificazione come si credeva in precedenza. Al contrario, ci sarebbero tutti i corretti processi di trattamento, compreso il tentativo estetico di mascherare alcune ferite del volto con una pasta coprente. Se la mancata asportazione del cervello è una caratteristica che si riscontra anche nel caso di altri faraoni, come Thutmosi II e III, l’inusuale posizione delle braccia e delle mani sarebbe invece da imputare allo spasmo cadaverico e a una parziale putrefazione dovuta a un intervento sul corpo non subitaneo.

In generale, le tante ferite gravi alla testa portano a pensare che Seqenenra sia stato aggredito da più persone con diverse armi. Hawass e Saleem hanno perfino proposto una sequenza dei colpi, alcuni dei quali sembrano essere stati inferti dall’alto verso il basso. Secondo i due studiosi egiziani, il faraone sarebbe stato catturato in battaglia, immobilizzato e ucciso in una sorta di esecuzione da tre o più aguzzini Hyksos. Questo spiegherebbe la mancanza di fratture agli arti, che di solito si riscontrano sul campo di battaglia, e la posizione rigida delle dita e delle mani flesse sui polsi, forse legate dietro la schiena.

La prima ferita potenzialmente fatale sarebbe stata quella di 7 cm sulla fronte, inferta dall’alto verso il basso con una pesante arma da taglio, forse una spada o un’ascia egiziana. Già questo trauma avrebbe scaraventato il re sulla schiena causandone la morte. Poi sul volto si nota una serie di colpi perpendicolari, sintomo dell’accanimento sul faraone, morto o morente, con un’arma a lama più sottile, compatibile con un’ascia da battaglia Hyksos di bronzo (Figg. B-C). A questo secondo momento apparterrebbero il profondo foro sul sopracciglio destro, il taglio sulla guancia sinistra e le fratture di glabella, naso, zigomo destro e altri punti del cranio, provocate da un corpo contundente, un bastone o il manico stesso dell’ascia. Un terzo uomo avrebbe poi colpito il lato sinistro della testa infilando in profondità la punta di una lancia Hyksos (Fig. D) in corrispondenza del processo mastoideo. Se non fosse bastato quanto subito finora, anche questo colpo alla base del cranio sarebbe stato mortale per i danni provocati al midollo spinale. Infine, continuando la ricostruzione forense, che a volte sembra spingersi fin troppo in là con le ipotesi, ci sarebbe stato un ultimo uomo che, armato di coltello, avrebbe infierito sul cadavere ormai rivolto sul fianco destro.

Tutti i traumi non mostrano segni di cicatrizzazione e quindi sarebbero stati provocati peri-mortem, cioè in corrispondenza o poco dopo la morte di Seqenenra. Impossibile dire dove sia avvenuta la presunta esecuzione, anche se Hawass propone le vicinanze della fortezza di Deir el-Ballas, a nord di Tebe, punto strategico di partenza delle campagne militari verso nord del faraone. Da qui il corpo, rimasto per un certo periodo di tempo rivolto sul fianco sinistro – come dimostra lo scivolamento laterale del cervello – sarebbe stato trasportato a Tebe per la mummificazione.

L’articolo originale su:”Frontiers in Medicine”: https://www.frontiersin.org/articles/10.3389/fmed.2021.637527/full

Source: facebook.com/Dr-Zahi-Hawass
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Scoperta la causa di morte della Mummia Urlante

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Source: Dr. Zahi Hawass Facebook

Tra le olre 50 mummie scoperte nel 1881 nella cachette reale di Deir el-Bahari (DB320), due in particolare colpiscono per le loro fattezze raccapriccianti. In entrambi i casi, i volti sono deformati da un urlo reso eterno dal processo d’imbalsamazione. Ma se per l’individuo maschile, il cosiddetto “Sconosciuto E”, sono già stati fatti esami ed è stata proposta una teoria che lo identificherebbe come Pentaur, figlio di Ramesse III coinvolto nella famosa “congiura dell’harem”, della “Sconosciuta A” fino ad ora si conosceva ben poco.

A differenza del presunto Pentaur, la donna ha beneficiato di una buona mummificazione, con bende di lino puro su cui sono scritti in ieratico il titolo di figlia e sorella reale e il nome Meritamon che, però, appartenendo a più principesse, non ne permette il riconoscimento sicuro.

Così, nell’ambito del progetto di studio delle mummie del Museo Egizio del Cairo, il celebre Zahi Hawass e Sahar Saleem, professore di Radiologia presso la Cairo University, hanno analizzato la “Mummia urlante” tramite radiografie e TAC, ricavando nuovi dati interessanti. Intanto l’età della morte è collocata tra i 50 e i 60 anni; poi è stato evidenziato il metodo di mummificazione che è consistito nell’eviscerazione, la sostituzione degli organi interni con impacchi, resine e spezie profumate e la mancata asportazione del cervello, ancora presente essicato sul lato destro del cranio. Quest’ultima pratica si adatterebbe di più, secondo Hawass, alla Meritamon figlia di Seqenenra Ta’o, faraone della fine della XVII dinastia. La prof.ssa Marilina Betrò (Università di Pisa), grazie allo studio incrociato di documenti editi ed inediti, già nel 2007 ipotizzava che la mummia appartenesse alla regina Ahmes-Meritamon, figlia di Ta’o e sorella e moglie di Kamose e che la tomba DB 358, dove è stata sepolta l’omonima moglie di Amenofi I, fosse in origine destinata a lei.

Ma il risultato più importante riguarda la causa di morte e il conseguente motivo dell’urlo. La donna è forse deceduta sul colpo a causa di un infarto; è stata infatti rilevata una grave forma di aterosclerosi con l’avanzata calcificazione delle pareti delle arterie coronarie destra e sinistra, iliache, del collo, degli arti inferiori e dell’aorta addominale. La mummificazione sarebbe iniziata quando il corpo era ancora contratto per il rigor mortis. Per questo la donna ha le gambe accavallate e leggermente flesse, la testa reclinata verso destra e la mandibola abbassata.

Tuttavia, i risultati dello studio sono stati messi in dubbio da altri ricercatori: https://gizmodo.com/how-did-this-screaming-mummy-really-die-1844454580

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Kha e Merit tornano insieme per una TAC

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Source: Museo Egizio di Torino

Non è la prima volta che, negli ultimi mesi, si vede un grosso camion bianco parcheggiato in Via Accademia delle Scienze (foto in basso); questa volta, però, c’è una particolarità “romantica”. Con la giornata di oggi, si chiude un’altra tornata di analisi nel laboratorio mobile del “Mummy Conservation Project”, utilizzato per effettuare TAC alle mummie umane e animali del Museo Egizio di Torino. Il progetto – portato avanti, insieme all’Egizio, dalla Soprintendenza, dal centro Eurac di Bolzano, dal team medico statunitense del gruppo Horus e dal Curt Engelhorn Zentrum Archäeometrie di Mannheim – ha come scopo lo  studio delle tecniche d’imbalsamazione e dello stato di conservazione dei corpi conservati nel museo. Oltre alla TAC, si effettueranno analisi del DNA e datazioni al C14. Tra le mummie analizzate nell’ultima settimana, tornando alla particolarità odierna, figurano anche quelle di Kha e Merit (immagine in alto), l’architetto di XVIII dinastia e sua moglie ritrovati da Schiaparelli nella loro tomba intatta (TT8) di Deir el-Medina nel 1906.

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“Warsaw Mummy Project”: al via il più esteso studio su mummie egizie

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Source: scienceinpoland.pap.pl

Sulla scia di altre iniziative simili, anche la Polonia lancia un progetto di studio multidisciplinare su mummie di uomini e animali provenienti dall’Egitto raggiungendo il più grande numero di “pazienti” per un’operazione del genere, almeno per quanto riguarda i resti umani. Il “Warsaw Mummy Project” sarà portato avanti da Wojciech Ejsmond, Kamils BraulińskaMarzena Ożarek-Szilke (dottori di ricerca in archeologia e archeobiologia presso l’Università di Varsavia; nella foto) in collaborazione con oncologi e radiologi dell’International Cancer Centre “Affidea” di Otwock, struttura medica scelta per gli esami ai raggi X e le TAC. Delle 42 mummie che provengono dal Museo Nazionale di Varsavia, si verificherà prima di tutto l’autenticità, visto che non è così raro trovare falsi sotto le bende. Poi, si studierà sesso, età, condizioni di vita, eventuali patologie, causa di morte e, per gli animali, la specie. Un particolare apporto verrà dai nostri Carabinieri che si occuperanno di dattiloscopia forense, cioè il rilievo delle impronte digitali che possono fornire importanti dati sull’occupazione del defunto e su quale mano fosse la preferita. Infine, l’ultima fase del progetto prevederà il prelievo di campioni di tessuto per i test del DNA. I risultati finali verranno presentati nel 2018 tramite un’esposizione speciale presso il museo della capitale.

http://warsawmummyproject.com/

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Mummia di gheppio soffocato come prova dell’allevamento dei rapaci

Source: sciencedirect.com

Source: sciencedirect.com

La mummia di un povero gheppio che ha fatto la fine di un’oca da foie gras; ingozzato fino alla morte. È questo l’oggetto di un recente studio dell’American University of Cairo e di due istituzioni sudafricane, la Stellenbosch University e il Stellenbosch Institute for Advanced Studies, diretto, ovviamente, da Salima Ikram, sempre presente in pubblicazioni che riguardano resti animali. Il piccolo rapace proviene dagli Iziko Museums di Ciittà del Capo (inv.: SACHM 2575) e ha subito un’autopsia virtuale tramite TAC che ha rivelato dati molto interessanti. L’uccello non è stato eviscerato durante l’imbalsamazione, quindi è stato possibile individuare l’ultimo pasto che ha coinciso anche con la causa della sua morte. La coda di un topo, infatti, ostruisce l’esofago e dovrebbe aver ucciso il gheppio per asfissia. Inoltre, nello stomaco sono stati trovati ossa e denti di altri roditori e di un passero che, insieme, sarebbero risultati decisamente eccessivi per il fabbisogno giornaliero dell’esemplare (vedi immagine in basso).

Source: sciencedirect.com

Source: sciencedirect.com

Sembra probabile, quindi, che l’animale sia stato alimentato a forza. Questo particolare è molto importante perché costituirebbe la prima prova di addomesticamento dei rapaci. Ormai è assodato che in Egitto, dall’epoca tarda a quella romana, esistesse una vera e propria produzione “industriale” di ex voto animali che i fedeli donavano agli dèi durante i pellegrinaggi. Milioni di cani, gatti, coccodrilli, ibis, babbuini erano allevati, uccisi, mummificati e venduti. Succedeva anche con i falchi e i rapaci in generale, soprattutto nel culto di Ra, ma ancora non si aveva una chiara dimostrazione archeologica; di certo, l’alto numero di casi non poteva essere spiegato con la caccia e con morti naturali.

L’articolo originale nel Journal of Archaeological Science Vol. 63: “Fatal force-feeding or Gluttonous Gagging? The death of Kestrel SACHM 2575” 

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Diagnosticata appendicite a mummia di bambina

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Source: nydailynews.com

Ancora una volta, le moderne tecnologie mediche cambiano la diagnosi su una mummia. I raggi X, più di 40 anni fa, avevano fatto parlare di tubercolosi per il corpo imbalsamato di una bambina scoperto da Petrie a Illahun nel 1888 e conservato presso il Bolton Museum. Nei giorni scorsi, invece, al St. Mary’s Medical Center di Palm Beach, una squadra di 20 dottori ha attribuito la causa della morte a un’appendicite. Il dott. Kelman, capo radiologo dell’ospedale, ha affermato che la TAC avrebbe mostrato una calcificazione di 4,87 cm di diametro all’appendice, mentre le vertebre lombari mancanti, che erano considerate la prova della TBC, sono state ritrovate all’interno della cassa toracica, evidentemente spostate durante il processo di mummificazione. E’ stata corretta anche l’età della bambina che da 4-9 anni passa a 30-42 mesi.

La mummia, risalente al 30 a.C. – 300 d.C., si trova in Florida perché prestata dal museo britannico, insieme ad altri 200 reperti, al South Florida Science Center and Aquarium per l’esposizione temporanea “Afterlife: Tombs and Treasures of Ancient Egypt”. Sembra, quindi, che lo studio sia stato commissionato come trovata pubblicitaria camuffata.

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